Papponi di Stato – Parte terza


Parte prima dell’articolo di Roberto Poletti e Roberto Scaglia.
Pubblicazione sul blog «L’Indipendente» autorizzata dall’On. Roberto Poletti.

Continua l’inchiesta in cui l’On. Roberto Poletti, iscritto nelle liste della Federazione dei Verdi e diventato deputato il 6 giugno 2006 al posto di Carlo Monguzzi, ci racconta la sua esperienza di parlamentare con un dietro le quinte da non perdere.

La settimana inizia martedì

La sveglia mi urla nell’orecchio. È martedì, primo giorno della settimana lavorativa di noi parlamentari. Il lunedì? Ma no, il lunedì non esiste. I non romani più coscienziosi lo usano per arrivare in città, ma la maggior parte dei deputati forestieri arriva il martedì mattina, con tanti saluti alle prime riunioni, «che cosa vuoi che sia un’assenza, mica siamo a scuola, e poi se non si va in Commissione non c’è conseguenza sullo stipendio».

Certo che Roma sa essere bellissima. I primi tempi, il tragitto dalla casa che ho preso in affitto in piazza Navona fino a Montecitorio lo faccio in scooter, tanto c’è il parcheggio della Camera vigilato 24 ore su 24 dai Carabinieri. Poi prendo le misure, e decido che a piedi è anche meglio, ci vogliono dieci minuti a dir tanto. Quando mi alzo presto, cammino fino al bar di fianco alla chiesa di San Luigi dei Francesi, in genere incontrando l’auto blu che porta Andreotti in Senato, lui è sempre il primo ad arrivare, poi bevo il caffè e mi avvio verso piazza del Parlamento. C’è caso di incontrare il leghista Cota che fa jogging nei pressi del Pantheon, magari accompagnato dal compagno di partito Capanni, alzano la mano e mi salutano trafelati, va là che Roma ladrona quasi quasi piace anche a loro, alla fine si sono ambientati più che bene. Il traffico insopportabile della Capitale comincia a rumoreggiare, e Montecitorio entra nella giornata lentamente, i deputati arrivano in ordine sparso con l’inseparabile borsa di pelle, vero status symbol. Un salto alla buvette, altro caffè e via, si comincia.

Come detto, il martedì mattina c’è la riunione di Commissione. Il primo voto in Aula è previsto per il pomeriggio, e non è raro che si tenga quando la Commissione è ancora in corso. Ma l’Aula risulta sempre quantomeno mezza piena, d’altronde in questo caso c’è la detrazione di 206 euro se non raggiungi almeno il 30 per cento delle votazioni utili, saltare la seduta sarebbe un delitto, anche se in casi estremi puoi portare la giustificazione, e vai a controllare se è vera. Entrano allora in scena i famosi pianisti, quelli che votano anche per gli assenti. Non mi dilungo su una questione su cui si è scritto e filmato e sputtanato più volte. All’inizio te la meni un po’, ma quando capisci che il costume è generale — a destra, a sinistra, al centro — ti adegui. Io qualche volta mi sono messo d’accordo con una collega: se non sono presente ci pensa lei, e viceversa. Una volta ho votato io per tutti quelli del mio gruppo. Ci sono anche i votatori ufficiali dei deputati più importanti, che non è raro siano in altre faccende affaccendati, d’altronde loro mica possono perdere tempo in Parlamento: al momento opportuno, tirano fuori le due schede e svolgono diligentemente il compito. Il numero legale, e dunque il controllo dei votanti, viene richiesto solo per le questioni particolarmente delicate, in ogni caso non così frequentemente. Oppure, quando l’Aula appare squallidamente vuota, si procede con il voto per alzata di mano, che per molti è così romantico, «ma sì, fa tanto antica Roma…». In realtà, non essendo registrato con il procedimento elettronico, è del tutto valido ma non conta ai fini della trattenuta. Cioè, se ci sei bene, se non ci sei bene lo stesso: la busta paga non ne soffre.

