Bioetica: l’asimmetria italiana


Sistematicamente, ogni qual volta si parla di bioetica, nel nostro Paese si accende il dibattito, generalmente punteggiato di polemiche, accuse e controaccuse, spesso piuttosto forti, sicuramente molto sentite. Il punto è che i temi della bioetica ci riguardano personalmente e spesso toccano corde molto profonde della nostra anima, specialmente se abbiamo vissuto esperienze che ci hanno fatto toccare con mano determinati problemi, se cioè li abbiamo vissuti sulla nostra pelle.

Quando si parla di eutanasia, come non pensare a come ci sentiremmo se fossimo immobilizzati, prigionieri del nostro stesso corpo, spesso in preda a dolori fisici che a malapena i farmaci riescono ad attenuare? Quando si parla di procreazione assistita, come non pensare a chi, non potendo avere figli, sente di vivere una vita incompiuta, la cui crescita è stata interrotta prima di raggiungere quella completezza che solo la genitorialità può dare? Certo non tutti conoscono quella sensazione di instabilità, non tanto per sé stessi, quanto per chi amiamo, che dà la convivenza, una scelta che si potrebbe pensare possa venir superata dal matrimonio ma che spesso è proprio alternativa a un’istituzione che vede un’eccessiva ingerenza dello Stato nella sfera privata; tanto meno non tutti sono in grado di comprendere la pena di chi, omosessuale e felicemente convivente con una persona che ama profondamente, si trova negato il diritto a poterla sposare e darle quella sicurezza e quella stabilità che oggi non ha.

Di fronte a queste e altre questioni, che ricadono sotto il termine di bioetica, il Paese solitamente si spacca in due. Da una parte c’è chi crede fermamente nella laicità dello Stato e soprattutto nel diritto dell’individuo a disporre di sé stesso e della propria vita, dall’altra c’è chi afferma il primato di una serie di principi etici, solitamente di stampo religioso e in primis cristiano-cattolici, rispetto ai bisogni e ai desideri del singolo.

Spesso si afferma che queste due posizioni, sostanzialmente antitetiche, siano speculari, ovvero che esista una sostanziale simmetria fra gli uni e gli altri, ma non è così e ritengo di poterlo dimostrare, tra l’altro senza entrare in merito del singolo aspetto ma in generale, ovvero da un punto di vista sostanzialmente funzionale.

Consideriamo uno qualsiasi dei problemi ai quali abbiamo accennato: potrebbe essere l’eutanasia o il matrimonio fra coppie dello stesso genere, poco importa. Supponiamo prima che venga approvata una legge laica, favorevole cioè al diritto dei singoli di fare la propria scelta, e vediamo quali conseguenze avrebbe sull’una e sull’altra parte. Poi facciamo lo stesso nel caso di una legge favorevole a stabilire alcuni principi come inviolabili per tutti, e quindi prioritari sui desideri dei singoli. Quindi facciamo un confronto.

Nel primo caso, coloro che volessero potersi avvalere della legge in questione, potrebbero farlo liberamente, mentre chi fosse contrario per motivi religiosi manterrebbe comunque piena libertà di scegliere altrimenti. Un malato terminale potrebbe quindi decidere di darsi una morte dignitosa senza violare il diritto di un altro che, per fede, sia disposto ad accettare la sofferenza e il declino quale una sorta di martirio consapevole, nel rispetto di quel diritto alla vita che è centrale nella Chiesa. Analogamente, due uomini o due donne di orientamento omosessuale potrebbero convolare a giuste nozze senza per questo impedire a un cattolico che fosse consapevole della propria omosessualità, di rispettare quei dogmi della Chiesa che, pur riconoscendo ormai l’omosessualità come una condizione possibile anche per un suo membro, richiedono che essa non venga mai a finalizzarsi in un atto sessuale o affettivo contrario a una ben precisa visione tradizionalista della famiglia.

Ma cosa succede quando sono i principi religiosi a prevalere in uno Stato laico? In quel caso ci troviamo di fronte a una situazione completamente diversa, dato che la proibizione stabilita dal legislatore verrebbe a soddisfare solo la posizione del cattolico, negando invece al laico una scelta libera e consapevole. In pratica, impedire la possibilità a un malato terminale di togliersi la vita vorrebbe dire rispettare la visione religiosa della Chiesa violando però nel contempo quella laica di chi tali principi non riconosce fra i suoi valori. Analogamente, impedendo il matrimonio fra persone dello stesso genere, e quindi tutti i vantaggi di stabilità che esso comporta per chi si ama, soprattutto nel caso uno dei due venga a mancare, si viola il fatto il diritto dei singoli di decidere come vivere la propria vita.

In pratica, una legge laica pone le fondamenta per rispettare entrambe le posizioni, lasciando a ognuno la possibilità di scegliere secondo la propria coscienza e i propri valori; una religiosa, rispetta solo la posizione dettata dalla fede, calpestando i diritti di chi alla Chiesa non appartiene e non si riconosce nei suoi principi.

Questa asimmetria, da sola, dovrebbe essere motivo più che sufficiente per stabilire quale dovrebbe essere la scelta del legislatore in uno Stato che si dice laico, eppure non è così da noi, seppure in Paesi altrettanto legati alla religione cattolica, come la Spagna, alcune di queste scelte siano state fatte nel pieno rispetto della laicità dello Stato.

Il motivo è legato alla pervasività che la Chiesa cattolica ha nel nostro Paese, soprattutto nei luoghi del potere, ovvero là dove si prendono quelle decisioni che riguardano la vita di tutti noi. Si tratta di un’ingerenza, a volte esplicita, a volte difficile da rilevare, che sta diventando negli ultimi anni sempre più forte, in controtendenza con l’evoluzione esistente negli altri Paesi, inclusi quelli di religione islamica. Essa è trasversale a tutto l’arco costituzionale, dato che si può trovare persino nell’estrema sinistra, a volte, e comunque copre settori della vita politica che vedono in Italia destra, centro e sinistra convergere su posizioni comuni senza troppi distinguo.

