Videodenuncia di 4 fratellini


Il presente articolo fa riferimento al caso dei quattro fratellini che hanno pubblicato su YouTube due filmati in cui accusavano la madre e il suo nuovo compagno di pedofilia. L’accusa è poi risultata falsa, ma il problema di fondo resta, perché comunque alla base della vicenda esiste un forte disagio sociale che troppo spesso non viene affrontato correttamente dalle istituzioni e dagli addetti ai lavori. I due video non sono più presenti su YouTube, essendo stati rimossi. Ai fini tuttavia di comprendere il contenuto dell’articolo, abbastanza tecnico ma comunque a carattere divulgativo, abbiamo riportato una trascrizione parziale dei video in appendice. Sempre in fondo all’articolo sono riportate una bibliografia e una sitografia.

Un classico caso di Sindrome di Alienazione Genitoriale e di denuncia di Falso Abuso

Le associazioni di genitori separati — invariabilmente ignorate, tanto dall’avvocatura e dalla magistratura che dalla psico/pato/logia istituzionale — hanno più volte denunciato le aberrazioni del degrado dei rapporti affettivi a seguito della gestione giudiziaria delle separazioni. Ora gli addetti ai lavori e la stampa devono renderne atto: è da anni che vengono denunciate dalle inascoltate associazioni simili disumanità, senza che i media abbiano mai dato il giusto risalto alle quotidiane tragedie che affliggono migliaia di famiglie italiane.

Eccoli i veri eroi della contesa familiare: i bambini. Stritolati dalla sofferenza della coppia genitoriale che esplode incontrollabilmente (ce ne sono tante ormai), sono costretti a scendere in campo per dirimere i contenziosi che il mondo sempre più grottesco dei sedicenti adulti non riesce a gestire. La più grande dei 4 fratelli — R. — deride gli esperti che dovrebbero tutelare l’infanzia accusandoli di non esser capaci di fare altro che stare «seduti dietro una scrivania a fare i maestri di vita».

In due anni nessuno ha mai creduto alla loro versione, e allora mercoledì 23 u.s. la più grande ha preso il telefonino, si sono chiusi nella loro stanzetta da letto e hanno iniziato le riprese.

Pochi minuti e poi hanno postato il video su YouTube. Due giorni di attesa e silenzio, e allora il 25 hanno iniziato a chiamare le redazioni dei giornali. E finalmente qualcuno ha prestato attenzione al loro video.

La loro versione dei fatti è difficilmente credibile per ciò che riguarda la pedofilia. Ma di fronte all’inutile e dannosa tutela giudiziaria e alla inutile scienza degli adulti che è collusa con un assurdo e disumano sistema giudiziario, perché mai i bambini non dovrebbero adoperare la più semplice delle difese che la natura offre all’uomo nei momenti di emergenza: la bugia. E se devono salvarsi dall’essere rinchiusi in una casa famiglia, allora scelgono la bugia che è per loro più utile, quella che gli consente di stare col genitore che sentono più vicino a loro e insieme al quale ricreare un simulacro del focolare domestico un tempo esistente ed andato distrutto.

Scelgono il genitore che è rimasto più fedele a quel patto che un tempo univa tutta la famiglia. Forse la madre, pur essendosi dedicata a un nuovo compagno in modo lecito e con sani propositi, tuttavia potrebbe avere per i figli un comportamento affettivamente più distaccato rispetto al padre. Oppure potrebbe essere più normativa e pedagogicamente più esigente. Può darsi che la madre si sia inimicata i figli pretendendo da loro una capacità eccessiva di sopportazione del cambiamento. Può darsi che la spaccatura familiare abbia creato una linea di frattura che fin dall’inizio della separazione ha escluso la madre dagli affetti dei figli, alleatisi invece col padre. Forse la coppia di ex coniugi avrebbe avuto bisogno di un tutoraggio che gli spiegasse come non dissestare ulteriormente i loro rapporti familiari. E qualora il tutoraggio non fosse bastato avrebbero avuto bisogno di un intervento psicologico/psichiatrico obbligatorio, forte ed efficace, che li inducesse a riflettere su se stessi e a non perdere il controllo del loro rapporto coi figli! Certo è che non gli ha giovato molto sfidarsi a duello nell’arena giudiziaria.

Richard Gardner, che è stato Clinical Professor di psichiatria infantile alla facoltà di medicina e chirurgia della Columbia University di New York City, nonché psichiatra forense, ed ha studiato e descritto, coniandone il termine, la «PAS — Parental Alienation Syndrome» ha sostenuto che:

«…se le aule dei tribunali fossero assolutamente inaccessibili per questo tipo di giudizi e che se le famiglie non avessero altro posto per risolvere questi conflitti che casa loro, tutto sommato sarebbe meglio. Ovviamente, vi sarebbero alcuni bambini completamente indifesi di fronte ai loro genitori in guerra, che rischierebbero di essere utilizzati come corde da tiro alla fune nelle battaglie fra i due genitori. Comunque il loro numero sarebbe minore di tutti quelli che invece proteggeremmo dalla crudeltà del sistema che contrappone i genitori come avversari in tribunale. Per di più, anche i genitori starebbero meglio. Sebbene l’essere continuamente in battaglia sia, con certezza, psicologicamente traumatico, spostare il campo di battaglia nelle aule di tribunale lo è ancora di più.»

Gardner, 2002b, p. 83

Il prescelto dai 4 fratellini, spavaldamente capitanati dall’irruenta R., è il fortunato papà, il quale nelle interviste rilasciate in televisione non appare preoccupato da una scelta così estrema: quella dei figli di apparire su YouTube. Alla domanda della intervistatrice risponde con pacata dolcezza, dicendo che non se l’è sentita di sgridare i figli. Anzi li ha lodati per il loro coraggio. La libertà concessa dal genitore prescelto ai figli nel rifiutare e odiare l’altro genitore è un tema classico che si ritrova in moltissimi casi di Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS).

Spesso, dopo la separazione, il genitore preferito dai figli sfrutta il loro naturale risentimento. Anche se non dice nulla, col suo tacito assenso avalla ed incoraggia di fatto l’avversione dei figli per l’altro genitore. In questo caso è il padre a fare lo gnorri. Ma non è questo il caso più frequente. Più frequentemente è la madre ad essere preferita dai figli, e quando il padre si lamenta sostenendo che i figli sono plagiati dalla madre, ci si può anche sentir rispondere: «Guarda che in casa non si parla proprio di te!».

