Normalità e devianza


DAL VOSTRO POLITICAMENTE SCORRETTO VICINO DI RETE

Sento spesso parlare di normalità e di devianza, dando alla prima un’accezione positiva, alla seconda una negativa. Chi giustamente non accetta questo modo di vedere le cose reagisce spesso affermando che siamo tutti normali o che siamo tutti diversi, negando in entrambi i casi un valore a questi termini. Ma è davvero così? Non possiamo davvero più parlare di normalità o di devianza?

Mi occupo di metodologie di risoluzione dei problemi da oltre quarant’anni. Ho iniziato quando facevo il fisico presso il CERN di Ginevra. In questa disciplina, i termini normale e devianza hanno significati ben precisi, significati che non hanno assolutamente un’accezione positiva o negativa e tantomeno etica, ma di natura prettamente pratica.

Si dice normale quanto atteso, devianza quanto si discosta dall’atteso.

Cosa vuol dire? Ebbene, facciamo il caso che mi butti dal sesto piano di una casa sul selciato sottostante. Penso sarete d’accordo con me che è del tutto normale aspettare che mi spiaccichi al suolo, mentre sarebbe decisamente un’anomalia se iniziassi a rimbalzare come una palla di gomma. Quindi, se ogni volta che succede qualcosa o mi trovo davanti a qualcosa, questo qualcosa è esattamente quello che mi sarei aspettato, o quanto meno, una delle tante possibilità che avrei potuto elencare a priori, mi trovo di fronte a una situazione normale; in caso contrario sono di fronte a una devianza. La normalità è positiva? Non è affatto detto. Se mi gettano addosso dell’olio bollente mi ustiono di brutto, il che è perfettamente normale ma non certo positivo. Se esco, prendo la macchina e sbaglio strada nel cercare un ristorante che mi hanno indicato e, stanco di cercare e affamato, mi fermo in una piccola trattoria del paesino in cui sono finito e scopro un posto dove si mangia benissimo a modico prezzo quello che sembrava un problema si è trasformato in un’opportunità.

E veniamo alle persone. Siamo tutti diversi, ma per una serie di motivi alcune diversità vengono considerate più importanti di altre. Ad esempio, per molti il colore della pelle è un problema ma non hanno altrettanti problemi con quello degli occhi. Così, analogamente, per alcuni sono un problema i gusti sessuali ma non si pongono problemi rispetto a quelli gastronomici. Un alieno che arrivasse sulla Terra avrebbe qualche problema a capire la logica di tutto ciò, ma tant’è.

Perché c’è chi afferma che essere in un certo modo sia normale mentre un altro sia una deviazione? Semplicemente perché vede le cose dal suo punto di vista, ovvero rispetto a quanto si aspetta. È giusto o è sbagliato? Bella domanda. Vediamo di porla in un altro modo: esiste un criterio unico e condivisibile per poter affermare quale aspettativa sia giusta e quale no? Molti pensano di sì, sia fra quelli che mettono sul piedistallo un presunto criterio di normalità — uno dei più usati e abusati è l’essere o meno “contro natura” — sia fra quelli che inneggiano al diritto alla diversità. Purtroppo per gli uni e per gli altri, questo criterio non esiste.

I concetti di “giusto” e “sbagliato” sono del tutto valoriali, ovvero dipendono dalla scala di valori che adottiamo e quindi dalla nostra cultura. Ad esempio, negli ultimi secoli essere omosessuale era considerata una devianza punibile col carcere se non con la morte. Questo vale ancora oggi in alcuni Paesi, come l’Iran o diversi Paesi africani. Nei Paesi occidentali si sta affermando sempre di più, tuttavia, il diritto ad esprimere l’identità di genere che sentiamo, per cui è pensabile che nel giro di poche generazioni l’avere un’identità non binaria, ad esempio, sarà considerato normale. D’altra parte in molti Paesi, soprattutto in Asia, ma era vero anche in Europa fino a pochi secoli fa, che un adulto possa sposare una dodicenne è considerato del tutto accettabile: sono le cosiddette spose bambine. Da noi non lo è affatto, come non lo è l’infibulazione o altre pratiche analoghe di mutilazione.

Certo, dietro ogni sistema valoriale uno può poi costruire tutta una serie di impalcature razionali o pseudo-tali per sostenere le proprie tesi, ma se andiamo alla radice del problema, dobbiamo accettare un fatto: non esiste un criterio universale che possa stabilire A PRIORI e UNA VOLTA PER TUTTE cosa sia giusto o sbagliato. Può non piacere, ma se non arriviamo a questa consapevolezza allora vuol dire che stiamo facendo della nostra posizione una “religione”, e sappiamo bene come le religioni portino spesso al conflitto.

Ma i diritti? Se qualcosa è un diritto allora è giusto, altrimenti è sbagliato. Sembrerebbe la risposta alla nostra domanda, ma in realtà stiamo solo spostando il problema, non risolvendolo. Forse la cosa vi scioccherà, ma i diritti non esistono. Ovvero, non esiste alcun criterio oggettivo per stabilire a priori se qualcosa sia un diritto. Un diritto è tale solo fintanto che siamo in grado di farcelo riconoscere. Le donne che manifestavano per poter votare nei secoli scorsi, venivano spesso incarcerate perché violavano la legge, come violavano la legge le persone di colore che “pretendevano” di studiare nelle stesse scuole dei bianchi negli Stati Uniti fino a pochi decenni fa, o di viaggiare sugli autobus davanti, assieme ai “bianchi”. Fintanto che un pugno di uomini e donne che, con coraggio e rischiando di persona la propria libertà e a volte anche di più, non sono riusciti a farsi riconoscere come un diritto votare e studiare, quei comportamenti erano considerati punibili dalla legge. Una volta che le varie società hanno iniziato a riconoscerglieli, sono diventati diritti.

In conclusione, la nostra società basa le relazioni fra le persone su due colonne portanti: aspettativa e riconoscimento. L’aspettativa è quella che definisce la “normalità”, il riconoscimento è quello che modifica l’aspettativa. Se vogliamo essere considerati normali e vederci riconosciuti quelli che noi pensiamo essere nostri diritti, dobbiamo lavorare su questi due fattori. Solo così è possibile arrivare a un cambiamento. Ecco perché manifestare ma anche far conoscere, confrontarsi, alzare la voce quando è necessario, è importante. Sta solo a noi trasformare qualcosa in un diritto, e dobbiamo essere consapevoli che questo ha sempre un prezzo.


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