Figli legalmente scomparsi


Considerazioni sul caso di Natasha Kampush

Il ritorno di Natasha Kampush alla libertà dopo otto anni di prigionia sorprende, e fornisce al tempo stesso l’occasione per confrontare la situazione di asservimento psicologico di un minore, rapito criminosamente ai suoi genitori, con la situazione di allontanamento affettivo che un figlio subisce, con progressivo rifiuto verso il genitore non convivente, a seguito della separazione.

Quando il giudice affida un figlio esclusivamente ad uno dei genitori che si separano, forse, non riflette mai abbastanza su quale enorme potere suggestivo riesce ad esercitare il genitore affidatario sul figlio. Ogni ragazzo per crescere ha bisogno di riporre la piena fiducia nei genitori; né più né meno di quanto un buon cristiano ha bisogno di riporre la sua piena fiducia nelle Sacre Scritture.

Però la storia ci mostra di quante guerre, persecuzioni e atrocità si sia macchiata l’umanità in nome del credo religioso; e quanto ancora oggi conflitti, terrorismo e indicibili barbarie vengano commesse nel sacro nome di un dio. E quante volte il credo religioso si fonde con l’orgoglio etnico, con l’esaltazione fanatica di tutto ciò che appartiene al sangue del proprio sangue?

In effetti non è facile distinguere i valori morali, acquisiti da bambini con l’educazione dei nostri genitori, dai valori spirituali insegnatici dalla religione. Possiamo pensare che nella mente immatura, bisognosa di certezze, l’intero patrimonio di valori acquisiti si fonda in un coacervo ben amalgamato, che appare ai suoi occhi come l’unico universo possibile, e non come uno dei tanti universi possibili.

Cosa accade al momento della separazione con l’affidamento del figlio ad un solo genitore? Né più e né meno di quello che accade quando due etnie o la popolazione appartenente a due religioni diverse decide di spartirsi il territorio nazionale formando due regioni indipendenti. Se l’affidamento del figlio toccherà ad un genitore equanime ed realmente animato da spirito democratico, egli si dimostrerà rispettoso dei valori dell’ex partner. Ciò equivarrà alla situazione in cui l’etnia o la religione dominante in un paese non sia tale da sterminare o marginalizzare la fazione di minoranza. In caso contrario, la fazione più potente ne approfitterà per prevalere, sopprimendo un’intera popolazione o il loro culto religioso. L’odio razziale, l’orgoglio del legame di sangue abbatterà ogni limite imposto dalla civiltà, e le pulsioni più primitive e cannibaliche prevarranno.

Il caso di Natasha ci inquieta perché ci rende consapevoli di come orrendi crimini possono essere perpetrati quotidianamente dal nostro vicino di casa, che ci sembra una brava persona. Ci insegna che un essere immaturo può abituarsi a condizioni di vita disumane alle quali non riesce ad opporsi per paura di conseguenze peggiori. Ci insegna che il rapporto vittima-persecutore può essere veicolato dall’affetto, sia pure un affetto malato. Un affetto primitivo, crudele ed egoista che, senza rispettarne i reali bisogni, pretende l’oggetto desiderato interamente per sé.

Ma per sottomettere al proprio volere un essere immaturo non c’è bisogno di minacciarlo di morte: basta fargli capire che potrebbe perdere qualcosa di fondamentale. E cosa di più importante, per un figlio, del genitore a cui è maggiormente attaccato e da cui il figlio sente dipendere tutta la sua esistenza? Quando il genitore affidatario diventa l’unica risorsa di salvezza affettiva per il figlio, il suo potere suggestivo si moltiplica e si fa ideologia assoluta che non ammette trasgressioni. La fedeltà del figlio al genitore più amato si trasforma in vera e propria fede cieca, capace di qualsiasi gesto sacrificale: olocausto. Lo sterminio sacrale dell’etnia dell’altro genitore.

L’orrore può verificarsi proprio sotto lo sguardo impassibile del giudice, indurito dall’abitudine del suo ruolo di angelo sterminatore; incapace però di considerare due cose alla volta. Ovvero che il supremo interesse del minore si coniuga con la suprema atrocità inflitta ad un genitore innocente, che verrà allontanato dalla vita del figlio e distrutto nei suoi affetti, con inevitabile devastazione della sua esistenza. Un sentimento che riceve il massimo riconoscimento e solidarietà nei casi di figli rapiti, ma che viene assolutamente disconosciuto qualora si venga a trovare in identica situazione un genitore non affidatario.

