Consideriamo per un momento due delle più popolari reti sociali fra chi ha un’età media fra i 40 e i 60 anni, ovvero Facebook e LinkedIn. Sono due reti molto diverse, con caratteristiche e scopi molto differenti. Fondamentalmente ludica la prima, dove si parla sostanzialmente di tutto e si condividono opinioni, fatti ed esperienze in modo del tutto destrutturato; orientata al business e alle discipline soprattutto scientifiche e tecnologiche, la seconda.
Entrambe, tuttavia, condividono un punto debole, ovvero una funzione che dovrebbe essere considerata prioritaria per l’utente e invece viene fornita in una forma estremamente primitiva: quella della ricerca di informazioni. Abituati come siamo a Google, dove basta scrivere una frase affinché il motore di ricerca ci offra quanto di più simile possibile a quello che stiamo cercando, le funzioni di ricerca delle due reti sociali sono banali, primitive, assolutamente inefficienti.
Data la quantità di denaro che le rispettive società investono in queste piattaforme, è difficile pensare che si tratti di una svista. L’unica possibilità è che sia una scelta del tutto consapevole. Ma perché?
Per Facebook è facile rispondere: l’intera piattaforma è disegnata per orientare l’utente, ovvero per far vedere alle persone quello che Facebook decide debbano vedere. Un classico esempio è il filtro “Più pertinenti” (Most Relevant) che non può essere modificato di default. Certo, lo si può modificare temporaneamente sul singolo post, ma non c’è modo di dire a Facebook di impostare l’opzione di visualizzazione dei commenti a “Tutti i commenti” (All Comments). In questo modo si sfrutta la pigrizia intrinseca del visitatore medio della piattaforma per disincentivare la disabilitazione di quel filtro. Quali poi siano i criteri con cui si stabilisce che un commento sia pertinente, questo lo sanno solo gli sviluppatori di Facebook, o meglio, chi decide le politiche della piattaforma con motivazioni a noi del tutto oscure. La trasparenza non è certo una caratteristica peculiare di questa rete sociale.
La questione diventa più difficile da analizzare quando parliamo di LinkedIn. Questa è una piattaforma per fare affari, per incontrare persone che fanno lo stesso mestiere o hanno gli stessi interessi, oppure per trovare collaboratori, esperti e partner. Ci si aspetterebbe che la funzione di ricerca qui sia più curata, ma non è così. Se ad esempio stessi cercando un esperto di Machine Learning che lavora a Roma e che opera in ambito accademico, devo ingegnarmi parecchio per trovare un nome. LinkedIn Premium, ovvero la versione a pagamento, offre tutta una serie di vantaggi agli utenti ma, per quanto ne sappia, non in relazione alla funzione di ricerca.
Quindi perché? Possibile che chi ha disegnato la rete sociale in questione abbia una visione così limitata dello strumento e non si renda conto di quanto sia fondamentale questa funzione? LinkedIn è una rete sociale estremamente primitiva sul piano funzionale, anche quella a pagamento. È come entrare in una grande biblioteca dove ci sono molte stanze, ovvero i gruppi di discussione; molti quadri, ovvero le schede profilo di professionisti e aziende; molti documenti, ovvero post e articoli; ma nessun sistema di ricerca, nessuna guida, nessuna informazione, mappa, indicazione su dove trovare le cose che ci interessano.
La questione quindi rimane: perché una delle reti sociali più importanti per il mondo lavorativo e del business è così carente in una funzione così importante?
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