Un’ultima considerazione. Si potrebbe pensare che l’approccio corretto sia quello di lasciar decidere al popolo, ovvero di ricorrere in questi casi al referendum, ma sarebbe un grave errore. Per definizione, infatti, molte questioni bioetiche riguardano solo alcune minoranze della popolazione: basti pensare ai malati terminali o alle persone affette da sterilità. Persino gli omosessuali, che son ben più di quelli che spesso si vuol far credere siano, non rappresentano certo la maggioranza nel nostro Paese e non hanno necessariamente il supporto di parenti e amici nelle battaglie per i loro diritti. Affidarsi quindi a una modalità di scelta che si poggia sul concetto che è la maggioranza a dover decidere, vuol dire di fatto mettere i diritti di una minoranza nelle mani di chi quel problema non ha e forse neppure lo comprende davvero.

La scelta quindi deve basarsi su un semplice principio che dovrebbe essere centrale in qualunque Stato laico, ovvero rispettare i diritti della maggior parte possibile dei cittadini, evitando di sacrificare gli uni alle esigenze degli altri. Questo è possibile solo con un approccio che permetta a ognuno di fare la propria scelta, sia esso religioso o meno; viceversa, forzare al di fuori della Chiesa principi che ad essa appartengono quando non sono condivisi, rappresenta una vera e propria violenza di Stato e quindi una scelta inaccettabile.


47 commenti su “Bioetica: l’asimmetria italiana
  1. utente anonimo ha detto:

    "forzare al di fuori della Chiesa principi che ad essa appartengono quando non sono condivisi, rappresenza una vera e propria violenza di Stato"

    Il potere da alla testa. Il potere scaturisce violenza ed abuso. I potenti ci violentano ed abusano di noi ogni giorno ed in ogni modo, facendoci credere che invece lavorano per noi e per il nsotro interesse. 

    L'uomo è marcio. L'uomo dovrebbe essere riprogrammato. Quelli che funzionano e che non sono marci, non arriveranno mai al potere.

    Lasciate ogni speranza o voi che… soffrite!

  2. Marco Del Pin ha detto:

    Comincerei con un po’ di handshaking. L’articolo affronta temi diversi per cui comincerei con quello delle coppie omosessuali, e su questo aspetto si deve tener conto che ci sono 4 questioni, come la pensi tu, come la penso io, come tu pensi che la pensi io e come io penso che la pensi tu.

    Ora provo a riassumere quello che io penso sia il tuo pensiero per vedere se se quel che penso io di ciò che pensi è realmente ciò che pensi.

    La tua posizione è che riconoscere a livello legislazione che le coppie omo siano equivalenti alle coppie etero sia doverso per i seguenti motivi.
    1) servirebbe a garantirgli dei sostegni o gli garantirebbe la facoltà di compiere certi atti (sostegno a malati) da parte dello stato che tu reputi dei diritti
    2) il riconoscimento di questi diritti non avrebbe impatto su chi la pensa diversamente

    Fin qui ho capito bene?

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Diciamo che la mia personale posizione si basa su due elementi, uno di principio, assolutamente personale, e uno razionale. Tu hai delineato quello razionale, ovvero mi sembra giusto che due adulti che si amano e che convivono non possono vedere subordinati i loro diritti al genere. In pratica, non ha senso su un piano razionale che una donna che ha sempre fatto la casalinga e a cui muore il marito possa usufruire della pensione o continuare ad abitare nella casa familiare, mentre un uomo nelle stesse condizioni, ovvero casalingo e a a cui muoia il compagno, si ritrovi senza soldi e in mezzo a una strada se non è in grado di pagare una tassa di successione, sempre che il compagno si sia ricordato di aver fatto testamento, perché senza quest’ultimo, rischia di perdere pure la casa se la proprietà era del compagno. Il fatto che in alcune religioni, fra cui quella cattolica, si ritenga la convivenza omosessuale sbagliata, non può e non deve avere alcuna influenza in uno stato laico la cui costituzione si basa sulla non discriminazione di genere (articolo 3, se non vado errato). In quanto al punto 2, è evidente che alcuni di questi diritti avrebbero un impatto su altri — ad esempio, nel caso di cui sopra se ci fosse un erede, diciamo un nipote o un cugino, questo non potrebbe appropriarsi della casa buttando fuori il convivente, ma di nuovo lo stesso accade nel caso di coppia eterosessuale, quindi la questione è sempre la stessa: discriminare o meno fra i due casi a parità di TUTTE le altre condizioni. Su TUTTI gli altri, invece, non c’è alcun impatto pratico.

      Sul piano di principio, invece, non essendoci alcun motivo per discriminare fra coppie etero e coppie omo sul piano scientifico e razionale ed essendo io agnostico, non è neanche pensabile per me che lo si faccia: lo trovo un segno di inciviltà. Ovviamente questa è una posizione personale e comprendo confligga con chi basa la sua etica su principi morali diversi. Su questo punto ha poso senso dibattere, perché se si hanno valori diversi anche tutto ciò che ne consegue finisce per differire. Mi focalizzerei quindi sul punto 1, in particolare.

      • Marco Del Pin ha detto:

        La domanda era se avevo compreso il tuo pensiero e mi pare di inferire di si.
        Vediamo il punto 1 allora.
        Attualmente la legge riconosce alcuni trattamenti particolari per la moglie (tipicamente), ti sei chiesto in che contesto nascono questi trattamenti di favore e che motivazioni avevano?

        1) Quando queste regole sono state stabilite il matrimonio era considerato indissolubile
        2) La donna svolgeva un lavoro tipicamente casalingo
        3) La coppia si impegnava a fare figli, non era previsto che due persone si sposassero senza desiderare di metterne al mondo.
        4) I figli della coppia andavano tutelati

        In questo contesto lo stato riconosceva alcuni “diritti” per un motivo molto semplice, questo genere di matrimonio garantiva alla società dei benefici che lo stato ricambiava. Faccio un elenco sperando di non dimenticare niente
        1) La donna casalinga produce ricchezza senza produrre pil, nasce quindi l’esigenza di istituire la pensione di reversibilità
        2) Essendo la coppia stabile sia nella buona che nella cattiva sorte lo stato aveva meno necessità di provvedere a chi si trovava in difficoltà visto che nelle coppie sposate la maggior parte degli oneri se li sobbarcava il coniuge
        3) Con la donna casalinga lo stato aveva meno necessità di provvedere strutture per la prima infanzia
        4) L’impegno delle coppie a generare figli garantiva che le pensioni di quei genitori fossero in un domani sostenute dai loro figli
        5) sia per tutelare la donna casalinga che i figli nasce la questione della successione della casa.

        fin qui concordi?

        • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

          Concordo sui punti 2 e 4 della prima lista. Per quanto riguarda il punto 1, questo valeva solo nei Paesi dove non c’era il divorzio, ma nella maggior parte dei Paesi il divorzio c’è in alcuni casi da più di un secolo, per cui non è vero in assoluto. Per quanto riguarda il punto 3, non è mai esistito un impegno esplicito a fare figli nel matrimonio, anche se di fatto la società dell’epoca vedeva male le coppie sposate che non li avevano anche se meno di quelle non sposate che invece li avevano. Questo valeva tuttavia solo per le coppie giovani. Se una vedova o una donna già matura e magari divorziata si risposava, non c’era tale obbligo sociale. In ogni caso non c’è mai stato un obbligo reale.

        • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

          Per quanto riguarda la seconda lista direi che il punto 1 è condivisibile, ma varrebbe ovviamente anche nel caso che il casalingo fosse un maschio, e non mi riferisco solo alle coppie omosessuali, ma anche a quelle eterosessuali dove la cultura maschilista penalizza l’uomo che si voglia occupare di casa e figli. Il punto 2 vale anche per una coppia omosessuale, ovviamente. Il punto 3 vale anche per le coppie omosessuali che abbiano figli, naturali o adottati (e ce ne sono, ne conosco personalmente). Sul punto 4 stenderei un velo pietoso, visto come era messo il nostro sistema pensionistico e comunque non vale nei paesi dove non esiste il concetto di pensione. Il punto 5 vale anche per una coppia omosessuale se solo uno lavora. In pratica, quanto da te detto è sostanzialmente vero ma: (1) riguarda un passato che non c’è più e che ha lasciato uno strascico di leggi e normative che andrebbero aggiornate anche per le donne e le coppie etero (vedi affidamento esclusivo, separazioni e divorzi) e che solo in parte sta (lentamente) cambiando; (2) a parità di situazione (ad es. coppia in cui uno solo lavora) non c’è motivo per cui non valga anche per le coppie omosessuali.

  3. Marco Del Pin ha detto:

    “1, questo valeva solo nei Paesi dove non c’era il divorzio”
    noi stiamo parlando della essenzialmente della realtà italiana.

    “Per quanto riguarda il punto 3, non è mai esistito un impegno esplicito a fare figli nel matrimonio”
    nel mondo cattolico sì e per quanto ne so non esisteva nessuna cultura extraoccidentale fino a qualche tempo fa che pensasse che il matrimonio potesse avere altro scopo che l’avere figli (“matrimonio” = “produce madri”)

    “4 stenderei un velo pietoso, visto come era messo il nostro sistema pensionistico e comunque non vale nei paesi dove non esiste il concetto di pensione.”
    Non pensare alle pensione solo nel senso di “soldi che ti danno per campare” pensala nei temrini “occuparsi degli anziani”, nelle società passate i figli si occupavano degli anziani, questi non pesavano sullo stato.

    “riguarda un passato che non c’è più e che ha lasciato uno strascico di leggi e normative”
    è proprio questo il punto! C’è stato un cambiamento della società per cui quelle regole che erano state stabilite non per una generosità dello stato o per un qualche “diritto” divino ma per puro do ut des tra le coppie e lo stato invece di essere riviste nel senso di essere adeguate al nuovo rapporto tra stato e coppie come succede sempre in Italia si è scelto di mantenere i “privilegi” acquisiti, che in realtà NON erano priviiegi in orgine mentre ora lo sono, e oa invece di rivederli si vorrebbe estenderli ad altre categorie.

    Fin qui siamo d’accordo?

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      1. Per quanto mi riguarda, non concepisco oggi la possibilità che la realtà italiana si differenzi da quella degli altri Paesi europei. Qui stiamo parlando di quali principi debbano essere applicati qui ed ora, e il “qui” (in Italia) deve essere un qui europeo, mentre “ora” vuol dire ragionare in termini moderni, sulla realtà di oggi, non di quella di trent’anni o cinquant’anni fa. In pratica, non importa se “a suo tempo” certe leggi o concetti avessero una ragione d’essere: noi dobbiamo decidere cosa deve essere giusto oggi. Non dimenticare che in Italia, fino a qualche decennio fa, lo stupro era un delitto contro la morale, non contro la persona, e come tale non punito duramente.

      2. L’Italia è un Paese laico e le leggi devono valere per tutti. Che poi in una certa religione il matrimonio abbia un significato particolare, va benissimo, ma non può essere elemento di scelta del legislatore.

      4. Solo nelle famiglie che se lo potevano permettere o che avevano il senso della famiglia… hai idea di quanti anziani siano morti in passato e tuttora muoiano abbandonati in ospizi spesso di scarsa qualità e servizio, perché figli e nipoti se ne sono disinteressati? E comunque questo non cambierebbe fra coppie etero e omo, visto che anche queste ultime possono avere figli naturali, specialmente se lesbo.

      Siamo d’accordo che certi privilegi vadano rivisti, ma il mio punto è che se vanno rivisti questo debba essere fatto in modo paritario, senza discriminare fra coppie etero o omo. E comunque, se io muoio, la mia compagna non vedrà un euro della mia pensione, mentre se la sposassi avrebbe diritto alla metà. Noi possiamo decidere se sposarsi o meno, le coppie omosessuali no. In quanto ai privilegi, forse saprai che quanto detto prima per me e la mia compagna NON varrebbe se io fossi un deputato… guarda un po’… 😉

  4. Marco Del Pin ha detto:

    Guarda che sto ancora contestualizzando, non puoi parlare di modficare delle regole se prima non è chiaro il perchè esistano, non ti sto parlando dei tempi andati per dire che dovremmo continuare in quella maniera.

    Quindi mi pare di capire che sei d’accordo sull’origine della legislazione corrente.

    “Siamo d’accordo che certi privilegi vadano rivisti, ma il mio punto è che se vanno rivisti questo debba essere fatto in modo paritario, ” paritario è un termine piutosto ambiguo, cerco di dare una descrisione più precisa.
    I sono dell’idea che lo stato non dovendo essere etico debba sempre basarsi sul do ut des, cioè lo stato favorisce quello che aiuta al mantenimento e alla crescita della società, per cui la regola dovrebbe essere, lo stato da agli individui, alle coppie, ai gruppi ecc. in proporzione all’utlità sociale che rivestono.
    Quindi soggetti diversi che abbiano la medesima utilità sociale devono ricevere dallo stato il medesimo corrispettivo, a prescindere da qualsiasi orientaemento sessuale, religioso, politico ecc. ecc. nel senso che per lo stato questo tipo di orientamento deve essere proprio ignoto, nei limiti del possibile, come se non esistese, e basare la sua azione solo su dati concreti, misurabili. sei d’accordo?

