Quella riportata qui a sinistra è una pagina del quotidiano Avvenire e precisamente pagina 20 del 27 luglio 2005. Sembrerebbe una pagina qualunque. Infatti la struttura è la stessa di quella di tutte le altre pagine del quotidiano: la barra grigia in alto con il numero di pagina, la data e il titolo della rubrica («Speciale Risparmio»), l’impaginazione, i caratteri, persino un riquadro di pubblicità della Banca Mediolanum.
All’interno diversi articoli. Lo stile è quello giornalistico, tipico dell’informazione tradizionale. La cosa che lascia tuttavia perplessi, leggendo l’articolo, è come l’intera pagina riporti tutte notizie in qualche modo collegate alla Banca Mediolanum, inclusa quella di un’iniziativa a favore delle famiglie colpite dallo tsunami nel Sud Est asiatico. La cosa inizia a essere sospetta.
In effetti, se si guarda con attenzione la barra in alto — quella del titolo — ecco che a destra, là dove generalmente è riportato il logo del quotidiano, compare invece quello del gruppo che possiede la stessa banca della pubblicità di cui sopra: il Gruppo Mediolanum. Se poi si osserva anche l’angolo opposto della barra grigia, quello dove c’è la data, si nota sotto, in piccolo, la scritta Informazione Commerciale.
È evidente, a questo punto, che non ci troviamo di fronte a una normale pagina di un quotidiano: l’intera pagina non è altro che una pubblicità della Banca Mediolanum e dei suoi prodotti. Ora, dal punto di vista formale, tutto è stato fatto secondo i crismi e nel rispetto della legge. La pagina è segnalata come «informazione commerciale», eufemismo usato ormai da diverso tempo per evitare il termine più popolare «pubblicità». Tuttavia è evidente come tutto l’impianto sia stato costruito per giocare sull’equivoco: la pagina si mimetizza perfettamente con le altre pagine del giornale, per cui è facile non accorgersi subito del tranello. Il risultato è che nella maggior parte dei casi si finirà per leggere almeno uno degli articoli, prima di capire che stiamo leggendo semplicemente della pubblicità e non dell’informazione finanziaria indipendente. Nel peggiore dei casi, il più sprovveduto, potrebbe non accorgersi del tutto del piccolo inganno.
Ripeto: da un punto di vista legale è tutto lecito, ovvero non ci troviamo di fronte a una truffa. Tuttavia, da un punto di vista etico, non lo trovo assolutamente corretto. Una pagina di pubblicità dovrebbe essere meglio evidenziata, non solo mettendo maggiormente in evidenza la scritta Informazione Commerciale, ma anche dando alla stessa pagina un aspetto differente. Purtroppo sono oramai un paio d’anni che sempre più aziende utilizzano pubblicità mascherate all’interno di giornali e negli spettacoli televisivi. Ad esempio, in certi spettacoli di cabaret alla televisione, sono comparse delle scene che avevano lo stesso aspetto di quelle dello spettacolo e nel quale i comici presentavano una scenetta assolutamente normale, salvo alla fine fare riferimento a un determinato prodotto. Anche qui compariva in basso a sinistra, in piccolo, la scritta Informazione Commerciale, ma solo all’inizio. Se uno non se ne accorgeva o aveva acceso la televisione subito dopo che la scritta era scomparsa, si guardava tranquillamente la scenetta per scoprire solo dopo un paio di minuti che in realtà aveva guardato della pubblicità. Un trucchetto anti-zapping, insomma. Geniale, se vogliamo, ma poco corretto, specie se a presentare la scena sono gli stessi comici che fanno lo spettacolo.
Se continua così assisteremo presto a casi di informazione commerciale persino all’interno di un telegiornale, presentati come notizie dagli stessi giornalisti del TG, salvo l’immancabile scritta in piccolo a legittimare l’inganno. Credo che il Garante che si occupa di pubblicità dovrebbe ridefinire le regole del gioco, perché non è giusto mimetizzare in questo modo gli spot pubblicitari. Senza contare che quando le informazioni di questo tipo sono integrate, per così dire, in un quotidiano o in un telegiornale, vengono in qualche modo investite di una maggiore autorevolezza, dato che il lettore o lo spettatore le accomunano a notizie vere e proprie. Se questa abitudine dovesse prender piede, si rischia di togliere al giornalismo vero anche quel minimo di reputazione che ancora aveva conservato. E non mi sembra proprio il caso, data già la poca fiducia che i sondaggi rivelano gli italiani hanno nei confronti dei giornalisti in genere, come categoria.
Purtroppo gli italiani sono famosi più per la loro furbizia (che spesso si ritorce contro loro stessi) che per la loro onestà: siamo bravissimi, una volta fatta la legge, a trovare l’inganno e ciò che ho letto qui sopra ne è l’ennesima prova!
Eccovene un’altra (la prima che mi viene in mente): “i numeri telefonici 166… hanno tariffe troppo alte e vanno regolamentati duramente” –>> “OK, allora ne inventiamo altri (diversi) ma con uguale tariffazione eccessiva…”
Queste cose possono succedere solo da noi!
Dario, hai ragione: i “trucchetti” di cui parli sono perfettamente legali ma eticamente moooolto discutibili.
Mi domando: “una cosa eticamente molto discutibile” non è praticamente uguale a “una cosa alquanto disonesta”?
Da un giornale un lettore si aspetta (ok, diciamo che “vorrebbe trovare”) soprattutto onestà…
A proposito: l’ordine dei giornalisti che fa davanti a queste cose? Sbaglio o dovrebbe vigilare sul comportamento “etico” dei giornalisti?
Zingaro
Mi domando: “una cosa eticamente molto discutibile” non è praticamente uguale a “una cosa alquanto disonesta”?
Purtroppo no. Accusare qualcuno di disonestà vuol dire accusarlo di aver infranto una qualche regola che doveva rispettare per sua scelta esplicita o per obbligo di legge. Se accusi qualcuno di disonestà a fronte di qualcosa lecito da un punto di vista legale, è diffamazione.
L’Avvenire e Mediolanum non hanno fatto nulla di illecito, ma sicuramente anche non esente da critiche. Per cui, dato che in un Paese democratico la libertà d’opinione e di pubblicazione sono diritti riconosciuti a tutti i cittadini, ho ritenuto appropriato segnalare il caso all’attenzione dei lettori di questo blog. Naturalmente è solo un esempio: Avvenire e Mediolanum non sono gli unici a usare questa forma di pubblicità camaleontica.
Proprio perché non sono gli unici: l’ordine dei giornalisti non ha nulla da dire in merito?
Un richiamo ufficiale, una tiratina d’orecchie, proprio niente?
Zingaro
Ho paura proprio di no. D’altra parte gli Ordini Professionali sono un’anomalia tutta italiana. Negtli altri Paesi democratici vale il libero associazionismo, ovvero i giornalisti possono creare quante associazioni e sindacati vogliono, ognuno autoregolamentato. Dopodiché sono i lettori a giudicare ed eventualmente penalizzare non comprando i giornali o cambiando canale. Negli USA, ad esempio, la guerra dele notizie è molto forte: chi sbaglia viene spesso escluso dal gioco. E il giornalista licenziato.