L’immagine prima di tutto

Ed è proprio quando la stampa comincia a denunciare il malcostume dei pianisti, che vengono a galla le tante assenze dei deputati. In questo senso, noi Verdi ci siamo rivelati imbattibili. E allora, ecco puntuale la circolare: «Care e cari — ci scrive Angelo Bonelli, presidente del gruppo parlamentare — come avrete avuto modo di leggere dai più importanti quotidiani nazionali, il gruppo politico dei Verdi viene posto come il meno presente alle votazioni in Aula. Questi articoli certamente non aiutano a costruire una buona immagine del ns. gruppo [eh già, quel che importa è l’immagine]. È evidente che ognuno di noi sa quanto partecipa alle votazioni, pertanto sono qui a richiamare con forza una maggiore presenza alle votazioni. Certo di un Vs. cortese riscontro, invio cari saluti». Gentilmente ricambio.

Il mercoledì è di certo la giornata clou. In mattinata, si comincia ancora con la riunione di Commissione, parole parole e ancora parole. I giocatori giramondo della Nazionale parlamentari, che si allenano il martedì sera sul campo militare della Cecchignola — c’è il capitano Manlio Contento di AN, il portierone rifondarolo Augusto Rocchi, l’ex pulcino del Catania Salvatore Buglio della Rosa nel Pugno (che però non è stato ricandidato, dunque c’è da rinforzare la fascia), il centrista Peretti detto Beckenbauer, il terzino sciupafemmine Simone Baldelli di Forza Italia — discutono di dribbling e schemi di gioco, e se c’è qualcuno acciaccato si trascina zoppicando fino alle attrezzate salette dei fisioterapisti, un bel massaggio e via, come nuovo, e sono così bravi, i massaggiatori, che devi prenotarti, e mica solo al mercoledì. Ma verso l’una c’è il voto in Aula. Ora di pranzo, dunque: noi deputati abbiamo una gran fame, è umano, no? Quindi, dopo aver schiacciato il feral bottone, tutti a mangiare. E dì corsa, che poi non si trova posto. La scena ricorda un po’ l’intervallo della scuola: una marea umana che si precipita verso uno dei ristoranti — c’è quello self-service, veloce e informale, e l’altro più tradizionale, con i camerieri in livrea, infine il bistrot della buvette. Gli onorevoli si affrettano, corrono, sgomitano, scorciatoiano per garantirsi il tavolo. E insomma, è la pausa pranzo, mica sarà un privilegio, questo.

Miracoli del Calcio

Dopo aver mangiato e digerito, in genere verso le tre del pomeriggio, va in scena quel reality show che è il question-time, in pratica un confronto diretto fra governo e parlamentari, approfondiremo più avanti. Prosegue più o meno fino alle quattro e mezza. E comunque non c’è voto, ragion per cui l’Aula è quasi sempre semi vuota, e in quell’ora e mezza si possono sbrigare altre faccende, sempre politiche e parlamentari, per carità. Tanto l’adunata generale — con voto incorporato, questa volta — è per le cinque circa, e prosegue fino alle otto di sera. Sempre che non ci sia qualche partita di calcio: in quel caso, come per magia, alle sei e mezza anche le questioni più complicate si dipanano. Più Totti per tutti.

In coda al guardaroba

E si arriva al giovedì. Fin dalla mattina, si respira l’aria del fine settimana, i deputati che non sono di Roma e dintorni fanno mente locale e si mettono al telefono per prenotare il volo. Si vota dalle undici del mattino in poi, mal che vada c’è un’altra seduta dopo pranzo, verso le tre. Poi comincia il fuggi-fuggi. Vai in guardaroba — lo trovi poco prima del ristorante — ed è pieno di borse, valigie, trolley, pacchi e quant’altro, dal primo pomeriggio si forma una fila anche di un quarto d’ora. I taxi scaldano i motori, gli onorevoli che hanno prenotato lo stesso volo si raggruppano, «Parti adesso anche tu? Allora mi unisco, così spendiamo meno». E poi dicono che non tagliamo le spese.