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      OK, sulle origini e motivazioni della legislazione corrente siamo sostanzialmente d’accordo.
      Per paritario intendo trattare una persona allo stesso modo di qualsiasi altra persona a meno che alcune sue caratteristiche non siano intrinsecamente una giustificazione per un trattamento diverso. Faccio due esempi: una donna può rimanere incinta, un uomo no, per cui non avrei problemi a considerare giusto il fatto di garantirle i contributi per la pensione anche nel periodo della gravidanza in cui non dovesse recarsi al lavoro; fare il minatore è un lavoro usurante, per cui non avrei problemi ad accettare che possa andare in pensione prima, ad esempio, di un impiegato. Viceversa, il fatto di essere maschio o femmina è ininfluente sul piano genitoriale e quindi sarebbe giusto dare sia al padre che alla madre, ad esempio, la possibilità di avere un asilo convenzionato presso il luogo di lavoro, se questi non avesse nessuno in grado di occuparsi del figlio quando è al lavoro. Così come, se si prevede un’agevolazione fiscale per una chiesa cristiana, dovrebbe valere anche per un tempio ebraico o una moschea islamica.

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Sì, sono d’accordo sulla tua ultima affermazione, a meno appunto che quella caratteristica non sia correlata al trattamento in questione. Ad esempio, una coppia che abbia un figlio e non sia benestante è giusto riceva un’agevolazione fiscale che sia etero od omo, ma se non ha figli o è particolarmente benestante, non dovrebbe riceverlo, sia che sia etero sia che sia omo.

  5. Marco Del Pin ha detto:

    pronto?

  6. Marco Del Pin ha detto:

    Quindi avendo stabilito è che quel che conta non è l’allargamento dei privilegiati, ma favorire chi effettivamente rende un servizio alla società andiamo avanti.
    Poniamo che ci siano due sorelle anziane che desiderano vivere insieme sostenendosi, che differenza ci sarebbe rispetto ad una coppia di omosessuali? Il fatto che non ci sia una relazione sessuale tra di loro dovrebbe essere un impedimento a che vengano riconosciute come coppia dallo stato?

  7. Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

    Perfettamente d’accordo con un’unica eccezione: in genere i parenti hanno già alcune garanzie. Ad esempio, se una sorella muore l’altra ha una legittima sull’eredità. L’esempio sarebbe stato più calzante se avessi parlato di amiche anziane che condividono la casa per aiutarsi a vicenda e per ragioni economiche, indipendentemente dall’aspetto sessuale. In effetti la mia idea (ma è un tantinello innovativa) riguarda la ridefinizione di CONVIVENZA e la stesura di un vero e proprio contratto di convivenza che non necessariamente ha alla base un rapporto affettivo di carattere sessuale.

  8. Marco Del Pin ha detto:

    Si certo, ho fatto l’esempio di due sorelle perchè in quel caso si esclude che ci sia una relazione sessuale, inoltre è già sucesso che in olanda che due sorelle che appunto convivevnao hanno avuto rogne proprio perchè non avendo relazione sessaule non erano inquadrate nelle legislazione.

    Diciamo quindi che prese due persone che si danno assistenza lo stato è bene che riconosca un’utilità sociale in questo e provvede di conseguenza. Però perchè parlare solo di coppie? Non potremmo parlare più in genere di nucleo famiiare? Perchè cioè non dovremmo prevedere che tre o più persone si associno per formare un nucleo familiare nel senso che vivono insieme, si aiutano ecc.? Non è superato fare riferimento solo alle relazioni di parentela?

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Sono perfettamente d’accordo. Un contratto di convivenza potrebbe essere anche fra due o più persone adulte. Ovviamente l’ingresso di un nuovo “membro” nella famiglia dovrebbe essere subordinato all’accettazione di tutti i membri esistenti mentre la “separazione” potrebbe avvenire per sua esclusiva volontà. Il contratto, tuttavia, dovrebbe definire chiaramente i termini della “separazione” fin dall’inizio.

  9. Marco Del Pin ha detto:

    Per cui se accettiamo di rivedere in maniera più ampia, diciamo in maniera contemporanea, la definizione di nuclero familiare che va da 2 a N componenti dovrebbe risultare chiaro che fare una legge che riconosa SOLO le coppie omosessuali sarebbe solo un estendere una legislazione vecchia che garantisce dei privilegi ormai ingiustificati a più soggetti. Questo è il motivo per cui io sono contrario, quando si decide di mettere mano alle leggi è bene farci su un bel progetto e non attaccare cerotti su certti che hanno l’unico effetto di esasperare situazioni preesitenti a vantaggio di ridotti gruppi di individui.

    Pensiamo allora a come potrebbe essere fatta questa legge, visto che una coppia non è più legata indossolubilmente, per lo stato non c’è più la garanzia che in caso di difficoltà qualcuno della famiglia si faccia carico di chi è in difficoltà, per cui lo stato non ne ha nessun vantaggio, saresti d’accordo di rivedere l’automatismo per cui ora basta risultare formalmente sposati per ricevere certi benfici? Poniamo ad esempio due che sono sposati e poi separati, possono rimanere separati anche per decenni se non sono interessati a risposarsi e per lo stato comunque godono dei diritti di coppia, anzi, godono dei diriti di copia e in più di agevolazioni come separati (vedi asili) questa mi pare una situazione dannosa per lo stato.

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Beh, su questo non sono d’accordo. Ovviamente sono favorevole a una rivisitazione completa del concetto stesso di matrimonio/convivenza formale, ma la nostra società non è ancora matura per il Contratto di Convivenza, mentre lo è (e lo si vede anche in altri Paesi), per il matrimonio fra coppie non etero. Affermare che dato che non si può fare o che si dovrebbe fare molto di più è un buon motivo per non fare un primo passo mi sembra sbagliato. Anzi, iniziamo a cambiare il concetto di famiglia, facciamo toccare con mano agli italiani quanto sia normale e accettabile che due coppie dello stesso genere si sposino e poi potremo provare a ragionare su una scala maggiore.

