Ghiacci bollenti


Credo che non si debba essere esperti di metereologia per rendersi conto che qualcosa sta succedendo al nostro pianeta. Che sia in atto ormai da diversi anni un riscaldamento globale della Terra è un fatto accertato. Che tale riscaldamento abbia prevalentemente o anche solo in parte una causa antropica, ovvero dovuta all’uomo, non lo è. È tuttavia altresì un fatto che l’uomo abbia prodotto una serie di alterazioni sul pianeta, come ad esempio la deforestazione di molte grandi foreste tropicali, che hanno portato almeno a livello locale una serie di problemi sul territorio, come ad esempio frane e alluvioni.

Sull’entità delle responsabilità dell’uomo nell’aumento progressivo della temperatura del nostro pianeta ci sono stati accesi dibattiti in tutto il mondo. La difficoltà oggettiva di porre in relazione determinati eventi con possibili cause scatenanti ha finito per creare varie scuole di pensiero più o meno fideistiche. In pratica, come succede spesso quando la Scienza ha difficoltà a interpretare i dati e, correttamente, sospende il giudizio fintanto che non sia stato definito un modello ragionevole e affidabile, ognuno ha deciso a cosa credere o, in qualche caso, cosa gli conveniva affermare di credere.

Così da una parte si sono schierati quei gruppi industriali ai quali non fa certo comodo che vengano fatte determinate scelte il cui scopo dichiarato è ridurre l’effetto antropico sul nostro pianeta, dall’altro si sono schierati quei gruppi ambientalisti più integralisti che vedono in qualsiasi problema che coinvolge il nostro pianeta la mano nociva dell’uomo. Al centro il resto dell’umanità, più o meno suddivisa in vari sottogruppi: da chi si disinteressa completamente della questione a chi pensa che il mondo si stia avviando verso una catastrofe.

In tutto ciò l’informazione, lungi dal portare un contributo positivo al dibattito, finisce per diventare una cassa di risonanza di chiunque si svegli una mattina con qualche nuova più o meno stramba ipotesi. Il desiderio di spiegazioni è così forte che si è disposti ad accettare qualsiasi spiegazione possibile tranne l’unica che a volte si dovrebbe avere il coraggio di esprimere: «non lo sappiamo con sicurezza, non ne siamo sicuri».

In effetti il problema è proprio questo: al momento non sappiamo, che ci piaccia o meno, quanto l’uomo abbia di responsabilità nei mutamenti climatici che stiamo sperimentando in questo periodo storico. Siamo abbastanza sicuri che una certa responsabilità esista, anche se non siamo in grado di calcolarne l’entità, ma sappiamo anche per certo che situazioni analoghe si sono già verificate in passato, quando l’homo sapiens ancora non era comparso o comunque era rappresentato da pochi milioni di individui sparsi su alcuni continenti in sparute tribù di alcune decine di elementi al massimo.

Il Progetto EPICA

Come facciamo a saperlo? Lo sappiamo grazie ai carotaggi effettuati in Groenlandia e in Antartide, che ci hanno permesso di studiare il clima del nostro pianeta in un arco di tempo di diverse centinaia di migliaia di anni. Una carota di ghiaccio non è altro che un cilindro ottenuto dalla perforazione del ghiaccio che si è accumulato per millenni in certe regioni del nostro pianeta. Una di queste carote può essere lunga anche due o tre chilometri e la si deve pensare come a una sorta di registrazione delle caratteristiche dell’atmosfera del pianeta nel corso degli anni. La più antica registrazione ottenuta finora è dovuta ad una carota estratta in Antartide nella base italo-francese Concordia nella località di Dome C dal progetto EPICA e che risale a circa 700.000 anni fa. Le carote groenlandesi sono più recenti, dato che arrivano a circa 110.000 anni, ma sono estremamente importanti nell’analisi dell’atmosfera dell’emisfero settentrionale del pianeta.

I ghiacci si stanno sciogliendo

Proprio quest’ultime ci hanno permesso di capire come negli ultimi 20.000 anni si siano verificate moltissime variazioni climatiche repentine capaci di modificare in un solo decennio la temperatura di 10 o più gradi Celsius. Pensate sia poco? Beh, tanto per dare un’idea, se il clima di Roma subisse un calo di 10 gradi in media di temperatura, finirebbe per assomigliare a quello attuale di San Pietroburgo. Ne consegue che tali eventi sono esistiti e si presume esisteranno indipendentemente dalla presenza dell’uomo sulla Terra, anche se quest’ultimo ha tutte le carte in regola per peggiorare una situazione già poco attraente.

Così, mentre molti si concentrano su un dibattito che al momento ha poche speranze di vedere una conclusione, pochi si preoccupano di comprendere quale potrà veramente essere l’impatto del riscaldamento globale sul pianeta al di là di quelle che possono esserne le cause. In generale un riscaldamento su scala globale produce alterazioni in tempi piuttosto lunghi, tuttavia esso può creare le condizioni perché determinati meccanismi assolutamente critici per il clima del nostro pianeta, saltino completamente. Ne cito uno dei più conosciuti, ma ce ne sono diversi.

Uno dei più importanti è il cosiddetto «nastro trasportatore», ovvero una serie di correnti oceaniche che attraversano il pianeta da sud a nord e viceversa. Questo meccanismo è caratterizzato da correnti calde che, muovendosi in superficie, trasportano calore dall’Atlantico Meridionale verso il Polo Nord dove raffreddandosi precipitano e formano correnti fredde che ritornano verso sud spostandosi nelle profondità degli abissi oceanici. Le correnti calde sono responsabili del clima temperato del Nord America orientale e dell’Europa dato che riscaldano i venti dominanti che dal Nord America si spostano appunto verso l’Europa e l’Asia. Questi venti influenzano anche i monsoni stagionali nell’Africa Settentrionale e Centrale e nell’Estremo Oriente, rendendo l’Asia Centrale più umida. Viceversa le correnti fredde mantengono più bassa la temperatura dell’Antartide e del Sud dell’Atlantico.