Cosa vera senza dubbio, ma che conferma il fatto che in casa c’è un clima di tacito ostracismo. Il nome del genitore non convivente diventa tabù. Non funziona così anche il mobbing? È un mobbing genitoriale (Giordano, 2004; 2005; 2007).

Non si può nominare quella persona perché si sa che è sgradita, e si ha paura di incrinare il fragile equilibrio di un’armonia miracolosamente ricompostasi. È apprezzabile che in questo caso giudici e psicoprofessionisti si siano accorti delle falsità utilizzate per mobbizzare uno dei genitori. Ma in molti altri casi non accade.

Cito un altro caso analogo, quello del Sig. X, giudicato pochi anni fa dalla Corte di Appello di Roma Sezione per i Minorenni, Presidente Dr. Luigi Fadiga. Il decreto recita:

«…il Sig. X addebita alla moglie le difficoltà mostrate dai figli nei suoi confronti dopo la separazione, e il loro attuale rifiuto di incontrarlo. Ma la Corte osserva che manca del tutto la prova di un comportamento materno diretto a svilire la figura paterna o a farla scomparire, mentre sono addirittura sovrabbondanti le prove del pregiudizievole comportamento paterno, di per sé bastante a spiegare l’atteggiamento dei figli nei suoi confronti».

È superfluo specificare che le "prove sovrabbondanti" provengono unicamente dalla madre e dai figli con lei schierati, che sono disposti a mentire pur di non rovinare il loro nucleo familiare residuale. Nello stesso decreto, inspiegabilmente, il giudice Fadiga trascura e travisa la relazione della ASL RM/A che propendeva per il riavvicinamento del padre ai figli, e non accoglie la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, invocata dal padre per dimostrare l’influenzamento della madre sui figli. La Sindrome di Alienazione Genitoriale invocata dal padre non viene presa minimamente in considerazione. A nulla è valso il ricorso in Cassazione, in quanto la Suprema Corte — con giurisprudenza ormai consolidata — ritiene questo genere di ricorsi inammissibili.

Verrebbe da chiedersi perché, nel caso dei 4 fratellini, la tesi della PAS viene presa in considerazione e in tanti altri casi no? Soggettività del giudice? Cosa vuol dire che alcuni casi sono più fortunati e altri no? È così che funziona la giustizia?

Ma allora ha ragione R. — la più grande dei 4 fratellini — nel non sentirsi tutelata dai grandi e a deridere sprezzantemente la risposta a una lettera dell’assessore che fa le veci del Sindaco Walter Veltroni: «Confida negli adulti». Ha ragione di criticare gli adulti che, lungi dall’esser capaci di risolvere le difficoltà concretamente, «stanno seduti dietro una scrivania a fare i maestri di vita». Che è come dire che gli adulti pontificano ma non capiscono nulla.

Penso che abbiano ragione i 4 fratellini. Anche se, difficilmente si può credere che siano stati realmente abusati sessualmente.

Vi sono indizi che almeno la più piccola sia stata indottrinata dalle sorelle maggiori. Infatti, nella dichiarazione sugli abusi subiti, la più piccina ha due sequenze di pausa in cui diventa incerta nel racconto e, in una, si corregge come se avesse ricordato male la versione da raccontare; nell’altra, invece, riprende più speditamente il racconto come se avesse ricevuto il suggerimento sul copione da recitare. In entrambi i casi si sente qualcosa che sembra essere un bisbiglio di sottofondo, come un suggerimento fatto da una delle sorelle (andrebbe verificato con strumenti più sofisticati di quelli di cui dispone l’autore).

Inoltre, l’accusa di rituali satanici o simili viene adombrata chiaramente dal maschietto e anche questo fa parte delle caratteristiche tipiche delle denunce di falso abuso.

Anche il tono disteso della voce con cui i bambini più piccoli concludono le dichiarazioni degli abusi subiti (in particolare la bambina), che se fossero veri avrebbero dovuto lasciarli agghiacciati, inducono seri dubbi sulla validità delle accuse anche nell’osservatore più ingenuo

Infine, i 4 fratellini non sembrano aver subito un trauma in cui sono stati vittime passive. Sembrano solo molto sofferenti e arrabbiati. Tuttavia, difficilmente i bambini abusati affrontano con tanta spavalderia e sprezzo del pericolo i loro carnefici; né tanto meno i giudici, gli psicoprofessionisti e l’opinione pubblica. Spesso i bambini sessualmente abusati devono superare il senso di assoggettamento ai loro abusatori e cedere a malapena, con timore, all’opportunità che gli viene offerta di confessare gli abusi subiti ad un adulto. Adulto nel quale, per arrivare a confessarsi devono riporre estrema fiducia. Figurarsi una dichiarazione pubblica di sfida al sistema giudiziario su YouTube!

In questo caso gli operatori del settore hanno sbagliato coi bambini perché, smascherando le loro bugie, hanno infranto le loro difese, ferendone l’orgoglio e destabilizzandoli. Hanno ferito l’orgoglio di esseri umani deboli e disperati che, anche se bugiardi, mentivano per salvarsi e per ritrovare un equilibrio. Indipendentemente dal dubbio di una loro calunniosa versione dei fatti (di cui siamo quasi certi), non andavano umiliati, minacciati, né, tanto meno, mandati in casa famiglia, lontani dal loro papà che tanto li rassicurava. Addirittura — recrimina tuonando la più grande, che ormai è destinata a diventare la leader, l’eroina o la martire della vicenda — si sono permessi di mandarli in casa famiglia, lontani dal loro papà col quale stanno tanto bene.

Il processo di indebolimento delle facoltà di giudizio, memoria e senso etico, nei bambini (e non solo nei bambini) è progressivo ma inevitabile in questi casi. Più dura la lite, più dura il contenzioso giudiziario, o le perizie dei tecnici ai fini del giudizio, e più i bambini entrano in uno stato di disperazione ingestibile. Si accorgono che i genitori, fino ad allora fantasticati come i loro giganti protettori, altro non sono che ridicoli fantocci nelle mani di un sistema ancora più grottesco e disumano di quanto non venga diffuso dai mass media.