      In quanto a come potrebbe essere fatta la legge in questione, avevo iniziato a lavorarci 20 anni fa e stavo scrivendo un libro a riguardo che poi ho smesso… Oggi che ci sono gli eBook magari… non so, ho molto poco tempo ma se la cosa ti interessa ci si potrebbe lavorare insieme, ma non è uno scherzo: vanno considerati i fattori sociali, culturali, del diritto, etici, economici, ecc… Ma tu dove abiti? Perché se fossi a Roma ci si potrebbe incontrare e ti spiego il mio progetto. Troppo lungo da discuterne solo in rete.

  10. Marco Del Pin ha detto:

    Non mi è chiaro che complessità in più ci sarebbe se dicessimo: “Nuova legge, da oggi 2..N individui che desiderino darsi reciproca assistenza vengono considerati famiglia e quindi gli si applicano le regole già in vigore per le famiglie tradizionali”

    Riguardo il tuo approccio, non mi hai ancora risposto riguardo alla problematica che il punto 1) porta nuovi pesi per lo stato senza garantire nessun corrispettivo, questo problema non ti preoccupa?
    Il punto 2) lo metteri al primo posto.
    3) qui invece io direi, invece di fare un unico cappello che riunisce realtà completamente diverse, non sarebbe meglio fare una differenziazione in base agli impegni che i soggetti intendono assumersi? Cioè, si traterebbe di fare dei profili matrimoniali A, B, C in base al tipo di relazione che i partecipanti desierano intrapprendere, Se è vero che nel mondo contemporaneo esistono TANTI tipi di famiglia (è questo che si dice no?) che senso ha voler a tutti i costi applicare la stessa etichetta a realtà molto diverse?

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Scherzi? La legge è stata disegnata per due persone. Estenderla a due persone dello stesso sesso non è complicatissimo, ma così com’è adesso, farlo a N è molto più complesso. Non devi pensare a una sola legge ma a tutte le leggi che compongono il diritto familiare. Ti assicuro che la complessità di un cambiamento del genere è notevole.

      Riguardo al punto 1, l’ingerenza che ha oggi lo Stato in ambito familiare è tale che sarei quasi propenso a sconsigliare due persone a sposarsi, siano esse etero o omosessuali. Detto questo, non vedo davvero quali oneri ricadrebbero sullo Stato se due omosessuali si sposassero. In quanto al ritorno, è lo stesso che per due persone etero, dato che si possono occupare di loro stessi a vicenda e anche di parenti anziani o di bambini. La famiglia, comunque sia composta, è il mattone della società e senza di essa lo Stato non potrebbe occuparsi di tutti.

      Per quanto riguarda il punto 3 la tua proposta è ragionevole, ma ho il sospetto che se all’inizio avremmo solo A e B, con il tempo sarebbe meglio creare una legge più generalizzata perché si rischiano di avere troppe combinazioni diverse.

  11. Marco Del Pin ha detto:

    “Scherzi? La legge è stata disegnata per due persone. ” sì, se consideri il concetto di coppia che ovviamente non può essere esteso a più di 2 persone, no se consideri il concetto di famiglia, già ora i figli e i parenti stretti hanno dei diritti/doveri nei confronti dei familiari, non credo sarebbe difficile estendere questa legislazione anche a chi non ha realazione di sangue, per cui invece di “riconoscere” che due gay siano coppia, potrebbero chiedere chiedere di essere riconosciuti famiglia, mi pare una soluzione pù razionale.

    “Detto questo, non vedo davvero quali oneri ricadrebbero sullo Stato se due omosessuali si sposassero.” ecco questo è un punto importate, perchè lo stato deve riconoscere qualcosa se questo qualcosa non ha incidenza su di esso? E incidenza ovviamente significa che ci sono degli oneri.

    Facciamo un esempio, io decido che sono il marchese di Carabà, posso crederlo di esserlo, fa parte della mia libertà indviduale e non danneggia nessuno credo. Per quanto riguarda lo stato non conta nulla, orami i titoli nobiliari non hanno alcuno peso. Bene poniamo che allora io dica “Stato, voglio anadare da un ufficiale civile che mi firmi una carta dove si riconosce che io sono il marchese di Carabà”. Secondo il tuo modo di vedere questo sarebbe un diritto, perchè sono rispettati i punti 1) fa parte delle mie libertà 2) non danneggio nessuno 3) lo stato non ha oneri

    per il punto tre propongo una grammatica generativa 😉

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Per quanto riguarda il primo punto, il riconoscimento come “famiglia” è un’idea interessante. Tuttavia devi tenere presente che il rapporto affettivo far due omosessuali non è diverso da quello fra due etero. In effetti non serve sposarsi per stare insieme e questo vale anche per un uomo e una donna: quando lo si fa è perché gli si dà un valore emotivo e sentimentale particolare e questo desiderio dovrebbe essere rispettato in entrambi i casi.

      Sul secondo punto credo ci sia un problema di fondo: tu vedi lo Stato come un’entità a sé stante, ma esso è solo una proiezione degli stessi cittadini: se non ci fosse un popolo non ci sarebbe uno Stato. Pensare che lo Stato debba fare qualcosa solo perché quella qualcosa ha incidenza su sé stesso è dare allo Stato una valenza autonoma rispetto ai cittadini. Perché lo Stato dovrebbe preoccuparsi di restaurare vecchi monumenti o di promuovere eventi culturali? Come ricade sullo Stato il benessere dei singoli, la loro qualità di vita, la loro felicità? Dovrebbe fare lo Stato qualcosa per rendere più sereni i propri cittadini oppure no? A mio avviso non c’è solo una questione di do ut des: se fosse solo così, lo Stato non si dovrebbe occupare di moltissime cose che non hanno un ritorno direttamente per lo Stato stesso. In realtà la missione dello Stato è servire il popolo, nel senso più ampio del termine, e quindi anche dare ai cittadini l’opportunità di soddisfare i propri desideri e realizzare i propri sogni quando questo non danneggia altri.

      Terzo punto: cosa vuol dire essere Marchese di Carabà? Se tale titolo desse diritto solo a fregiarsi dello stesso, perché no, potrei anche avere tale carta, ma in realtà noi chiediamo allo stato di certificare ruoli e titoli che implicano diritti e doveri e quindi, se essere marchese volesse dire, ad esempio, poter accedere al palco d’onore agli eventi sociali, lo Stato dovrebbe definire i criteri di candidatura e selezione e verificarli a fronte di tale richiesta. In passato, per i titoli nobiliari, era proprio così: i criteri erano legami di sangue ed ereditarietà e ad ogni titolo corrispondevano oneri e onori. È quello che succede ancora oggi per le esenzioni fiscali o per avere diritto a particolari “privilegi”, non sempre sbagliati. In fondo se tu fossi un extracomunitario e “decidessi” di diventare cittadino italiano (tua libertà e non danneggia nessuno) dovresti avere dei criteri per candidarti (residenza, anni passati in Italia, conoscenza della lingua e della Costituzione, tot anni di lavoro, ecc..) e quindi poter fare domanda. Come per il Marchese di Carabà.

