Elogio dell’Offesa: il Diritto di Dire le Cose Sbagliate


Della diversità

Se ci sono degli argomenti che sono anni luce lontani dal mio modo di pensare, sono quelli che possono dare origine in un modo o nell’altro a una qualsiasi forma di discriminazione. Sebbene ovviamente io appartenga a una specifica cultura, ovvero quella italiana in primis ed europea in secundis, mi sento veramente cittadino del mondo e considero la diversità come una forma di ricchezza, esattamente come lo è la biodiversità per il mondo in cui viviamo.

Ogni volta che mi trovo di fronte a qualcuno che esprime opinioni discriminatorie nei confronti di un’altra persona a causa della sua identità di genere, del suo orientamento sessuale, dell’appartenenza a uno specifico gruppo etnico o in generale di ciò in cui crede o non crede, mi ergo a difesa di chi viene discriminato, cercando di diffondere una cultura di equità e inclusività.

Parimenti, tuttavia, ogni volta che mi trovo di fronte a qualcuno diverso da me, non solo nel modo di vivere, ma appunto proprio nel modo di pensare o ragionare, la considero comunque un’opportunità di arricchimento e di crescita, persino quando le nostre posizioni sono antitetiche, quantomeno perché il dibattere e il cercare di confutare determinate affermazioni, mi permette di mettere alla prova i valori in cui credo.

Per questo motivo, non ho mai ritenuto che si dovesse negare agli altri il diritto di dire “le cose sbagliate”. Ovviamente ci sono alcune posizioni con le quali non potrò mai essere in accordo e se esse dovessero dar luogo a comportamenti discriminatori, vedrebbero in me un avversario assolutamente intransigente ma, finché la questione si pone a livello di opinioni, non mi sognerei mai di censurare o penalizzare chi dovesse esprimerle, per quanto possa non essere d’accordo con esse.

Non è solo una questione di principio, ma pratica. Innanzi tutto è importante che tali opinioni vengono espresse, perché contribuiscono a creare consapevolezza su come effettivamente pensino le persone. Immaginate che il fare una certa affermazione venga ostracizzato al punto che coloro che la pensano in quel modo si guardino bene dal dirlo, anzi, mostrino agli altri una posizione completamente opposta. Non per questo quelle persone smetterebbero di pensarla a quel modo, e probabilmente tale modo di ragionare influenzerebbe comunque ogni loro decisione. Continuerebbero a discriminare, solo che diventerebbero più abili a nascondere le ragioni alla base delle loro decisioni dietro ad altre giustificazioni, del tutto inattaccabili sul piano razionale. In pratica, costringere alla clandestinità un certo modo di pensare è pericoloso, perché si potrebbe scoprire troppo tardi che quel modo di pensare in realtà rappresenta una fetta di popolazione significativa se non addirittura la maggioranza, e a quel punto non ci sarebbe più alcun modo di bloccare una vera e propria controrivoluzione sul piano sociale.

Altro aspetto pratico: mettersi alla prova. Ciò che pensiamo è davvero giusto? Lo pensiamo perché abbiamo buone argomentazioni a supporto o su base ideologica? Perché in quest’ultimo caso, cosa ci distinguerebbe davvero da coloro che la pensano in modo opposto? Se siamo davvero convinti delle nostre posizioni, è buona cosa poterle mettere alla prova. Questo ci permetterà di irrobustirle, o anche di modificarle, se ci accorgiamo che alcuni aspetti di ciò in cui crediamo non sono così chiari e solidi come pensavamo. In un modo nell’altro, ne traiamo vantaggio.

Della discriminazione

C’è anche un’altra considerazione da fare. Noi siamo abituati a pensare che ci siano gruppi che discriminano e gruppi che sono discriminati, ovvero in termini assoluti. Ma è davvero così?

In realtà le cose sono un po’ più complesse: discriminare è, purtroppo, nella natura umana. Sono molti i fattori che entrano in gioco nel portare qualcuno a discriminare qualcun altro. Sarebbe lungo qui entrare nel merito, ma un fattore rilevante è legato alla “competizione”, ovvero la discriminazione è spesso un modo per tagliare fuori da una competizione qualcuno non in quanto meno adatto ma appunto in quanto “portatore” di una diversità.

Quello su cui vorrei invece attirare la vostra attenzione è sul fatto che se andiamo a guardare come pensano le persone, scopriamo che la realtà è decisamente più articolata. Ci sono ad esempio persone LGBTQ+ che sono razziste; persone di colore che sono omofobe. In pratica, tutte le combinazioni possibili nell’essere discriminati ma al tempo stesso discriminare, sono possibili.