Nel nostro caso, i fratelli si coalizzano in gruppo agguerrito capeggiato da una sorella coraggiosa. È lei l’eroina della vicenda. Colei che ha preso in mano la situazione.

Certo, le psicoprofessioniste Dott.sse Ester Di Rienzo [1] e Simona Trillo [2] — che sono tra le principali accusate dai 4 fratellini — hanno indovinato la diagnosi, ma il sistema nel suo complesso non si è disposto nel giusto modo verso di loro. La bugia era la loro difesa. Il loro passaporto per mantenere viva l’illusione di poter ricreare un nucleo affettivo felice. Levarglielo è servito solo ad inasprire l’odio per la madre e per gli amici e parenti di lei, e a rinforzare la loro richiesta di essere creduti nelle accuse di pedopornografia.

Quando si è presi dal dolore per la distruzione in ciò che si credeva buono, eterno e immutabile — la famiglia — dalla rabbia, dalla disperazione e dalla paura, si finisce con l’inventare e col credere qualsiasi cosa, soprattutto se le proprie risorse mentali ed il proprio sviluppo sono limitati (come nel caso dei soggetti in età infantile) e logorati da un prolungato stress.

Alla fine, in un gruppo in cui non si riesce a trovare una via d’uscita, emerge sempre un condottiero che indica la risoluzione, anche se la risoluzione è fondata su argomentazioni improbabili, risibili, e se le conseguenze per il genitore accusato ingiustamente e rifiutato — proprio da chi gli è più caro, cioè i figli — sono spaventose e annichilenti. La più grande — R. — diventa la vera condottiera che promette ai fratellini una salvezza che aspettano da due anni. Anche a costo di sacrificare sul campo la madre. La sorella più grande è il messia che, se necessario, si difende e attacca a suon di menzogne, e che guida in un’impresa di eroica falsità i fratellini, il suo gruppo di superstiti da salvare in un mondo che non esita a definire «lo schifo più totale».

Che nessuno osi infierire su quella ragazza coraggiosa che ormai è l’unica ad incarnare lo spirito dell’unità familiare e attorno alla quale i fratellini si sono raccolti!

D’ora in avanti non si faranno gestire dagli adulti. È all’interno della fratria — della loro generazione — che troveranno fiducia, amore e solidarietà. Il rapporto di fiducia con la generazione precedente è distrutto, e con esso il rapporto di genitorialità che le generazioni precedenti hanno con le successive. Questo perché la società da anni è cieca sul problema degli affidamenti e delle separazioni. Da anni il sistema giudiziario risolve i problemi di contesa sui figli rinforzando il rapporto col genitore preferito e distruggendo i rapporti tra il figlio e l’altro genitore. Una tecnica disumana ma semplice ed economica in termini di dispendio di risorse.

Da anni i tecnici del settore si sono abituati a giocare con le vite di genitori e bambini come coi soldatini, e giustamente i bambini dicono: «Siamo stufi di sentirci trattati come delle bambole … di pezza». Finalmente il funzionamento del sistema si inceppa e i bambini non ci stanno più a farsi trattare come oggetti inanimati e si ribellano.

Se appare incredibile tutto il loro racconto di abusi sessuali, francamente non si può dubitare che questi bambini soffrano per il trattamento reificante inflitto loro dall’establishment socio-giudiziario. Non vogliono essere marionette che devono subire astruse teorie psicologiche e disumani provvedimenti giudiziari! «Voi il cuore non ce l’avete» dichiara alla fine del secondo filmato la più piccina.

La ragazza più grande conclude il suo appello lanciando una sfida al mondo degli adulti incapaci di garantirgli gli affetti familiari: «Noi siamo coraggiosi. Ci vogliamo bene. Perché siamo un gruppo. Molto forte!».

È evidente che il gruppo è «molto forte» perché è forte lei. Ne ha di carattere da vendere quella fanciulla! Sarà un osso duro per tutti, padre compreso, amato o non amato che sia. Il futuro di leader nella società per R. sembra garantito! È una persona che difficilmente demorderà nel portare a compimento ciò che si prefigge.

La verità è che figli così brutalmente disillusi riguardo alle capacità gestionali dei loro genitori, sbandati e alla mercè delle valutazioni dei tecnici che vivono come spietati e fasulli intellettualismi, torturati da provvedimenti giudiziari che vivono come deportazioni in campi di sterminio, difficilmente potranno ancora considerarsi figli di qualcuno, né tanto meno fidarsi in futuro di adulti, insegnanti, psicoprofessionisti, giudici, avvocati, assistenti sociali e quant’altro.

Che sia stato o meno il padre ad iniziare il gioco delle accuse infondate (o che sia stato un gioco al massacro reciproco) non importa, perché ormai di tale strategia se ne sono impossessati i figli, in particolare le due figlie più grandi, R. e P. di 13 ed 11 anni che guidano i fratellini più piccoli con la maestria del regista e dell’aiuto regista. Ormai sono loro che conducono i giochi, non più gli adulti. Gli adulti hanno fallito perché non hanno capito che le famiglie distrutte dal conflitto non vanno portate nei tribunali a farsi ulteriormente distruggere con la conflittualità legale, le dissezionanti perizie che lasciano aperte le ferite inflitte nei corpi vivi dei periziati, senza nulla garantire sul loro risanamento.

Di cure hanno bisogno le famiglie separate,
non di provvedimenti giudiziari, né di imputazioni penali!

Da anni l’autore sostiene — e così altri colleghi psicoprofessionisti — che le famiglie separate conflittuali vanno sottoposte a trattamenti psicologico/psichiatrici obbligatori mirati a risolvere la conflittualità, e non ad andare in tribunale. Perché la conflittualità familiare è una vera propria forma di psicopatologia.

La più grossa mistificazione da parte del sistema è che la colpa della sofferenza dei figli sia dei genitori immaturi, conflittuali, o malati di mente da allontanare dai figli. Nulla di più falso! È il sistema che cerca capri espiatori. È sempre più facile per chi occupa posti di potere prendersela con i sottoposti — nel nostro caso i cittadini che entrano in crisi familiare — piuttosto che accorgersi degli errori del sistema in cui operano ed al cui mantenimento contribuiscono quotidianamente col proprio lavoro. Il sistema non funziona perché pretende di risolvere in ambito giudiziario ciò che è psicopatologico.