  12. Marco Del Pin ha detto:

    “Tuttavia devi tenere presente che il rapporto affettivo far due omosessuali non è diverso da quello fra due etero. ” questa parte non capisco che relazione abbia con la mia proposta di famiglia, potresti spiegarti meglio?

    “tu vedi lo Stato come un’entità a sé stante,” no, non mi sono speigato bene, fai conto che quando scrivo “stato” devi leggere “l’insieme dei cittadini” e di questo insieme prendo le caratteristiche comuni, quind escludo la componente etica e prendo solo la parte razionale e quindi universale.

    “Perché lo Stato dovrebbe preoccuparsi di restaurare vecchi monumenti o di promuovere eventi culturali? ” perchè questa attività è di beneficio per la collettività, tutto quello che porta beneficio non ad un singolo o a gruppi ristretti di cittadini è giusto che sa di competenza dello stato (ricorda, stato = insieme di cittadini)

    “se fosse solo così, lo Stato non si dovrebbe occupare di moltissime cose che non hanno un ritorno direttamente per lo Stato stesso. ” per esempio? A me non vengono in mente questi casi.

    “In realtà la missione dello Stato è servire il popolo, nel senso più ampio del termine,” mi pare che in questo caso sia tu a personalizzare lo stato, sostituisci a stato la mia definizione “In realtà la missione dei cittadini è servire il popolo, nel senso più ampio del termine” scritta così non ha molto senso mi pare. Perchè mai la mia missione (io sono cittadino) dovrebbe essere servire il popolo? Questa definizione ha senso in strutture etiche come la Chiesa dove effettivamente ci sono gruppi di persone hanno la funzione di servire altri, ma non credo che possa essere applicato ad uno stato laico, tra l’altro “servire il popolo” mi pare che sia un concetto prettamente etico, (inoltre è piuttosto vago, proprio come sono i principi etici) per cui dovresti anche spiegarmi chi ha stabilito che questo principio debba essere valido per tutti. (per me non lo è)

    “Se tale titolo desse diritto solo a fregiarsi dello stesso, perché no,” occhio, non ho fatto un esempio astratto, ma contestualizzato, difatti ho detto “stante il fatto che non comporta oneri” quindi questo punto è come premessa. Quindi tu sostieni che se io mi presento al comune è un mio DIRITTO che il funzionario pubblico mi firmi una carta che riconosca questo mia convinzione di essere marchese e che quindi sia un DOVERE dello stato e quindi anche tuo attuare questo diritto?

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      “Tuttavia devi tenere presente che il rapporto affettivo far due omosessuali non è diverso da quello fra due etero. ” questa parte non capisco che relazione abbia con la mia proposta di famiglia, potresti spiegarti meglio?

      Devi tener presente che lo Stato non deve legiferare solo a fronte di considerazioni di carattere economico o comunque materialista, ma anche su quelle di natura affettivo/relazionale. Lo scopo di uno Stato dovrebbe essere il benessere dei suoi cittadini e tale benessere non è solo quello fisico ed economico (ricchezza, salute, istruzione, ecc…) ma anche quello legato alla psiche, al morale, al sentirsi bene. In effetti, come forse avrai letto in questo articolo, non è strettamente necessario che la popolazione sia ricca per stare bene. Una volta che hai una casa, un lavoro e due pasti al giorno, la possibilità di fare le ferie da qualche parte, quello che davvero conta è la serenità e un pizzico di felicità: poter stare con la famiglia, avere amici, avere quindi del tempo libero, non aver paura di uscire la sera, non subire prevaricazioni… una vita serena vale più di una vita di agi.

      Se quindi due persone si amano e desiderano vivere insieme e ufficializzare tale relazione con un matrimonio (che una volta, almeno in teoria, garantiva il “fino a che morte non ci separi, oggi non più ma si fa finta che), allora dovrebbe permetterglielo, e questo vale tanto per le coppie etero che per quelle omo.

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      “tu vedi lo Stato come un’entità a sé stante,” no, non mi sono spiegato bene, fai conto che quando scrivo “stato” devi leggere “l’insieme dei cittadini” e di questo insieme prendo le caratteristiche comuni, quindi escludo la componente etica e prendo solo la parte razionale e quindi universale.

      In effetti questo è un punto potenzialmente equivoco: lo Stato è concettualmente “l’insieme dei cittadini”, ma anche un insieme di istituzioni e queste due cose non sempre coincidono nella realtà. Suggerisco, se a te va bene, di usare nel primo caso il Popolo e nel secondo lo Stato, così non possiamo equivocare. Sono solo convenzioni ma aiuterebbe a evitare incomprensioni. Se vuoi propronine un’altra.

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      “Perché lo Stato dovrebbe preoccuparsi di restaurare vecchi monumenti o di promuovere eventi culturali? ” perché questa attività è di beneficio per la collettività, tutto quello che porta beneficio non ad un singolo o a gruppi ristretti di cittadini è giusto che sa di competenza dello stato (ricorda, stato = insieme di cittadini)

      In realtà non esiste il beneficio per la collettività, ma solo per quelle persone che sanno amare e apprezzare l’arte e la bellezza e che spesso non sono necessariamente la maggioranza. Il fatto è che lo Stato deve promuovere attività non solo che beneficino i cittadini, ma anche in base a principi condivisi, e quello della cultura è uno. In questo ha anche un ruolo educativo. Ti faccio un esempio: in Italia pochissimi conoscono il metodo e il pensiero scientifico. Molti pensano di conoscerlo perché usano continuamente la tecnologia, ma non è così. Dovrebbe lo Stato non impegnarsi su questo fronte perché AL MOMENTO interesserebbe solo un numero molto limitato di cittadini, o dovrebbe farlo proprio per far crescere tale numero? Credo che tu condivida con me quale debba essere la risposta, no?