In realtà, qualcuno rimane anche il venerdì. Ma, in tutta onestà, è davvero raro. Sono pochi, in un anno, i venerdì in cui è espressamente richiesta la presenza, chessò, durante la Finanziaria (ne parleremo) o magari per un voto importante in Commissione. Ma, ripeto, sono casi eccezionali, e quando si verificano si limitano alla mattinata. D’altronde, non è che possiamo contarla tanto su: nei primi cento giorni di questa mia prima legislatura, la Camera ha tenuto 36 sedute, equivalenti secondo i calcoli dei giornali a poco più di due ore al giorno di lavoro. E considerando vacanze e feste comandate e ponti e week-end, su un intero anno di attività — dunque da aprile ad aprile — a Montecitorio si è lavorato 160 giorni, vale a dire nemmeno 5 mesi. Quattro mesi e venti giorni in un anno. Poi dice che la gente s’incazza.

Ma c’è da precisare una cosa: non è che sempre e comunque il deputato non presente in Aula o in Commissione è a grattarsi la pancia sulla spiaggia di un’isola caraibica. No, il più delle volte sta facendo attività politica, ma per il partito. Che cosa c’entra l’attività di partito con il mandato ricevuto dagli elettori? Nulla o quasi, ma tant’è. E comunque, gira per convegni e dibattiti («…seguirà buffet…»), partecipa a riunioni organizzative. Oppure, c’è caso che si metta a cercar tessere.

Succede per esempio questo: c’è il congresso dei Verdi, e Pecoraro Scanio punta naturalmente alla rielezione a Segretario Nazionale, nonostante qualcuno storca la bocca per questo fatto che lui è anche parlamentare e ministro contemporaneamente. E insomma capisco l’antifona, qui c’è da tirar su delle tessere, far iscrivere al partito gente che stia dalla sua parte. E io, che fino a qualche mese prima m’immaginavo battagliare alla Camera per risolvere problemi epocali e passare alla storia d’Italia, da fare mi do. Telefono a destra e a manca, chiamo la parente, l’amico, chiedo al vicino di casa, «ma io non ne so niente, di ambientalismo», «e chissenefrega, basta che fai la tessera e voti per i delegati giusti, e come dici? Che non sai chi sono i delegati? Ma te lo dico io, ecco qui…». Alla fine di tessere ne tiro su parecchie, missione compiuta. È vero, non è che sia il massimo. Ma per rimanere nel gruppo si è costretti a fare anche così.

«Ci troviamo alla Camera»

Tornando alla Camera, è aperta anche al sabato. Ma questo, ancor più degli altri, è il giorno degli ex. Gli ex deputati, quelli che tornano a respirare l’aria, magari sono anziani, non hanno più tanto da fare, e poi il richiamo del Palazzo è irresistibile. E allora vedi che li portano in macchina davanti all’entrata, poi qualche badante li scarica e li torna a prendere la sera. È così: ci sono pensionati che si ritrovano alla bocciofila, altri in Parlamento. Loro entrano, si aggirano per i saloni, vanno dal barbiere, ricordano i bei tempi andati, hanno ancora una tesserina speciale per mangiare alla buvette, e tutti i giorni. Discutono animatamente, a volte scoppiano dei litigi che finiscono a maleparole. Qualcuno ogni tanto si addormenta su un divanetto o nella sala lettura, i commessi li lasciano riposare, poi magari li svegliano con delicatezza, «onorevole…». E c’è anche quello che non riesce a trattenere i suoi problemi d’incontinenza, e i commessi ancora lì, ad assisterlo con pazienza. Sia detto con tutto il rispetto, ma sembra una casa di riposo. E non datemi dell’insensibile, non è che sia un problema dar ospitalità a persone che qui hanno lavorato, e certo molto più di quanto faccia io. Ma anche questo strano sabato degli ex un po’ contribuisce all’inquietante atmosfera da basso impero che avvolge quello che dovrebbe essere il cuore e il cervello del Paese. E che inesorabilmente sta risucchiando anche me.