Se una persona è disturbata mentalmente non la si porta da un giudice per farle fare un decreto che le imponga di essere sana di mente, bensì da uno psichiatra e/o da uno psicoterapeuta.

Al tempo stesso non si finisce di distruggere la vita di un figlio levandogli le uniche persone di cui dovrebbe fidarsi prima di ogni altro: i propri genitori, anche se temporaneamente destabilizzati da una crisi familiare. Né si può togliere un figlio ai genitori solo a causa di una crisi matrimoniale. Ma, piuttosto che rottamarla, si deve aver cura della famiglia, con ogni mezzo che le scienze psicopedagogiche e psicopatologiche hanno a disposizione. Metodi studiati in modo da essere utilizzati gradatamente a seconda dell’entità del disturbo di cui soffre la famiglia, e che vadano dai corsi di preparazione alla separazione al tutoraggio mirato persona per persona e alla mediazione familiare; dalla psicofarmacologia alla psicoterapia in tutte le sue forme; e dal ricovero psichiatrico alla frequentazione di comunità dove apprendere stili inediti e modalità diverse di interazione.

Questi due video dimostrano la sofferenza dei figli (ma anche i genitori stanno male), la palese inadeguatezza del sistema giudiziario e la mancanza di servizi sanitari idonei ad affrontare le crisi familiari. Non si può pretendere che a responsabilizzarsi e normalizzarsi magicamente siano solo i genitori, e che gli operatori del sistema delle separazioni continuino imperterriti a credere che i loro metodi siano adeguati allo scopo. È una mistificazione imperdonabile, alla quale bisogna sottrarsi, diventando, invece, i promotori di un movimento di rinnovamento culturale e sociale. Altrimenti non sarà più il mondo degli adulti a gestire il disagio dei figli delle famiglie separate, ma essi stessi saranno costretti a sostituirli, continuando a tappare le falle del sistema raccontando le loro incredibili — ma pur sempre comode — bugie (Salluzzo, 2006b).

Appendice

Vengono di seguito riportati i resoconti sintetici dei video di denuncia. Sono stati rimossi i nomi dei minori e dei due genitori, lasciati tutti gli altri. Questa è una semplice trascrizione dei video e quindi non entra in merito sulla veridicità dei fatti o sul reale coinvolgimento degli individui ivi nominati, ma è riportata solo a supporto del presente articolo.

1° VIDEO

«Caso di pedofilia» annuncia con un tono duro e sprezzante la più grande dei quattro. Si presenta e presenta i suoi fratelli, ne dice i nomi veri che però non verranno riportati. Dice anche il quartiere di Roma in cui abitano. Stando alle cronache comparse sui quotidiani, hanno approssimativamente 7 P., 9 M., 11 P. e 13 anni R..

Il video prosegue con il seguente messaggio:

«Da due anni viviamo nello schifo più totale. siamo delle persone che si dovrebbero tutelare e siamo maltrattati e questa è una denuncia alle persone che ci hanno trattato male come la D.ssa. Maria Monteleone [3], la D.ssa. Ester di Rienzo, la D.ssa Simona Trillo e il giudice Ianniello [4], in più mia madre, nostra madre P. Z., e il suo compagno M. V., che … e queste due persone sono due pedofili, che hanno fatto del male ai nostri due fratelli piccoli, M. e P.».

La sorellina più piccola mostra una serie di disegni, grandi fogli a quadretti sui quali lei ha rappresentato i ricordi dei presunti abusi attraverso figure di adulti e bambini (in verità non molto chiare nel video):

1° disegno: «Questo sono io quando M. (il compagno della madre) mi leccava, e non era piacevole quello che mi ha fatto».

Altro disegno: «Questo è un disegno che parla di … la mamma e M. e zia che leccavano me (si sente un bisbiglio di sottofondo, come se qualcuno stesse suggerendo e correggendo la bambina che ricorda male il tema del disegno) M. (il compagno della madre) … lecca, M. (il compagno della madre) lecca zia e … qualcuno anche filmava, no? Così per metterlo sul computer, e potevano vederlo».

Altro disegno: «Al secondo vediamo che la mamma e M. (il compagno della madre) si baciano in bocca (si sente più di un bisbiglio all’interno di una pausa prolungata dopo il quale la bambina riprende più speditamente il racconto). Questo è un tipo così per dire che … mamma era veramente uno schifo e faceva piangere tutti. Lui che beone che era (audio poco chiaro), con il sasso infilato, con il fuoco, che bruciava tutti. Hum! (la bambina si schiarisce la voce, e conclude con tono disteso) Grazie».

È la volta di M. che mostra i suoi disegni raffiguranti gli abusi subiti:

1° disegno: «Io mi chiamo M., ho 9 anni, e che questa storia va avanti da quando andavo all’asilo. Allora, qui … eravamo con M. (il compagno della madre) la mamma e zia, che ci avevano rinchiusi a chiave (in una stanza si presume) e noi piangevamo molto, che ci hanno lasciato chiusi, ed ho pianto molto».

Altro disegno: «Qui, quando R. (presumibilmente amico o parente della madre o del compagno), quello che filmava, faceva … filmava le cose schifose tra mamma e M. (il compagno della madre), ed io le dovevo guardare».

Altro disegno: «Qui è quando M. (il compagno della madre) mi butta nudo dal letto e mi fa wrestling, e mi fa molto male, e io mi sento molto male».

Altro disegno: «Qui è quando giocano e fanno questi riti un po’ brutti, e … si mettono queste maschere molto brutte. E … io … sogno tante cose brutte, non ce la faccio più a vivere. Grazie per aver sentito. Grazie».

2° VIDEO

«Avete sentito — esordisce sdegnata R. — questi due bambini sono maltrattati non solo dalla loro mamma ma anche da quelli che non li hanno voluti ascoltare».

Ed ancora i 4 fratellini si scagliano contro coloro «che non credono ai bambini».

«C’è qualcuno che proprio non capisce» dice P. di 11 anni.

«Ci hanno ridotti come bambole» dice il maschietto di 9 anni.