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Sull’ultimo punto, tu hai ovviamente usato un caso particolare, come quello del “marchese“, al quale oggi non diamo più alcun significato. Se tuttavia l’essere marchese lo avesse ancora e se tu avessi tutte le carte in regola per esserlo, in effetti sì, tu avresti diritto di richiederlo e lo Stato di dartelo, dopo gli opportuni controlli. È quello che succede oggi quando vuoi cambiare un cognome “scomodo”. Supponi di essere una donna e di chiamarti “Troia” di cognome. La cosa potrebbe darti fastidio. In questo caso, il cambiamento di cognome non darebbe alcun ritorno allo Stato e neppure ad altri cittadini: sarebbe una questione privata, solo tua. D’altra parte non ti puoi cambiare cognome da sola, perché implica tutta una serie di modifiche nei registri della Pubblica Amministrazione e di vari enti (carta d’identità, passaporto, patente, residenza, ecc…) per cui solo lo Stato potrebbe farlo (inteso come istituzioni). Secondo il tuo ragionamento lo Stato si dovrebbe rifiutare perché (1) riguarda un singolo cittadino, (2) non dà alcun vantaggio alla società, (3) rappresenta un costo per lo Stato stesso. Invece è un caso previsto ed è giusto sia così, perché il benessere dei cittadini include anche quello del singolo cittadino se tale benessere non impatta negativamente in modo significativo gli altri.

  13. Marco Del Pin ha detto:

    “nel primo caso il Popolo e nel secondo lo Stato, così non possiamo equivocare.” non lo ritengo necesario, infatti le istituzioni sono solo lo strumento con cui il popolo agisce nei confronti della collettività, comunque per essere più chiaro d’ora in poi userò la locuzione “il popolo” così non dovrebbero esserci dubbi.

    “Lo scopo di uno Stato dovrebbe essere il benessere dei suoi cittadini ” e qui siamo d’accordo però dobbiamo fare delle precisazioni. Innazitutto il fatto che lo “il popolo” pensi al mio benessere non esclude affatto il meccanismo del do ut des. Un cittadino felice produce un ritorno in termini migliorativi della società? Penso di si e non credo che ci possano essere dubbi in questo senso.

    Qerò quel che manca nel tuo discorso penso che sia una visione sfumata delle situazioni, facciamo degli esempi. Il cittadino ha il diritto di circolare sul suolo nazionale, “il popolo” ha il dovere di costruire delle strade, ma non da al cittadino anche un’atomobile per spostarsi da A a B e nemmeno costruisce tutte le strade che vengono richieste. Non da l’automobile ma fornisce degli autobus, ma l’autobus viene fatto pagare ecc. ecc. Quel che voglio dire è che non esiste un meccanismo automatico come tu sembri suggerire del tipo “mi fa felice questo per cui me lo dai”, piuttosto quel che compete allo stato è mettere tutti a pari condizioni, non fornire a tutti quel che chiedono ma fornire a tutti la possibilità di muoversi, la possibilità di muoversi comprende anche avere degli autobus, ma compete al singolo metterci il suo sforzo per raggiungere un risultato, fosse anche solo pagare il biglietto dell’autobus.

    Riguardo alla contestazione alla limitatezza dei interesse per alcuni servizi ti rispondo che quel che conta è l’effetto che ha una certa “fornitura” del popolo, se fornisco a 10 individui cultura scientifica e questi grazie alla loro cultura ottengono benefici che ricadono su 1000, non devi considerare i 10 ma i 1000 per il conteggio. Dobbiamo insomma fare un discorso di indotto e vedrai così che da questa prospettiva tutto quadra con il mio discorso che lintervento dle popolo dve riguardare un numero significativo di individui.

    L’ultimo punto vedo che è ancora problematico, stai andando oltre quel che volevo esprimere, ripeto, la domanda è riferita al caso ben circostanziato che ho presentato, a quello devi rispondere.

    Tu scrivi “Se tuttavia l’essere marchese lo avesse ancora e se tu avessi tutte le carte in regola per esserlo, in effetti sì, tu avresti diritto di richiederlo e lo Stato di dartelo,”
    ma io ho scritto che IO sono convinto di essere marchese, non che ho le carte in regola per esserne convinto.
    Per comodità riporto i termini della questione:
    1) Io sono convintodi essere marchese
    2) Una carta firmata da un ufficiale civile che attestasse che io sono marchese non comporterebbe nessun effetto pratico per il resto della società

    D) Ho il diritto di PRETENDERE dal popolo questa carta?

    Riguardo il discorso del cognome invece non stanno così le cose, un cognome ridicolo non ha effetto solo su chi lo porta ma anche su quelli che gli stanno intorno. Facciamo un altro esempio, se io avessi una voglia di forma ridicola in un posto non visibile del mio corpo avrei il diritto di avere delle cure di chirurgia estetica per rimediare? Io direi di no, mentre se la voglia di forma ridicola me la trovo in faccia direi che le cure mediche estetiche siano doverose, ho reso l’idea?

    Riassumendo, è vero che il popolo deve tendere al benessere dei suoi cittadini ma non è affatto detto che sa tenuto a soddisfare qualsiasi richiesta anche se oggettivamente questa richiesta potrebbe portare al benessere, prima di tutto occorre vedere se dal punto di vista degli oneri sia una richiesta possibile, i.e. se chiedo una Ferrari, poi però rimane la questione di opportunità che sto cercando di far emergere con la domanda sul marchese.

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Ad essere sincero, mai quanto in questo momento preferirei distinguere fra Popolo e Stato. Comunque la mia era una proposta tesa solo ad evitare equivoci. Diciamo allora che quando io uso il termine Stato intendo l’apparato statale. Per quanto riguarda il resto del discorso, non è che lo ritenga sbagliato, anzi, tuttavia sarei molto cauto a subordinare ciò che lo Stato ti deve (e che di fatto è solo un ritorno delle tue stesse tasse) solo a un mero calcolo di ritorno per la società, questo almeno in uno Stato come quello italiano che mette il becco in un numero un po’ eccessivo di questioni che altrove sono considerate del tutto private. Sulla questione del “marchese”, è evidente che non è la convinzione ad avere un diritto che permette di averlo, ma il rientrare nei termini previsti per averlo. Se io fossi ipocondriaco e convinto di essere disabile ma non avessi nessuna effettiva disabilità, non potrei certo pretendere il posto macchina per disabili. Ma se io fossi stato psicologicamente traumatizzato e non potessi camminare per questo pur essendo funzionalmente abile, fintanto che non riuscissi a guarire, avrei diritto a tale posto.