Immaginate un grande, enorme, gigantesco ufficio statale. Ma anche no, anche semplicemente un enorme ufficio, di quelli che tanti italiani vivono quotidianamente. Con tutte le dinamiche che ne conseguono: lavoro chi più chi meno, ma anche amicizie, antipatie, tresche più o meno note, litigi col superiore, ripicche. E poi pettegolezzi, pettegolezzi e ancora pettegolezzi. Le malelingue, a Montecitorio, sono in servizio permanente effettivo. Com’è ovvio, de visu è tutto un sorriso e gran pacche sulle spalle. Ma dietro… Gli uomini, se giovani e appena appena intraprendenti, sono raccomandati e naturalmente omosessuali — «Poletti? Bè, certo, se la fa con Pecoraio Scanio…» — oppure inguaribili puttanieri — «Poletti con Pecoraro? Ma no, sei indietro, quello va a donnine una sera sì e l’altra pure…».

Cattiverie alle spalle

E le donne? Quelle più carine di Forza Italia sono prima o poi tutte indistintamente indicate come amanti di Berlusconi, e succede il contrario di ciò che si pensa, cioè che debbano lavorare il doppio delle altre per dimostrare che valgono, in questo senso chiedere informazioni alla povera Carfagna, che ancora non è riuscita a farsi perdonare cotanta avvenenza. Ma questa caccia quotidiana alla preda dell’insaziabile Silvio ha anche un aspetto paradossale, perché la signora o signorina momentaneamente indicata come accompagnatrice clandestina del Cavaliere viene improvvisamente coperta d’ogni tipo d’attenzione e galanteria dai deputati di centrodestra e non solo — «ma come stai», «e come sei bella», «posso fare qualcosa per te» — chissà mai che non possa metterli in buona luce con il leader che tutto può.

Figuratevi poi che chiacchiericcio si porta dietro un personaggio come Wladimir Luxuria, il deputato transgender, che poi significa «non chiaramente identificabile come uomo o donna». In ogni caso, per semplificare, ne parlerò al femminile. Luxuria fa parte con me della Commissione Cultura, è una delle più presenti e acute: studia, passa le notti ad approfondire, e forse per far vedere che non è lì solo in quanto personaggio scomodo interviene sempre e comunque, anche troppo. Gli uomini la studiano incuriositi, le donne la odiano e la criticano per principio, soprattutto quando si tratta di vestiti, «Ma come si veste quella lì? Ma secondo te gioca a rugby?». E poi è molto abile con i giornalisti, sa come usarli e per questo è spesso sui giornali, cosa che aumenta l’antipatia nei suoi confronti. Un giorno prendo un caffè con lei, tutti ci vedono ridere e scherzare, poi vado in Aula. Arriva un commesso con una busta: me la manda un sempre severissimo esponente dell’Udc, uno che in ogni occasione si atteggia a baciapile bigottone. Leggo il biglietto: «Ma Luxuria ce l’ha ancora o se l’è tagliato?». Alzo lo sguardo, lo rivolgo verso di lui. E vedo che se la ride, facendo gesti come adire «Tu lo sai, vero?». Neanche alle elementari.