La più grande prosegue raccontando l’agghiacciante vicenda in cui il PM Dott.ssa Monteleone l’ha portata in procura «sola, senza un avvocato, senza uno psicologo, mi sentivo come il peggior criminale che ci fosse al mondo».

Ce n’è anche per il «genio» giudice Ianniello che si è «permesso» di mandarli in casa famiglia, dice la più grande.

«Noi siamo stati duri, abbiamo combattuto, con le nostre due sorelle grandi che sono state molto brave — dice la sorellina più piccola — abbiamo fatto tutto per risolvere questi problemi, ma la mamma …».

I bambini si rifiutano di tornare in casa famiglia e vogliono rimanere in casa del padre. R., la più grande, deride la risposta dell’assessore data a seguito di una lettera da lei scritta al Sindaco di Roma Walter Veltroni. L’assessore le risponde rassicurandola: «confida negli adulti».

Ma R. spara a zero sui tecnici dell’infanzia i quali sono solo capaci di stare «seduti dietro una scrivania a fare i maestri di vita … e pretendono di tutelare 4 bambini».

La conclusione del loro secondo video è un appello alla ricerca di un aiuto dall’opinione pubblica: «Questo è un appello — dice la più grande — cerchiamo persone che ci aiutino. Abbiamo bisogno di aiuto. Le persone a cui abbiamo chiesto di essere ascoltati, hanno chiuso le orecchie e gli occhi. Noi adesso non ci interessa. Vogliamo farci ascoltare. E lo faremo per forza. Siamo stufi di sentirci trattati come delle bambole …»

«Di pezza!» soggiunge la più piccola. «Senza cuore. Voi il cuore non ce l’avete. Anche mandato la mia sorella, per farla spaventare, in un’auto della polizia? Non credo sia giusto. È una sorella molto coraggiosa».

Il gran finale di R.: «Noi siamo coraggiosi. Ci vogliamo bene. Perché siamo un gruppo. Molto forte!».

Note

Mario Andrea Salluzzo è psicologo del SSN, psicoterapeuta. Segretario Fe.N.Bi. — Federazione Nazionale per la Bigenitorialità. Segretario S.I.R.A.D.S. — Società Italiana Ricerca e Assistenza Disagio da Separazione.
Per contatti: (e-mail) marioandreasalluzzo@virgilio.it, (Cell.) +39.333.6571164.

[1] Ester Di Rienzo è psicologa, psicoterapeuta sistemica presso il Centro Aiuto al Bambino Maltrattato e alla Famiglia del Comune di Roma, diretto da Luigi Cancrini (si veda https://giustiziaintelligente.blogspot.com/).

[2] Simona Trillo è una nota Neuropsichiatra Infantile, esperta di abusi di area CISMAI – Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (si veda https://giustiziaintelligente.blogspot.com/).

[3] Risulta esservi un PM Maria Monteleone Sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma.

[4] Probabilmente trattasi del giudice Roberto Ianniello, del Tribunale dei Minorenni di Roma.

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  • Montecchi F. (2005) «L’abuso dei figli nelle separazioni coniugali conflittuali», in «Dal bambino minaccioso al bambino minacciato», Franco Angeli, Milano, cap. 11, pp. 126-130.
  • Oliverio Ferraris A. (1994) «Tipologie strutturali e psicologiche delle famiglie italiane e loro trasformazioni dal dopoguerra ad oggi», in Gallo Barbisio C. (1994) op. cit., pp. 11-18.
  • Oliverio Ferraris A. (2005) «Dai figli non si divorzia», Rizzoli, Milano.
  • Ronfani P. (2006) «Quale giustizia per le famiglie?», Giuffrè, Milano.
  • Salluzzo M.A. (2004a) «Psicopatologia nella separazione, divorzio e affidamento», Attualità in Psicologia, Volume 19, n. 3/4 — pp. 221-235.
  • Salluzzo M.A. (2004b) «Associazioni di familiari e giustizia», AIPG (Associazione Italiana di Psicologia Giuridica) Newsletter, n. 19, pp. 6-8.
  • Salluzzo M.A. (2006a) «La sindrome di alienazione genitoriale (PAS): psicopatologia e abuso dell’affidamento nelle separazioni. Interventi di confine tra psicologia e giustizia», Link Riv. Scient. di Psicologia, n. 8, gennaio.
  • Salluzzo M.A. (2006b) «La Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS): quando le bugie dei bambini colmano i vuoti di responsabilità degli adulti», relazione presentata a Montesilvano (PE), il 19 ottobre 2006, al XLIV Congresso della Società Italiana di Psichiatria su «Metamorfosi nella Psichiatria Contemporanea — Competenze, esperienze, tendenze», all’interno del Simposio «La consulenza nelle situazioni di conflittualità familiare».
  • Salluzzo M.A. (2007) «Separazione, libertà e bigenitorialità», Link Riv. Scient. di Psicologia, n. 10, settembre.
  • Scabini E., Cigoli V. (2000) «Il famigliare», Raffaello Cortina, Milano, pp. 199-227.
  • Vestal A. (1997) «Perspectives on Parental Alienation, Child Custody and Dispute Resolutions Systems», American Bar Association, Paper of Section on Dispute Resolution.

Sitografia

Alcuni tra gli svariati siti web che è possible consultare:


13 commenti su “Videodenuncia di 4 fratellini
  1. utente anonimo ha detto:

    Dr. Salluzzo, premetto che nel caso in questione condivido ovviamente la probabile diagnosi di PAS, nella forma meno frequente in cui è la madre ad essere alienata.

    Resto però basito dalla sua analisi. Vedo che lei ha all’attivo diverse pubblicazioni sulla PAS, e cita Gardner come se lo conoscesse. Eppure sembra non averne capito affatto il meccanismo fondamentale.

    Afferma che questi bimbi starebbero col padre perchè genitore più “gradito”, quello “che sentono più vicino a loro”… ma dove l’ha studiata questa assurdità? E’ una sua teoria personale, perchè la PAS di Gardner è tutt’altro. Il legame tra alienante e bambini è basato sul ricatto e sull’attaccamento invertito, mica sulla “preferenza” o sulla migliore genitorialità.

