Quando cede anche il cuore


È venerdì sera a Torvaianica. La maggior parte delle famiglie è a cena o davanti alla televisione. In un appartamento di un piccolo condominio, abitato prevalentemente da italiani, un uomo e una donna stanno chiacchierando in soggiorno. Lui è italiano, lei ucraina ma vive in Italia già da diversi anni dove lavora con regolare permesso di soggiorno. Non sono più giovani entrambi, ma le difficoltà della vita li hanno fatti conoscere e sono diventati amici. A un certo punto lui si sente male. È un infarto. Non è il primo che ha. Già in passato l’uomo aveva avuto dei problemi con il cuore ma ha imparato a conviverci. La donna, spaventata, chiama il 113 ma nessuno risponde. Presa dal panico esce sul pianerottolo e suona ai vicini, li chiama. Da dentro si sente il televisore acceso, ma nessuno viene ad aprire. Lei non ha la macchina, non ha neppure la patente, non sa come fare per portare l’uomo al pronto soccorso. Torna in casa e chiama l’amministratore del condominio che, preso alla sprovvista, le suggerisce di provare con il 112. La donna riattaca e compone il numero, ma anche questa volta non ottiene risposta. L’uomo, intanto, non dà segni di vita. Allora la donna esce di nuovo sulle scale e suona a diversi appartamenti, ma ancora una volta nessuno le apre. Grida, chiama, sente che nelle case c’è qualcuno: inutilmente. Alla fine richiama l’amministratore il quale telefona a sua volta al 118: questa volta ottiene una risposta. Richiama subito la donna: «L’ambulanza sta arrivando. Non si preoccupi.» E in effetti l’ambulanza arriva… trenta minuti più tardi. L’uomo è ancora vivo. Lo portano subito all’ospedale, ma qui i medici dicono che è troppo tardi, che non possono fare nulla. Pochi minuti dopo l’uomo muore. Alla donna non resta che tornarsene a casa, in quella casa nella quale nessuno ha voluto darle una mano, nonostante la conoscessero da tempo, nonostante conoscessero l’uomo. In quella casa ormai silenziosa e buia.

Quella donna aveva lavorato in molti Paesi prima di venire in Italia, aveva passato soprattutto molto tempo in Germania e mai, mai le era capitato di vedere tanta indifferenza, tanta mancanza di solidarietà. Ora è tornata alla vita di tutti i giorni. Lavora come donna di pulizie in alcuni condominii di Roma. Deve lavorare per vivere, nonostante la morte del suo amico. Forse, se anche i vicini l’avessero aiutata, se anche al 112 e al 113 avessero risposto prontamente, se anche l’ambulanza fosse arrivata prima, forse quell’uomo sarebbe morto lo stesso. Era molto grave e sapeva perfettamente di avere pochi anni di vita. Lui lo sapeva, ma gli altri no, e nonostante questo non hanno fatto nulla per aiutarlo. Quell’uomo non è morto infatti solo perché il suo cuore ha ceduto: è morto perché ha ceduto anche quello di coloro che lo potevano aiutare. Il cuore di quegli italiani che qualcuno insiste a voler chiamare «brava gente»…

La storia qui riportata è vera. Sono stati omessi o alterati solo alcuni dettagli per salvaguardare la privacy dei protagonisti. È successo solo pochi giorni fa nella provincia di Roma.


2 commenti su “Quando cede anche il cuore
  1. rizia ha detto:

    Chiamo spesso il 113 quando vedo degli incidenti per strada, soprattutto in strade ad grande percorrenza, non rispondono mai prontamente, se la prendono comoda.

    E non parliamo delle ambulanze… le chiami ed arrivano quando decidono loro: se hai bisogno di un pronto intervento puoi solo raccomandare l’anima a Dio, sperando che ti ascolti.

  2. HYPA82 ha detto:

    Che skifo di realtà -_-

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