ARTICOLO DELL’APRILE 2003
Tra gli splendidi affreschi di Palazzo Firenze di Roma si è svolto, martedì scorso, il convegno «Il sardo e le minoranze linguistiche nell’Europa delle regioni» in occasione del bicentenario della nascita del Canonico, e Senatore del Regno, Giovanni Spano (1803-1878). La giornata di studi, organizzata dalla Società Dante Alighieri e dalla FASI (Federazione Associazioni Sarde in Italia), con il patrocinio del Senato della Repubblica, dell’Associazione Culturale Giovanni Spano, del Comune di Roma, della Regione Sardegna e del Comune di Ploaghe, ha avuto grande successo di pubblico che ha affollato le bellissime sale del Palazzo che si affacciavano sul magnifico giardino interno.
Il Presidente della Dante Alighieri, Bruno Bottai, ha dato inizio ai saluti per poi lasciare la parola a Tonino Mulas, Presidente FASI, e a Gianni Borgna, Assessore alle Politiche Culturali del Comune di Roma, i quali hanno espresso l’importanza della difesa delle minoranze linguistiche per mantenere le proprie radici e la propria identità e hanno ricordato Giovanni Spano come personaggio internazionale, importantissimo per la cultura sarda, in contatto con i grandi intellettuali europei del tempo. Il Canonico, nato a Ploaghe, è stato uno dei più grandi studiosi della nostra isola: da fondatore degli studi archeologici sardi fino all’elaborazione e scrittura della Ortografia sarda nazionale, ossia grammatica della lingua logudorese paragonata all’italiana (1840) e il Vocabolario sardo-italiano e italiano-sardo (1851-1852). Entrambe queste opere (ma potremmo dire l’intera e assai vasta opera dello Spano) costituiscono la prova della dignità storica e culturale del sardo, assolutamente necessaria, nel momento in cui, con la perfetta fusione e il successivo processo unitario, la Sardegna si presentava all’appuntamento con le altre regioni italiane e doveva «esibire credenziali di un certo rispetto almeno sul piano delle tradizioni storiche, linguistiche e culturali». In coerenza con questo assunto, lo Spano non si è limitato a raccogliere le voci dell’uso contemporaneo della lingua bensì ha documentato le forme lessicali della tradizione scritta. «La dimostrazione dell’apertura intellettuale dello Spano è anche nell’interesse per le lingue straniere (fu professore di lingue orientali — ebraico e arabo — all’Università di Cagliari)» ha sottolineato nel suo intervento Giovanni Pugliese Carratelli, accademico dei Lincei, «e negli studi dei legami tra l’archeologia sarda con quella di altri paesi del Mediterraneo. Bisogna, inoltre riconoscergli il grande merito di aver indicato il metodo per studiare la civiltà».
Paolo Pulina, giornalista, ha raccontato gli inizi degli studi di Giovani Spano: a nove anni parte, accompagnato da suo fratello, da Ploaghe per la città di Sassari, ma parla soltanto il logudorese e non ha mai sentito una parola di italiano (che gli sarà sempre un po’ estraneo). Studia teologia, diventa insegnante elementare, parte per Roma dove studia ebraico e arabo, torna a Cagliari per insegnare all’università, diventa Direttore della Biblioteca cagliaritana e nel 1840 comincia a pubblicare le sue opere.
Grazia Mannironi, archeologa, si è soffermata sul soggiorno romano dello Spano in cui ebbe modo di affinare il suo gusto in molti campi, dall’arte all’antiquariato. L’intervento di Tullio De Mauro (Università «La Sapienza» di Roma) mette in evidenza come negli anni ’70 in Italia, a differenza di altri Paesi europei, ci fosse una forte opposizione, da parte del PCI, verso una legislazione che desse la possibilità di avere nelle scuole come oggetto di insegnamento anche le lingue di minoranza. Secondo De Mauro «i deputati e senatori sardi non accettavano l’idea che il sardo meritasse l’attenzione di una lingua più diffusa. Fortunatamente con la legge del ’99 siamo potuti arrivare all’idea di identità linguistica delle minoranze». De Mauro sostiene che Giovanni Spano non ebbe esitazioni su cosa fare delle varietà delle parlate sarde: il suo vocabolario le accoglie tutte. Spano segue l’esempio dei vocabolari tedeschi che si qualificavano «Deutsche Mundarten» (a differenza dei primi dizionari spagnoli, francesi e italiani che erano puristi) e apre anche agli italianismi e a tutte le varietà linguistiche, convinto che tutto ciò che veniva detto dovesse essere salvaguardato.
Giulio Paulis, dell’Università di Cagliari, si sofferma sul problema dibattuto in Sardegna relativo alla selezione di uno standard linguistico. Spano riconobbe come lingua nazionale sarda il logudorese tradizionale, letterale, che a qual tempo era in uso nell’eloquenza ecclesiale. Ma dopo la crisi della lingua sarda a metà del ‘900, una recente ipotesi di standard ha creato polemiche tra logudoresi e campidanesi con conseguenti difficoltà che si oppongono alla nascita di una lingua sarda comune. Palis conclude il suo discorso in sardo: metà in campidanese e metà in logudorese.
L’ultimo intervento è stato quello di Mario Segni, deputato europeo, che ha manifestato il problema delle minoranze linguistiche all’interno dell’Unione Europea, nonostante la convinzione dell’importanza di una riscoperta delle lingue minoritarie e di quelle in via d’estinzione.
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