La lobby della Nutella

Ma passiamo a un altro passatempo istituzionale che molto impegna e diverte gli onorevoli: sono i gruppi di pressione, le lobby, per dirla all’americana. Trattasi di drappelli di deputati uniti da un comune interesse, che raggruppandosi anche al di là degli steccati di schieramento intendono far fronte comune ed eventualmente incidere su decisioni legislative che riguardano l’argomento in questione. Intendiamoci, spesso si occupano di situazioni davvero importanti, non so, l’amicizia per Israele oppure i diritti dei bambini o ancora quelli degli animali, e ho scelto a caso. Ma non può non strappare un sorriso leggere che l’onorevole leghista Grimoldi, per rispondere a uno dei tanti aumenti fiscali paventati dal governo Prodi — in questo caso, l’innalzamento dell’Iva sulla cioccolata — si sta sbattendo non poco per «costituire l’Intergruppo per la difesa della Nutella», sottolineando che «la Nutella è simbolo di intere generazioni, chi non è cresciuto “a pane e Nutella?”». E Grimoldi invita a considerare il fatto che «la nostra amata crema di nocciole ha una capacità di penetrazione nelle famiglie italiane pari al 100%, mentre altri generi spalmabili soltanto del 50%». Se da una parte la Ferrero ringrazia, dall’altra si aspetta la replica del formaggino Mio.

Viva le bocce

E dunque, vai col gruppo: la mastelliana Sandra Cioffi auspica la costituzione dell’intergruppo «Amiche e amici del mare»? Le risponde Maria Ida Germontani, di AN, con l’intergruppo «Amiche e amici dei laghi e dei fiumi». L’ulivista ora Partito Democratico Massimo Vannucci segnala che già una cinquantina di onorevoli, che coprono tutto l’arco parlamentare, aderiscono al gruppo «Amici del termalismo», e non state ad ascoltare chi insinua che la ragione sociale sia anche di ottenere qualche sconto per ritemprarsi a forza di fanghi. Naturalmente si sprecano gli onorevoli club calcistici sul genere «Viva la Juve e l’Inter e il Milan e la Roma e anche il Napoli», non mi dilungo perché di calcio non m’intendo. E poi gli intellettualissimi «Amici dei veicoli di interessi storico», vale a dire le auto d’epoca, capitanati dal senatore Filippo Berselli (e infatti vuole essere un intergruppo parlamentare), e i mai fuori moda «Amici della filatelia», organizzatore Carlo Giovanardi, e per restare su un livello alto c’è l’onorevole Pedrini che vuole «incentivare il turismo e la crescita economica tramite lo sviluppo del gioco del golf», controbilanciato dai più tradizionali «Amici della bicicletta», di cui m’informa l’ulivista emiliana Carmen Motta. Chiudo il discorso con una nota d’altri tempi, quasi romantica, segnalando l’iniziativa dell’azzurro Paolo Russo, che con passione rilancia il gruppo parlamentare «Amici delle bocce». Nel senso dello sport, naturalmente.

Degustazioni? Sì, grazie

Appuntamenti molto apprezzati da noi deputati sono poi le degustazioni di prodotti tipici: arrivano i rappresentanti di questa o quella regione, invitati dagli onorevoli dati provenienti, e servono — in genere al ristorante di Montecitorio — i piatti e i vini della zona. Sono sempre affollate, le degustazioni, e la scena si ripete pressoché uguale: ci sono queste persone, spesso si tratta di gente di paese che del Parlamento ha coltivato un’immagine quasi mitica. E si trovano lì, spaesati, ad osservare un’orda di affamati che si getta a peso morto su salame o tortellini o Franciacorta, e poi magari c’è qualcuno che si avvicina al bancone, «che delizia questo vino, ma non ne ho avuto nemmeno una bottiglia», e loro con espressione paziente ad allungargli — anzi, ad allungarci — la bottiglia. Scene mica tanto diverse da quelle che vedevo durante le mie trasmissioni, quando invitavo il pubblico ad assaggiare le ricette offerte dal paesino di turno. Ma sì dai, che gli italiani sono così, quando si mangia va sempre bene, e non si vede perché noi deputati dovremmo essere l’eccezione. D’altronde che cosa vi aspettate, che tutti si corra per esempio alla «Prima manifestazione d’indipendenza dalla lingua inglese», organizzata dall’associazione Esperanto cui è stata concessa per l’occasione la sala stampa della Camera, «intervengono tra gli altri il deputato europeo Alfredo Antoniozzi e l’onorevole Bruno Mellano». No, meglio la bresaola.