Il punto è che purtroppo l’essere oggetto di discriminazione non ha mai impedito a qualcuno di discriminare a sua volta. Se così non fosse, ben pochi sarebbero quelli che discriminano, dato che la maggior parte delle persone, per un verso o per l’altro, sono state oggetto di discriminazione. Magari non è stato per l’identità di genere o per il colore della pelle, ma per il ceto sociale, l’età, l’appartenenza a una certa etnia o l’essere nati in un certo Paese, il fatto di essere genitori singoli o separati, per non parlare delle mille forme di bullismo che colpiscono chiunque a volte per dettagli del tutto insignificanti, come qualche brufolo di troppo o il semplice portare gli occhiali o l’apparecchio.

Certo, alcune forme di discriminazione sono peggio di altre, ma non sono pochi gli adolescenti che si sono suicidati per ragioni che potremmo definire “irrilevanti” ma che loro vivono come un dramma irresolubile.

Quindi, più che suddividere l’umanità per genere, colore della pelle, orientamento sessuale, fede laica o religiosa, età e via dicendo, dovremmo dividerla in due grandi categorie: quelli che sanno accettarsi e accettare la diversità degli altri serenamente e quelli che non sono capaci di farlo. Ci sarebbe da domandarsi a questo punto quale, alla fine, risulterebbe essere la categoria più numerosa. Fossi pessimista, direi la seconda, ma potrei sbagliare.

Delle opinioni “sbagliate”

Detto questo, torniamo all’argomento di questo articolo: il diritto di dire le cose sbagliate. In questi ultimi anni, ha preso piede sempre di più, soprattutto nella cultura americana, la tendenza a proibire l’utilizzo di determinate parole fino al punto da rimuovere da opere letterarie o cinematografiche. Chiunque dovesse usarle o esprimere argomentazioni considerate “offensive”, viene ostracizzato e di fatto cancellato sul piano professionale.

Questa tendenza è molto preoccupante, anche perché quella americana è una cultura dominante, ovvero ha una grande capacità di influenzare altre culture nel mondo.

Sono molti gli aspetti criticabili di questo modo di affrontare le “opinioni sbagliate”. Il primo fra tutti è l’ipocrisia. Si fa infatti una grande attenzione all’aspetto esteriore del problema, quello formale, senza affrontare seriamente quello pratico. Se io fossi una persona di colore, avrei davvero paura ad andarmene in giro per la strada in una qualsiasi città degli Stati Uniti d’America comportandomi così come mi comporto di solito. Tecnicamente, un italiano viene considerato un “bianco” negli USA, anche se il concetto di razza applicato alla specie umana è del tutto ascientifico e per molti di noi europei del tutto inconcepibile. Io non mi sento “bianco”. Al massimo mi sento “europeo”.

Resta il fatto che gli USA sono tuttora un Paese molto violento, dove si pensa che possedere qualcosa che può essere usato per ammazzare un’altra persona sia un diritto e dove la polizia, che dovrebbe essere vista come qualcosa di rassicurante, fa paura, specie se appunto sei una persona di colore. E non è che questo cambi se metti a tavolino in un cast di una serie TV un mix appositamente selezionato di “persone diverse”, in modo da “dimostrare” che sei inclusivo. Ovviamente quante di ogni tipo viene scelto con grande attenzione: sia mai che esagerando si possano ridurre gli incassi della pubblicità.

Infatti, mentre da una parte si fa gran parlare del rispettare le diversità, la cultura americana resta una delle culture più ostiche a tutto ciò che non è allineato ad essa. La vera diversità, ovvero il fatto che qualcuno possa vivere secondo principi diversi da loro, non è qualcosa che gli americani digeriscono facilmente.

Delle offese

Detto questo, affermare che non si debba dire nulla che possa offendere un’altra persona è un criterio valido, sempre e comunque applicabile?

Riporto qui tre post pubblicati su Facebook che mi hanno colpito particolarmente e che personalmente condivido, e vi spiegherò il perché subito dopo.

Tuttavia, questa cosa che le scuole ora chiudono per pioggia, freddo o due fiocchi di neve è ingiusta. Ai miei tempi la scuola non chiudeva mai. Se pioveva, ci andavi con l’ombrello; se faceva freddo, ti coprivi; e se nevicava, camminavi. E siamo sopravvissuti lo stesso.

Corteggiare? È stalking. Fare un complimento? È catcalling. Spiegare? È mansplaining. Non ci provi con qualcuno perché lei/lui è brutto? È bodyshaming. Se non ci fosse l’inglese, probabilmente qualcuno starebbe ancora facendo sesso.

Il tempo è molto vicino in cui non sarà più possibile parlare di nulla, non potremo dire di nessuno che è magro, grasso, alto, basso, bello, brutto, africano, albino, polacco, filippino. Come per magia, i romanzi presenteranno personaggi senza corpi o volti, ectoplasmi indifferenziati. Persino raccontare barzellette diventerà improponibile. Incontrarsi se non ci si è mai visti prima, impensabile. Forse torneremo agli stereotipi di mia nonna, che per descrivere uno che parlava un dialetto o una lingua incomprensibile diceva “cispadano”, uno con un’aria violenta “lanzichenecco”, uno con un’aria stupida “mammelucco”. O neanche quello: qualcuno potrebbe sentirsi discriminato dai discendenti dei mammelucchi, dei lanzichenecchi e dei cispadani.