  14. Marco Del Pin ha detto:

    “questo almeno in uno Stato come quello italiano che mette il becco in un numero un po’ eccessivo” perchè tirare in ballo lo stato Italiano? Io vorrei fare un discorso prima su cosa è meglio fare e solo in un secondo momento cosa sia opportuno in un contesto specifico.

    “è evidente che non è la convinzione ad avere un diritto che permette di averlo,” già, però non hai ancora risposto alla domanda specifica.

    “e io fossi ipocondriaco e convinto di essere disabile ma non avessi nessuna effettiva disabilità, non potrei certo pretendere il posto macchina per disabili. ” questo perché sarebbe un onere ingiustificato, per cui non c’entra con il problema del marchese.

    “a se io fossi stato psicologicamente traumatizzato e non potessi camminare per questo pur essendo funzionalmente abile, fintanto che non riuscissi a guarire, avrei diritto a tale posto.” e anche questo è un altro problema.

    Nel frattempo mi è venuta in mente una spiegazione migliore di quel che intendo.

    Io dico “tutti gli interventi del popolo devono rispondere ad un criterio di do ut des.” questo non significa che io abbia già definito quale è l’insieme dei diritti, ma che una volta individuati i criteri per individuare se una certa azione soddisfa il requisito do ut des tutte le azioni devono passare questo filtro, quindi se determiniamo che insegnare latino produce una ricaduta positiva sulla società, diventa automatico che questo tipo di servizio è compatibile con la regola generale.
    Quel che contesto a te è che invece il tuo criterio è piuttosto vago, non è chiaro quale sia il principio che devono soddisfare gli interventi del popolo, hai messo dentro molte cose, il fatto che i gay così sono felici, il fatto che non incide sul resto del popolo, il fatto che in altri paesi già c’è ecc. (a proposito, ma pensi veramente che dire che una certa pratica sia presente altrove sia un valido motivo per introdurla da noi?) tutte cose che possono anche essere vere, ma che in pratica non filtrano nulla, ci sono un’infinità di situazioni che possono ricadere in questi criteri.

    bon, aspetto la risposta sul marchese.

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Io sono liberale, per cui i miei principi sono molto simili a quelli della dichiarazione d’indipendenza americana (poi mai pienamente realizzati dagli stessi Stati Uniti). Personalmente trovo che il criterio “do ut des” sia limitativo. Se ti aspetti tuttavia che riconduca il tutto a quattro assiomi, non è così: ponimi dei casi specifici e ti dirò quali sarebbero i principi che applicherei. Non sono pochi perché non sono pochi i casi, ma li ho ben chiari. Ad esempio, credo che ognuno dovrebbe avere le stesse opportunità ma che poi debba essere il merito a stabilire il riconoscimento.

      PS Cosa vuoi ancora sapere sul marchese? Non mi è chiaro.

  15. Marco Del Pin ha detto:

    1) Io sono convinto di essere marchese
    2) Una carta firmata da un ufficiale civile che attestasse che io sono marchese non comporterebbe nessun effetto pratico per il resto della società

    D) Ho il diritto di PRETENDERE dal popolo questa carta?

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      No. Se essere marchese ha un significato definito dallo Stato, allora lo Stato definisce anche i criteri di candidatura e quindi che tu sia convinto o meno non importa: puoi candidarti, ma se non rispetti quei criteri non avrai il certificato. Se invece essere marchese non ha per lo Stato nessun certificato, tu sei libero di scriverlo pure sul biglietto da visita e la porta di casa, ma lo Stato non avrà alcuna procedura per rilasciare alcun certificato dato che non è cosa che lo riguardi.

  16. Marco Del Pin ha detto:

    “No. Se essere marchese ha un significato definito dallo Stato, allora lo Stato definisce anche i criteri di candidatura e quindi che tu sia convinto o meno non importa: puoi candidarti, ma se non rispetti quei criteri non avrai il certificato. ”
    Questa parte di risposta non è pertinente con le premesse

    “Se invece essere marchese non ha per lo Stato nessun certificato, tu sei libero di scriverlo pure sul biglietto da visita e la porta di casa, ma lo Stato non avrà alcuna procedura per rilasciare alcun certificato dato che non è cosa che lo riguardi.”
    Ok, qui ci siamo.

    Ora vorrei sollevare una metaquestione che poi vedrai non è avulsa alla questione principale.
    Mi ci è voluta una certa fatica per avere una risposta a questa questione del marchese nonostante tu sia una persona onesta ed intelligente. Secondo te perchè è avvenuto questo?

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Questa parte di risposta non è pertinente con le premesse

      Non capisco cosa intendi: le premesse di chi?

    • Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

      Mi ci è voluta una certa fatica per avere una risposta a questa questione del marchese nonostante tu sia una persona onesta ed intelligente. Secondo te perchè è avvenuto questo?

      Semplice, perché il linguaggio naturale è intrinsecamente equivoco e quindi è facile usare lo stesso termine con significati diversi e discutere per ore senza rendersene conto. Se avessi potuto usare la logica matematica sarebbe stato diverso. Invece è necessario analizzare a fondo ogni parola se si vuole essere sicuri di dare la risposta alla domanda fatta e non a qualcosa di diverso. Avremmo potuto procedere diversamente definendo prima ogni termine in modo esatto ma sarebbe stato lunghissimo da fare via thread. Queste sono discussioni che vengono meglio in un confronto diretto davanti a una lavagna o fogli di carta.

  17. Marco Del Pin ha detto:

    “Non capisco cosa intendi: le premesse di chi?” le mie premsse. Io ho posto il problema e ho posto anche le ipotesi iniziali e mi pare di non essere stato ambiguo. Se pensi che sia stato ambiguo o che abbia dimenticato qualcosa mi farebbe piacere capire dove.

    “Semplice, perché il linguaggio naturale è intrinsecamente equivoco e quindi è facile usare lo stesso termine con significati diversi e discutere per ore senza rendersene conto.” questa è una spiegazione vera a livello generale ma è appicabile a questo caso concreto? i.e. sei in grado di dire che tipo di ambiguità avresti riscontrato nella mia esposizione del problema?

  18. Marco Del Pin ha detto:

    Tranquillo, ogni tanto faccio un ping per accertarmi che non si sia perso qualcosa, non voglio pressarti.

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