Giuseppe Culicchia


Le dieci regole del buon formichiere

  • Non dire mai bugie, a meno che non sia strettamente necessario.
  • Non svegliarti troppo tardi la mattina.
  • Non mangiare altri animali.
  • Leggi tanti libri.
  • Guarda meno la tv.
  • Non inquinare.
  • Fai ciò che senti di fare, e non ciò che gli altri pensano dovresti fare.
  • Agisci in modo da poter desiderare di vivere di nuovo.
  • Non avere paura del futuro, dipende da te come sarà.
  • Non rassegnarti.

«Mein Freund Anselm» (Deutscher Taschenbuch Verlag) è un divertentissimo libro, rallegrato anche dai disegni di Culicchia che rappresentano alcune scenette che vedono come protagonista Anselm, il formichiere sulle cui avventure è centrato il romanzo. Dopo i drammatici e intensi «Knapp daneben», «Bla Bla Bla», «Kommt gut» e «Paso Doble», l’autore si sperimenta in una scrittura ricca di humour surreale e spesso quasi demenziale. Il volume è composto da una serie di capitoli che raccontano le avventure e la vita di un curioso formichiere, Anselm, che, venuto in Italia per i mondiali di calcio, al seguito della nazionale del Brasile, squadra per cui tifa, si è fermato a vivere a Torino, condividendo un appartamento di quaranta metri quadri con Culicchia e tanta parte della sua vita.

Laureatosi in filosofia teoretica all’università torinese e conoscitore di molte lingue straniere, Anselm da timido e goffo si trasforma gradualmente, capitolo dopo capitolo, in salutista, in frequentatore di discoteche, in giovane alla ricerca di un lavoro, in umanitario aspirante padre adottivo, infine in membro di quel popolo di Seattle contestatore di globalizzazione e WTO. L’improvviso arrivo dei genitori formichieri getta sgomento nel figlio alternativo, che teme di esibire la cresta colorata che si erge sulla sua testa, le scritte trasgressive delle magliette e l’immancabile basso che lo accompagna nelle sue canzoni. La mediazione di Culicchia, se facilita l’incontro tra la famiglia di formichieri, non potrà però arginare le spinte razziste di un vicinato insofferente a una presenza inquietante ed estranea come quella del simpatico formichiere Anselm che risolverà il problema partendo da Torino.

L’argomento paradossale talvolta nasconde dei chiari riferimenti all’attualità, ma non è tanto la metafora sottesa alla narrazione che diverte, quanto le avventure in sé, la tenerezza del personaggio, la sua dolcezza e simpatia, la capacità di assorbire tutte le sollecitazioni (pubblicità, mode, costume) a cui i ragazzi sono sottoposti e di interpretarle a modo suo. In fondo un amico formichiere è davvero stimolante.

Culicchia, lei riesce a seguire tutte le «dieci regole del buon formichiere»?

Purtroppo non tutte. Mi capita di svegliarmi tardi la mattina, ad esempio, e di mangiare altri animali, e anche di leggere meno di quanto vorrei (mi succede quando scrivo: evito di entrare in contatto con altre scritture e mi limito a leggere libri di carattere storico o comunque di saggistica). La prima regola — non dire mai bugie, a meno che non sia strettamente necessario — contiene una scappatoia (una cosa che Anselm deve aver imparato in Italia) e dunque è facile da rispettare. E la quinta (guarda meno la tv) non è difficile da seguire: la tv non è mai stata così noiosa come in questi ultimi anni, che io ricordi. Per il resto, mi piace camminare e cerco di usare il più possibile i mezzi pubblici e di attenermi alle ultime quattro, che mi sembrano le migliori.

Anselm guarda il mondo con stupore e affronta i grandi problemi dell’umanità (il razzismo, la povertà, l’inquinamento, la manipolazione genetica, le adozioni) con un’ingenuità disarmante. Lei crede che gli adulti possano ancora guardare il mondo con quegli occhi pieni di meraviglia e sdegno?

No, non credo proprio che gli adulti siano ancora capaci di guardare il mondo con occhi pieni di meraviglia e di sdegno. Ecco perché quando siamo adolescenti gli adulti non ci piacciono troppo: sono cinici e disillusi, di solito. L’ingenuità di Anselm può certo sembrare disarmante, ma in realtà credo che siano assai più disarmanti i nostri comportamenti. La Terra sta diventando un posto sempre più sgradevole, e la responsabilità è tutta nostra. Anche per questo ad un certo punto Anselm dice che non mi invidia per niente in quanto essere umano; molto meglio, dal suo punto di vista, essere un formichiere.

Anselm da timido e impacciato si trasforma gradualmente in salutista, in frequentatore di discoteche fino a diventare membro del popolo di Seattle contro la globalizzazione. Quanto di questo percorso appartiene a Giuseppe Culicchia?

Io mi limito a scrivere storie, e cerco di farlo il più onestamente possibile, indipendentemente da quello che fanno i miei personaggi. In generale, vado meno in discoteca rispetto a quando avevo vent’anni. E anche se non sono un membro del popolo di Seattle credo che le proposte di quel gruppo meriterebbero un po’ di attenzione in più da parte di governi e multinazionali. Tuttavia questo è altamente improbabile: l’unico fine che ci si propone è il conseguimento del maggiore profitto possibile, quali che siano le conseguenze. Con l’esito che (come dicevo prima) il mondo sta diventando un posto sempre più sgradevole.

Nel libro «A spasso con Anselm», il formichiere è stato disegnato personalmente da lei. Perché questa scelta?

Ho disegnato alcuni schizzi perché i disegnatori contattati dall’editore producevano bellissimi formichieri che però non erano Anselm, e volevo aiutarli a capire com’è fatto Anselm. E l’editore ha detto che il formichiere potevo disegnarlo io, visto che ce l’avevo in casa. Anselm però dice di essere più magro.

Scrittore, disegnatore e anche traduttore (una nuova edizione di «American Psyco» di Bret Easton Ellis, «Lo sfidante» di F.X. Toole). Quante altre passioni ci sono nella sua vita?

Mi piace camminare. In città, in campagna, dappertutto. Ascolto molta musica, soprattutto Wagner, Purcell, il punk e la techno. E amo molto leggere, anche se come dicevo mi sembra sempre di non leggere abbastanza. Poi adoro le giostre, soprattutto le montagne russe e il tiro a segno, e giocare a scacchi. Fino a qualche anno fa suonavo la batteria. Ma a un certo punto ho capito che per ottenere dei risultati minimamente apprezzabili, con il mio talento musicale, avrei dovuto dedicare allo studio e alla pratica dello strumento un po’ di tempo in più: diciamo due o trecento anni. E allora ho lasciato perdere.

A cosa sta lavorando ora?

A un romanzo, come faccio da un bel po’ di anni a questa parte, e spero di riuscire a finirlo, un giorno.


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