    Sembra addirittura che per lei la madre possa essere stata rifiutata perchè meno brava genitorialmente. Parla di naturale risentimento e avversione verso la madre… ma guardi che il rifiuto del genitore alienato deriva solo dal ricatto dell’alienante, a cui i figli devono adeguarsi. Mica i figli alienati davvero disprezzano il genitore alienato, non sa che è solo una recita obbligata?

    Se non ha capito neppure questo, che cosa scrive nei suoi articoli sulla PAS?

    Guardi che la PAS di Gardner prevede genitori “alienante” ed “alienato”, mica gradito e sgradito ai bambini.

    L’approccio di Gardner è (giustamente) durissimo contro l’alienante, mica Gardner sottolinea le sue risorse (come fa lei), ma solo la sua dannosissima azione, che nei casi di PAS severa deve essere interrotta drasticamente.

    In un caso come questo, la ricetta di Gardner sarebbe chiara, affidamento esclusivo alla madre (magari con periodo di transito da istituto nei primi mesi) e divieto di visita per il padre, almeno finché non si è smorzato l’effetto dell’alienazione.

    L’intervento sulla PAS per Gardner prevede innanzitutto la ricostruzione del rapporto con l’alienato, mica la bigenitorialità a tutti i costi. Quella riprende solo nella fase finale dell’intervento, ma come fai ad attuarla se non fermi prima l’alienante?

    Come soluzione, sembra quasi che lei vorrebbe dare in mano ai bimbi la sua responsabilità; Gardner propone l’esatto opposto, tappargli la bocca e collocarli con l’alienato, che gli piaccia o no, finchè non gli passa il rifiuto. E se conoscesse questi casi, saprebbe che gli passa in 6 mesi se fai così. E l’alienante intanto mandato a fare psicoterapia coatta, finchè non capisce che cosa stava facendo.

    Il protocollo di Gardner prevede proprio l’esatto opposto di quello che lei ha capito: severi provvedimenti giudiziari (ovviamente ragionati). Senza quelli, come fai a scardinare l’onnipotenza del legame alienante? Con le sue belle parole?

    Le consiglio di riprendere in mano gli articoli di Gardner e di ripartire da capo, sta facendo disinformazione.

  2. utente anonimo ha detto:

    Non intendo fare disinformazione, caro utenete anonimo. Solo esprimere il mio parere in base all’esperienza clinica ed in base ad una mia visione complessiva del problema delle separazioni.

    Non c’è dubbio che esprimo la mia personale opinione e non un punto di vista di Gardner. Così come non esprimo il punto di vista delle associazioni a cui appartengo, pur ricoprendone delle cariche.

    Spero che il dibattito scientifico e sociale in Italia sia ancora sufficientemente democratico e non dogmatico da poter permettere il confronto e la libera espressione delle proprie teorie.

    Come Lei sicuramente saprà in medicina, in psichiatria e nelle scuole di psicoterapia, ad uguale diagnosi non necessariamente coincide un unico metodo di trattamento.

    Conosco il metodo suggerito da Gardner (il Transitional Site Program che prevede il cambio di affidamento al genitore alienato e la sospensione degli incontri con quello alienante), tanto che è citato nel mio articolo sulla PAS uscito su LINK nel 2006 (lo può trovare on line sul sito http://www.fenbi.it, centro studi, psicologia). In quell’articolo – mi scusi – credo di aver riportato fedelmente il punto di vista di Gardner.

    Tuttavia ritengo che il metodo di Gardner sia valido all’interno di un ottica abberrante, quella delle disposizioni giudiziarie.

    Mi creda, non voglio fare disinformazione, ma non vedo perchè, pur riconoscendo la validità dei criteri diagnosti esposti da Gardner, debba necessariamente condividerne i metodi terapeutici.

    Gardner – un grande a mio avviso – riporta però nei suoi metodi terapeutici un punto di vista che non condivido: l’affidamento monogenitoriale.

    Io invece credo che un genitore non dovrebbe mai subire l’umiliazione di vedersi togliere la potestà o l’affidamento dei figli a seguito di una separazione.

    E’ vero il genitore alienante commette un crimine, ma la famiglia in che modo può essere aiutata dalla criminalizzazione giudiziaria?

    Credo che ai figli serva avere la certezza di conservare i genitori, non di vivere nell’angoscia che gli vengano tolti.

    Io non accetto il metodo di Gardner così come egli lo propone per i seguenti motivi:

    ritengo che sia un comportamento disumano separare genitori e figli solo a causa della conflittualità familiare ed il ricorso alla separazione.

    Come Lei potrà verificare leggendo l’altro mio articolo on line – Psicopatologia della separazione, divorzio e affidamento (vedi sito Fe.N.Bi. stessa sezione sopra riportata) – io considero la separazione giudiziaria nei casi più gravi di conflittualità solo un agito, un tentativo inappropriato di risoluzione.

    Ritengo i provvedimenti giudiziari inadatti.

    Ritengo che bisogna uscire dalla logica che la risoluzione sia riposta magicamente in un dictat del giudice.

    La legge deve essere uguale per tutti, non ispirata alla soggettività del giudice.

    I figli per forza devono restare affidati ad entrabi i genitori. Ciò li rassicura e abbasa il rischio di denunce strumentali.

    In ogni caso deve finire la logica dell’esclusione della sospensione degli incontri con uno dei genitori. Perchè in ogni caso, sia nella denuncia di falso abuso, sia nella denucia di PAS, potrebbero esserci accuse strumentali.

    La logica di Gardner di sospendere gli incontri col genitore alienante per me è sbagliata perchè porta nel suo dna lo stesso gene emarginate dei provvedimenti che escludono un genitore accusato di abuso sessuale.

    Così come ritengo faziose le richieste di insprire penalmente i provvedimenti giudiziari nei casi di violenze familiari.

    E’ evidente che quando a commettere violenze è un perfetto estraneo sia adeguato infliggere pene, anche pesanti.

    Ritengo però che la famiglia vada tutelata, perchè ha per l’individuo un valore fondante ed irripetibile.

    Mi oppongo alla logica criminalizzante, anche per il genitore alienante (mi spiace per Garder buon anima).

    Magari, nei casi più gravi, si ricoveri in una comunità tutta la famiglia, ma la logica disumanizzante di separare un genitore dai figli non l’accetto, anche se la cosa mi toccasse personalmente, anche se fossi io il genitore alienato e la mia ex moglie-compagna il genitore alinante.