La questione è che si sta sviluppando una cultura in cui ci viene chiesto di preoccuparci in modo maniacale che qualcun altro non si senta offeso o a disagio da ciò che facciamo o diciamo. Questo è chiaramente un approccio ipocrita, perché chi lo sostiene certamente non si preoccupa se qualcuno che si offende sia una persona i cui valori ed etica differiscono sostanzialmente dai propri.

Per fare un esempio estremo, nessuno in Italia si preoccupa certamente che un talebano si senta offeso perché le donne hanno il viso scoperto o indossano bikini in spiaggia, sebbene poi, spesso per convenienza politica, ci sono alcune eccezioni anche in questi casi, come coprire i genitali delle statue quando qualche pezzo grosso del mondo islamico visita i nostri musei.

In pratica, il principio della “non offesa” viene applicato secondo un criterio “due pesi, due misure”. Il ragazzo che fischia al passaggio di una bella ragazza sta facendo catcalling e quindi sta adottando un atteggiamento offensivo, mentre la ragazza che sta in topless in spiaggia può tranquillamente “offendere” il bacchettone di turno.

E qui bisogna fare una precisazione fondamentale perché altrimenti si rischia di cadere in un grosso equivoco: io non sto dicendo che il primo atteggiamento sia giusto né che il secondo sia sbagliato. Sto evidenziando come l’applicazione del principio della “non offesa” è falsamente politicamente corretto, perché qualcuno in realtà stabilisce a priori cosa sia offesa e cosa no, e quindi non è un valore assoluto, dato che lascia ampio margine alla discrezionalità ed è fortemente influenzato dalla cultura.

Dobbiamo accettare una cosa, senza la quale qualsiasi discussione sull’argomento sarebbe sterile: ci sono culture con valori diversi se non antitetici, che non sono e non potranno mai essere compatibili fra loro. Non è questione di discutere o trovare un compromesso. O si entra in conflitto o una delle due culture cede all’altra. Ovviamente ognuna riterrà nel frattempo di essere quella “giusta”.

Detto questo è evidente che non si dovrebbero offendere gli altri. Ora, chiaramente, offendere una persona, intenzionalmente e con malizia, non è certamente un comportamento accettabile, ma l’offesa nel senso di non preoccuparsi di dire o fare qualcosa che l’altra persona potrebbe non gradire o che la tocca nel profondo, svolge un ruolo importante nella formazione del carattere.

Qualcuno ha detto che i tempi difficili forgiano uomini e donne forti, che gli uomini e le donne forti garantiscono tempi facili, che generano uomini e donne deboli. Inutile dire che uomini e donne deboli genereranno infine tempi difficili.

Bene, noi siamo in quest’ultima fase. Stiamo formando generazioni di persone deboli, che vanno in confusione e si perdono di fronte alla minima difficoltà. Basti pensare alla scuola: non si dovrebbero dare voti altrimenti gli studenti si deprimono; bisogna avvisarli prima di interrogarli altrimenti si stressano; bisogna evitare qualsiasi termine o aggettivo che potrebbe farli sentire inappropriati o a disagio. E si potrebbe andare avanti per ore. E naturalmente bisogna evitare loro qualsiasi disagio, anche solo andare a scuola sotto la pioggia. Mia nonna a nove anni camminava 10 km da sola ogni mattina per andare a scuola, perché il paesino in cui viveva era troppo piccolo per averne una. Nove anni!

Tuttavia, tornando alla questione dell’“offesa”, siamo arrivati a riscrivere opere del passato perché usavano termini o proponevano situazioni che ora sono considerate inappropriate. Una damnatio memoriæ estremamente pericolosa perché rischiamo di dimenticare come vivevano le persone in passato e quindi di ripetere gli stessi errori. Prima o poi qualcuno proporrà di riscrivere la storia stessa.

Abbiamo paura di tutte le forme di violenza, compresa la violenza orale. Ma la violenza orale è un terreno in cui possiamo tutti combattere ad armi pari, a differenza della violenza fisica. Certo, addestrandoci con l’arte dell’oratoria, con la retorica, con tutto quel patrimonio di termini e idiomi che la lingua italiana e, ancor di più, gli idiomi regionali e i dialetti della nostra penisola possono fornirci. Con un linguaggio ricco, insomma, perché più ricco è il linguaggio, maggiore è il pensiero.

Quindi benvenuta offesa, benvenuto confronto, anche confronto ingiusto, sbagliato, offensivo, magari fatto con stile, con arte, senza nemmeno bisogno di essere inutilmente volgare, perché è un banco di prova per formare il carattere; quel carattere che ci servirà per affrontare la vita, perché quest’ultima non si preoccupa delle nostre regole e se ci offendiamo o meno: la vita è ingiusta e ci vogliono uomini e donne forti per poterla affrontare a testa alta.


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