La menzogna del figlio che incrimina il genitore non convivente si riveste di santa giustificazione, in virtù di un più alto principio: il permanere di un mondo perfetto in assenza di contraddizione, in cui la benedizione — impartita col crisma dell’unione indissolubile con la propria familiarità — condanna, solo perché secondo, a razziale, ripudiata diversità proprio quell’essere che, tuttavia, a buon diritto, avrebbe ancora diritto ad essere considerato sangue del suo sangue.

L’odio del figlio per il genitore dopo la separazione è stato definito e descritto in vari modi.

Lo studioso italiano Gaetano Giordano ha definito «mobbing genitoriale» il processo di ostile emarginazione di uno dei genitori dai propri figli, dopo la separazione.

Lo psichiatra statunitense Richard Gardner, negli anni ottanta, coniò il termine «Sindrome di alienazione genitoriale» per descrivere la reazione di rifiuto, caratterizzata da un crudele schieramento fanatico dei figli con un genitore ai danni dell’altro e della sua cerchia familiare-amicale. Ostilità spesso argomentata con motivazioni deboli, artificiose, risibili. Stucchevole vittimismo. Mal celate menzogne, tollerate impotentemente dalla fiacca indulgenza dei giudici, solo perché proferite da esserini accattivanti e apparentemente impotenti.

Perché apparentemente? Perché proprio attraverso l’opera di distruzione degli affetti dell’altro genitore nei loro confronti, quei poveri ragazzi credono di diventare magicamente potenti: potenti come il nemico che hanno distrutto. Acquisiscono improvvisamente quel potere che giustamente dovrebbero acquisire molti anni dopo.

È ben noto il tema del figlio, che, travisando, individua nel genitore rifiutato il colpevole ostacolo al proprio sviluppo e lo attacca distruttivamente. Viene da pensare alla parabola del figliol prodigo, o al paradigma psicoanalitico della nevrosi incentrato sul complesso edipico.

È più faticoso crescere con un genitore che ci supervisiona costantemente, o, mettendolo da parte, illudersi di raggiungere repentinamente, con un balzo magico di onnipotenza, il tanto agognato potere dell’adulto?

Grazie alla complice incapacità della magistratura, tanto di fare giustizia, quanto di provvedere alla loro migliore educazione, i figli dei genitori separati crescono falsamente. Acquisiscono solo l’arroganza dell’essere adulti senza poterne vantare la maturità.

Tutto il mondo plaude alla forza d’animo e alle grandi capacità di Natasha Kampush, eroina assurta dal buio delle cantine alle luci della ribalta. Eroina ispiratrice, o modello da fraintendere per tutti gli adolescenti pronti a vivere la propria fanatica opposizione contro i genitore? Nel caso della separazione conflittuale, l’illusione del figlio è ancora più grottesca perché crede di servire un suo autonomo interesse, mentre viene solo strumentalizzato da un genitore nel suo immaturo e malato odio contro l’altro.

Una società che delega la risoluzione di questi problemi ai giudici — professionalmente impreparati a comprendere i fenomeni psicologici della conflittualità familiare — può solo finire col degradarsi ulteriormente delegando la scelta del proprio destino ai figli. È il rovesciamento di tutti i valori. Il fallimento della società degli adulti nell’affrontare i problemi che genera. Il fallimento della credibilità del mondo degli adulti agli occhi dei figli. L’incapacità di gestirli. Un mondo privo ormai di credibilità, esposto al pubblico ludibrio di ragazzi che si permettono di sbeffeggiarlo con strafottenti menzogne.

Verrà il giorno in cui l’affidamento esclusivo di un figlio ad un genitore verrà equiparato ad un crimine contro i diritti umani. Verrà il giorno in cui le atrocità commesse dagli attuali giudici verranno equiparate agli orrori dell’inquisizione o degli stermini etnici. Verrà il giorno in cui sarà chiaro che il morboso attaccamento di un genitore ad un figlio, che gli preclude il giusto rapporto con l’altro, verrà equiparato al rapimento compiuto da una mente malata o criminale.

Affinché lo strazio subito da Natasha nella sua breve infelice vita non resti solo un dolore privo di senso, è bene che ognuno di noi rifletta; che non dimentichi con la stessa superficiale rapidità con cui, spente le luci della ribalta, il buio cala sulle nostre malcerte coscienze.


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