Ma quali notti romane

E poi ci sono le notti, le notti romane, con le terrazze e i salotti e le foto su Dagospia, il famoso sito internet di gossip. Ora, non vorrei sbriciolare un mito, ma le notti romane sono una gran noia. Certo che le feste ci sono, per noi Verdi il punto di riferimento è l’avvocato Paola Balducci. Lei è una bella signora molto gentile e ospitale, ha una splendida casa in zona Botteghe Oscure, la sua terrazza è leggendaria. Mi viene in mente uno di questi ritrovi, l’allenatore personale della Balducci le aveva suggerito di puntare sulla carne anche per questioni di dieta, e allora era tutta una griglia e bistecche grandi così, all’americana, e infatti se non ricordo male c’erano piatti guarniti con bandierina a stelle e strisce, ma lì non e’era da protestare contro nessuna base militare yankee, né i vegetariani avrebbero avuto da dire. In genere, però, i party più chic sono riservati ai pezzi grossi — della politica, della finanza, dello spettacolo — gli onorevoli di bassa lega se riescono s’intrufolano, poi si mettono nell’angolo e allargano le narici per annusare il profumo del potere.

Il più delle volte, invece, noi peones ci si organizza per passare serate al limite della tristezza. I Verdi escono coi Verdi, magari andiamo alla Locanda del Pellegrino, e poi leghisti con leghisti, quelli di AN con altri di AN. O anche i gruppi territoriali, lombardi con lombardi, napoletani con napoletani e così via.

Latin Lover a pagamento

Si va nel solito ristorante dove ti trattano coi guanti — «buonasera onorevole, cosa le porto onorevole». E si cerca di coinvolgere un ministro o al limite un sottosegretario — tanto nel governo Prodi sono cento e più, qualcuno si trova — perché arrivare al locale con l’auto blu fa tutta un’altra scena, senza contare che si risparmiano i soldi del taxi. Si finisce quasi sempre a spettegolare su Tizio e Caio, col risultato che il giorno dopo, saputo che quello che fa l’amico in realtà sparla di te a più non posso, cerchi di ostacolarlo in ogni sua iniziativa politica, così, per antipatia personale. Ed è vero, a fine serata c’è anche chi si rifugia dall’amante più o meno giovane, o raccatta un po’ d’amore a pagamento, al limite si svena e investe su una bellissima escort contattata via Internet, salvo poi sbandierare conquiste e performance improbabili manco fosse Mastroianni. Ma le orge in stile rockstar o i festini con le più disinibite vallette del momento, bè, scusate la delusione, ma per quel che mi riguarda sono più che altro letteratura d’accatto.

In pornostar e dintorni, in effetti, una volta mi sono imbattuto. Mi telefona il capo ufficio stampa del partito, Giovanni Nani, e si lamenta, «Poletti, basta con questi scherzi», io casco dalle nuvole, «Ma quali scherzi?». E lui seccato mi dice che insomma, c’è il manager di questa pornostar, Federica Zarri nota anche come Diana Buson, che lo perseguita perché lei dice di voler entrare nei Verdi, e siccome è lombarda credeva c’entrassi io. Si apre così un gioioso dibattito, pornostar sì pornostar no, con il nostro Camillo Piazza, appassionato di balli sudamericani e che già aveva organizzato una manifestazione con diverse attrici hard per salvare il Ticino dall’inquinamento, a sostenere l’ingresso di Federica nel partito, «Perché, che male ci sarebbe?». Ma la discussione s’interrompe bruscamente: veniamo infatti a sapere dai giornali che la Zarri ha cambiato idea, intende aprire un Circolo della Libertà. La volgar battuta nasce spontanea: cazzi loro. E giù risatacce.

Fine della terza puntata


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