    Purtroppo sono affetto da una forma cronica di assenza di faziosità che mira sempre all’equibrio, che mi impedisce di considerare le cose altrimenti.

    La ringrazio comunque del suo interesse per un argomento purtroppo troppo dimenticato dai mass media e dalla ricerca scientifica.

    La prego di inviare ulteriori osservazioni, e mi scuso per non ver risposto prima a causa di impegni di lavoro.

    Mario Andrea Salluzzo

  3. utente anonimo ha detto:

    vorrei richiamare l’attenzione dei lettori, dell’amico- collega Salluzzo e di chi ha espresso opinioni, sul fatto che l’intervento autoritativo previsto da Gardner finisce per avere effetto punitivo sulla vittima dell’induzione: il figlio. E’ come se la miopia si acutizzasse proprio nel momento in cui dovrebbe arrivare la giusta risposta al reato. Se ci indirizzassimo a sottrarre inequivocabilmente ed in maniera coatta il bambino al genitore alienante ne faremmo ancora di più la vittima di una doppia violenza . Un sistema non può autoavvalorarsi accanendosi sul più debole. E che dire del legame con il genitore alienato, che in nessun caso può essere sanato per ordine di un giudice e, per giunta, attuato con la forza. Si vede che chi propone iniziative così scarsamente centrate sull’attenzione al minore, poco lavora in questo difficile ambito. Da 15 anni studio e lavoro sulla PAS, e sono consapevole che chi ne è vittima è intrappolato pericolosamente e collusivamente; chi è chiamato a dare risposte spesso si sente in scacco, perchè ha davanti non più semplici bambini, ma ostaggi di pericolosi criminali! Ho parlato in diverse sedi di possibili tutoraggi che abbiano sostanzialmente l’intento di passare progressivamente da una situazione malata ad una di accettabile garanzia per il minore e sono del parere che sia possibile ottenere successi laddove il genitore alienante sia posto sotto stretto monitoraggio, in costante osservazione, senza via di uscita. Si tratta di lavorare nel verso di una riorganizzazione cognitiva sia rispetto al minore, sia rispetto al genitore alienato, sia rispetto all’alienante. L’attenzione ai tempi dell’intervento è indispensabile per non correre il rischio di cadere in aperta violazione alla tutela del minore. E i tempi attengono alla storia individuale, di quel bambino specifico, dell’oltraggio subito alla sua naturale volontà di amare liberamente entrambi i suoi genitori.

    A ripristinare il rispetto di questo fondamentale diritto, credo , dobbiamo lavorare tutti, specialisti ed opinione pubblica. Sarebbe importante diffondere la cultura del disprezzo più totale di fronte al delitto commesso da un genitore alienante. ma spesso le persone si fermano a ciò che appare e, inconsapevolmente, anche attraverso il solo ascolto, forniscono alimento prezioso alla malevola azione di questi genitori abusanti. Mi sentirò gratificata, nel mio lavoro, il giorno in cui la prassi del tutoraggio senza deroghe, senza se e senza ma, sarà operante in ogni caso di PAS.

    Grazie

    D.ssa Loretta Ubaldi

  4. utente anonimo ha detto:

    Al di là delle dispute tecniche sulle teorie di Gardner (che non conosco, non essendo la psicologia la mia materia) ho trovato il pezzo molto interessante.

    Purtroppo faccio notare che qualche ingenuo (o finto ingenuo) crede all’abuso, e che la procura di Roma sembra orientata a riaprire il caso per la 3 volta (dopo due archiviazioni).

    Non che gli inquirenti abbiano nuovi elementi, ma sono vittime del SPM;

    SINDROME DA PROTAGONISMO MEDIATICO….

    Definito da me…

  5. utente anonimo ha detto:

    Scusate l’anonimo di prima sono io; il gestore del blog “Il giustiziere”

  6. utente anonimo ha detto:

    Il dibattito scientifico e democratico non è qui in discussione.

    Ma il dott. Salluzzo e la dott.ssa Ubaldi, se sulla base della propria esperienza e di proprie riflessioni vogliono dissociarsi dalla teoria della PAS di Gardner e dai suoi metodi, abbiano la compiacenza di indicarlo chiaramente, magari scegliendo un nome diverso per la propria teoria.

    Se propongono invece le proprie idee a fianco della citazione alla PAS di Gardner, creano solo confusione, soprattutto perchè (ce lo confermano) i propri convincimenti sono opposti a quelli di Gardner.

    Quando Galileo si trovò a contraddire Copernico, lo disse chiaramente e se ne assunse le responsabilità. Non credo abbia mai parlato delle rotazioni della terra attorno al sole, citandole a fianco di definizioni copernicane geocentriche.

    La PAS è già un argomento delicatissimo. Sarebbe opportuno che non faceste disinformazione, nemmeno su teorie che non avallate; i metodi e la teoria originaria di Gardner sono ancora convincenti e sostenuti da molti, che non gradiscono di vederli mistificati o mescolati con altro.

  7. utente anonimo ha detto:

    Dottoressa Ubaldi, permetta, ma ai suoi 15 anni di esperienza non è detto che dobbiamo dare.

    Se davvero i metodi che propone il maestro Gardner le sembrano “iniziative così scarsamente centrate sull’attenzione al minore”, che sarebbero inoltre proposte di chi “poco lavora in questo difficile ambito”… io al posto suo mi porrei delle domande. Non sarà mica che non ne ha compreso bene il senso?

    O forse è Gardner ad aver sbagliato molto e lei lo ha superato. Può darsi, ma non ce lo dia per assodato. Io guarderei ai risultati, prima che ai bei propositi.

  8. Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

    Entro in merito solo per quello che riguarda la questione «Gardner» come «Copernico», dato che non sono uno psicologo. Essendo tuttavia un ex-scienziato, credo ci sia un punto da chiarire, anzi, due.

    Il primo è che nell’ambito scientifico non esiste reputazione che possa da sola sostenere una tesi. L’ultimo degli studenti di fisica può, anzi dvee, se ha gli argomenti, confutare il più grande dei premi Nobel. Nella Scienza contano solo le argomentazioni, e su quelle e solo quelle si dibatte. Quindi partire da un concetto sviluppato da X, farlo proprio ma criticarne alcuni aspetti è scientificamente corretto, anzi, è rappresenta il fondamento dell’evoluzione del pensiero scientifico.

