Spesso, quando osserviamo le imponenti strutture che dominano lo skyline di Dubai, ci chiediamo quale sia il senso di costruire in verticale. Storicamente, questa scelta è stata spesso motivata da considerazioni “politiche”, una sorta di dimostrazione di ricchezza e potere, simile alle piramidi egizie o alle torri di Bologna. Tuttavia, ciò che è stato guidato da ragioni in parte discutibili potrebbe ora rappresentare una soluzione a un problema che affliggerà sempre di più il pianeta nei prossimi decenni: il cambiamento climatico.
Chiariamo un punto: il clima sta cambiando, e questo è un dato di fatto. Sebbene si possa discutere all’infinito sull’entità del contributo umano a tale cambiamento, è evidente che le sue conseguenze sono aggravate dalla cattiva gestione del territorio causata dall’urbanizzazione umana.
L’abbiamo visto in Europa Centrale, nella pianura padana e in questi giorni in Spagna. Abbiamo costruito dove non avremmo dovuto, deviato fiumi e prosciugato laghi, disboscato e coperto il terreno, ostacolando il drenaggio naturale dell’acqua. Esondazioni e smottamenti causati da precipitazioni estreme stanno provocando danni per centinaia di milioni di euro e mietendo centinaia di vittime. Situazioni simili si verificano a causa di trombe marine, tornado e medicane. Venti che raggiungono centinaia di chilometri all’ora scoperchiano case e trasformano ogni oggetto in un proiettile mortale.
Siamo otto miliardi e tendiamo a concentrarci principalmente lungo le coste e in prossimità di fiumi e laghi, poiché l’acqua è essenziale per la nostra sopravvivenza. Questo crea le condizioni ideali per disastri di proporzioni planetarie. Ormai, non c’è regione del mondo che non sia colpita da questi eventi estremi.
Dobbiamo restituire la terra alla Terra. Dobbiamo ridurre l’impatto dell’urbanizzazione sul territorio. Non è qualcosa che si possa fare in un anno e neppure in dieci, ma va fatto. Dobbiamo iniziare a farlo. E c’è un modo per farlo.
Abbiamo le conoscenze tecnologiche e le competenze ingegneristiche e architettoniche per costruire megastrutture autosufficienti ed ecosostenibili, in grado di resistere a terremoti e venti molto intensi, che possano ospitare una quantità significativa di popolazione su una superficie limitata.
Non mi riferisco ai grattacieli che dominano molte metropoli del mondo, specialmente in Asia, ma a qualcosa che assomigli di più a delle piramidi, ovvero strutture a gradoni con una base più ampia che si restringe verso l’alto. Queste strutture dovrebbero includere giardini verticali e sfruttare l’energia eolica e solare attraverso microturbine e vetri fotovoltaici perfettamente integrati nell’architettura.
Strutture in cui l’acqua piovana venga raccolta e riutilizzata, dove le risorse non siano sprecate ma parte di cicli basati su principi di economia circolare. Luoghi in cui le persone si spostino principalmente a piedi, utilizzando per i tragitti più lunghi o in caso di disabilità, veicoli elettrici pubblici, ascensori, scale e marciapiedi mobili, eliminando di fatto il veicolo privato.
Strutture che restituiscano spazio alle foreste e siano collegate tra loro da linee ferroviarie a sospensione magnetica, prevalentemente interrate, per evitare la frammentazione e l’isolamento di aree di terreno, permettendo così alla fauna di muoversi liberamente su tutto il territorio.
Queste strutture vanno disegnate tenendo conto di tutte le necessità umane ma al contempo anche di quelle del nostro pianeta. La loro forma non deve ostacolare i venti e le correnti atmosferiche, bensì consentire loro di aggirarle, proprio come la corrente di un ruscello intorno ai sassi. Sarà necessario considerare il terreno e le fondamenta, ma, come ho detto, se vogliamo, sappiamo esattamente come fare le cose nel modo giusto e cosa evitare. Si tratta di mettere in pratica le conoscenze che abbiamo accumulato nel corso dei millenni nella costruzione di abitazioni.
Dovremo abbandonare le vecchie città, rimuovere gli edifici privi di valore storico e trasformarle in musei all’aria aperta, come Pompei o l’Acropoli di Atene. Questi diventeranno grandi parchi naturali che ricorderanno un vecchio modo di fare urbanizzazione, ormai incompatibile con la transizione che il nostro pianeta sta attraversando. Solo in questo modo riusciremo a sopravvivere. Cambiando anche noi.
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