    Il secondo è che nessuna teoria sovverte completamente la precedente, pur quando ne critica fortemente i presupposti. La meccanica relativistica mostra che il modello newtoniano non è corretto, ma di fatto quest’ultimo viene praticamente utilizzato ancor oggi ogni qualvolta v << c. Analogamente, Salluzzo critica alcune conclusioni di Gardner senza però disconoscerne il lavoro e il valore per aver evidenziato la sindrome in questione.

    Personalmente condivido il lavoro di Gardner ma non la sua indicazione di soluzione, che trovo penalizzante nei confronti di un minore già sufficientemente traumatizzato. Affermare che Gardner vada preso in toto e negato in toto ha a mio avviso poco senso.

  9. utente anonimo ha detto:

    @dejudicibus

    Le sue annotazioni sono corrette. Ma sento anche troppo aroma di tarallucci e vino, come se la verità stesse un po’ qua e un po’ là…

    Quella di PAS non è mai stata riconosciuta come diagnosi (giustamente), non è oggetto pubblico di discussione. La PAS è solo la teoria di Gardner, che non per niente la differenziò da teorie simili, che cercavano di spiegare lo stesso fenomeno (ad es. la madre malevola, la programmazione…)

    Se la vuoi cambiare così radicalmente, devi darle un altro nome.

    Inoltre, io leggo che l’autore Salluzzo dice di condividere tutta la parte “diagnostica” con Gardner, ma le sue letture sui motivi per cui simili bambini dovrebbero gradire il padre e meno la madre, sono francamente in totale contrasto con Gardner, e inoltre propone interventi radicalmente opposti.

    Conoscendo bene la PAS, ritengo che fase diagnostica e proposta di intervento di Gardner non andrebbero separati così superficialmente, perchè hanno una stretta consequenzialità logica.

    Al dr. Salluzzo indicavo che forse egli, senza accorgersene, usa solo il nome di PAS, poichè anche la sua interpretazione diagnostica sembra corrispondere ad un concetto ben diverso da quello di Gardner. Così mi è apparso.

    E in conseguenza della propria personalissima lettura, propone anche interventi difformi da Gardner. Libero di farlo, lo sto leggendo per la prima volta, con curiosità e interesse.

    Ma segnali meglio la piena rottura col modello che sta criticando (forse senza nemmeno accorgersene). La sua non è una limatura di una teoria da aggiustare, egli ne contraddice il nucleo stesso. Si tratta di un “salto di paradigma”, non per niente nasce nell’alveo del movimento per la bigenitorialità.

    Quando avremo i due modelli a disposizione, li confronteremo, ma solo in base ai risultati concreti che i due approcci producono, sui casi reali. Temo che dietro a certe scelte ed alla modificazione, ci possano essere solo ottimi principi (siamo tutti amici della bigenitorialità) e buoni propositi. Però, mi sbaglierò, a cambiare troppo si rischia di cadere nel buonismo inefficace, di fronte alla libera e determinata azione dell’alienante, al quale della bigenitorialità poco importa.

    (e non è forse un caso che la dott.ssa Ubaldi proponga tutoraggi stretti che non diano via di uscita all’alienante, detta così mi sembra che siamo già molto più vicini a Gardner ed allo spirito della PAS originaria)

  10. utente anonimo ha detto:

    A proposito di tutoraggi stretti e progressivi (che condivido al 100%), dottoressa Ubaldi, ma che succede se il suo alienante si rifiuta di restare dentro i tutoraggi stretti che lei propone? E se fa di testa sua, magari con l’aiuto attivo dei bambini che gli girano un video per denunciare coniuge e inquirenti? E se scappa coi bimbi?

    Che cosa gli facciamo, un’altra bella ramanzina? Non mi dica che in 15 anni di esperienza lei non è mai stata costretta ad entrare nell'”ottica aberrante delle disposizioni giudiziarie”, così “scarsamente centrata sull’attenzione al minore”…

  11. Avatar photo Dario de Judicibus ha detto:

    Una mozione d’ordine

    Ho aperto i commenti agli utenti anonimi per non costringere chi vuole commentare a registrarsi su Splinder. Tuttavia gradirei che chiunque pubblichi un commento lo firmi in fondo, anche per permettere una migliore gestione della discussione (del tipo «come ha detto X» o «in replica a quanto affermato da Y»).

    Non pretendo il nome vero, anche se in un discussione di un certo spessore sarebbe un atto dovuto firmarsi col proprio nome, ma quantomeno uno pseudonimo, per favore.

    Grazie.

    PS Vorrei far notare anche quanto un’affermazione perda di valore quando pubblicata in modo anonimo, quasi che chi lo ha fatto non se la senta di assumersene la responsabilità.

  12. utente anonimo ha detto:

    Mi sembra che il dilagante protagonismo dell’utente anonimo unito alla libertà che l’anonimato gli concede e l’assenza di limiti di pubblicazione stia uccidendo il dibattito.

    Comunque utente anonimo sta dando un ottimo esempio di come con dei paralogismi si riesce a far passare un discorso critico per un travisamento, una rielaborazione personale che riconosce i meriti dei ricercatori precedenti per una eresia.

    I commenti di utente anonimo costituiscono un esempio clinico di come si possa mobbizzare qualcuno: travisarne le parole, mettere in luce la sua incapacità, sabotare il suo spazio vitale (invadendo il blog con commenti ridondanti che nulla aggiungono).

    Complimenti utente anonimo! Un vero esperto di mobbing!

    Mario Andrea Salluzzo

  13. utente anonimo ha detto:

    Ho scritto anonimo proprio perchè venisse preso in considerazione solo il contenuto, non amo la personalizzazione dello scontro.

    Rifiuto l’accusa di aver mobbizzato lo “spazio vitale” di chicchessia, non offritelo liberamente ad altri se davvero vi è vitale.

    Mi scuso per gli eccessi e per il flaming, ringrazio per lo spazio e l’attenzione ricevuta, non vi disturberò oltre e mi limiterò a leggere le vostre pubblicazioni, senza più contestare pubblicamente.

    Un ammiratore di Richard Gardner, di cui sente ancor più la mancanza

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