Il riscaldamento globale sta tuttavia provocando lo scioglimento dei ghiacciai dell’Europa e del Nord America così come dei ghiacci della Groenlandia. La grande quantità di acqua dolce che affluisce così nell’Atlantico del Nord può bloccare il meccanismo suddetto perché le correnti calde, raffreddandosi, non precipiterebbero più in profondità a causa della loro maggiore salinità, ma si congelerebbero prima di aver avuto la possibilità di affondare. Con il blocco del «nastro trasportatore» si avrebbero inverni molto più rigidi sia in Europa che nella costa orientale del Nord America, le regioni abitualmente investite dai monsoni subirebbero lunghi periodi di siccità, l’Asia Centrale diventerebbe più secca mentre a riscaldarsi sarebbero alcune regioni australi. In pratica uno dei primi effetti del riscaldamento planetario sarebbe una sorta di piccola era glaciale — non una vera e propria glaciazione, tuttavia — la quale influirebbe ulteriormente sulla disponibilità di acqua dolce in molte aree della Terra, soprattutto nei Paesi più poveri.

Oltre a portare innumerevoli danni alle culture, questi cambiamenti climatici porterebbero a vere e proprie migrazioni da parte delle popolazioni colpite, con conseguenti situazioni di attrito se non di conflitto fra i Paesi più esposti e quelli meno interessati da questi eventi o comunque con maggiori risorse. Al di là del costo economico e di quello in vite umane, questa situazione potrebbe far precipitare una serie di equilibri economici e sociali in tutto il mondo, anche in quei Paesi dove i cambiamenti climatici dovessero avere minore effetto.

Sono di questi giorni le notizie di danni e vittime nel Nord Europa dovuti a veri e propri uragani, ma senza andare così lontano trombe d’aria e alluvioni stanno regolarmente colpendo il nostro Paese da diversi anni, oramai. Ognuno di questi eventi ha costi economici considerevoli. Inoltre, soprattutto per un Paese come il nostro, con poche risorse naturali e una dipendenza energetica dall’estero significativa, questa situazione può rappresentare un vero e proprio disastro annunciato. Nel momento infatti in cui il clima richiederà interventi più consistenti a protezione delle popolazioni, i vari Stati daranno ovviamente la priorità ai propri cittadini, limitando se non addirittura chiudendo del tutto l’erogazione di risorse ed energia ai Paesi utilizzatori. Freddo e caldo intensi possono essere fatali. Migliaia di europei sono morti la scorsa estate per il caldo, migliaia sono stati nel Nord America i morti a causa delle gelate improvvise. Chi vive nelle città, infatti, o ha la possibilità di spostarsi prima che questi eventi colpiscano i centri urbani, o deve attrezzarsi con impianti di condizionamento in un caso, di riscaldamento nell’altro, impianti che richiedono un notevole utilizzo di risorse energetiche. Non tutti, tuttavia, hanno questa possibilità e, anche l’avessero, molti Paesi non sarebbero in grado di far fronte a lungo alla richiesta delle risorse necessarie al loro funzionamento.

Qui non si tratta di fare del catastrofismo né di fare ipotesi su di chi è la colpa. Il cambiamento climatico è già in atto, qualunque siano le cause, e se anche potessimo intervenire fin da adesso su di esse ci vorrebbero anni per ottenere dei risultati. Non ci dobbiamo aspettare tanto una situazione come quella ipotizzata nel film «The Day After Tomorrow», non ci sarà una glaciazione su scala planetaria, ma modifiche significative al clima per lunghi periodi di tempo in ambiti locali specifici si ritiene siano ormai inevitabili, anzi, che siano già iniziati.

Le centrali nucleari estere
nei pressi dei confini italiani

Dobbiamo prepararci fin da adesso anche noi italiani alle conseguenze di questi cambiamenti, soprattutto rivedendo la nostra politica energetica, anche con il nucleare, se necessario, visto che ipocritamente già il 16% dell’energia che utilizziamo viene prodotta soprattutto in Francia da centrali nucleari. E non è una questione di non avere centrali che possano rappresentare un pericolo per la cittadinanza sul nostro territorio: basta dare un’occhiata a una cartina per capire che un eventuale problema in una delle centrali nucleari oltreconfine interesserebbe comunque il nostro Paese.

In quanto alle responsabilità dell’uomo, una cosa la possiamo fare subito ed è quella di evitare che i cambiamenti climatici vadano a colpire un territorio già indebolito dallo sfruttamento incosciente dell’uomo a livello locale. Anche una semplice frana può diventare un disastro se continuiamo a costruire dove non dovremmo o ad erodere meccanismi naturali di protezione come le foreste. Dobbiamo dragare i fiumi e tornare a renderli scorrevoli, ricostruire le foreste, spostare i centri abitati più a rischio — può sembrare una cattiveria, ma poi se quel centro abitato viene raso al suolo da un’alluvione con tutti i suoi abitanti, non è peggio? — sistemare le coste. Persino costruire grattacieli con tecnologie avanzate e sicure potrebbe essere d’aiuto. Costruire in altezza per liberare spazio da riconvertire a verde in un Paese che di spazio ne ha poco. Non possiamo più allargare le nostre netropoli a macchia d’olio. La tecnologia, quella tecnologia che spesso è accusata dai più integralisti di essere la vera causa dei problemi del pianeta, è l’unica che ora ci potrebbe aiutare e potrebbe aiutare la Terra a superare questo momento difficile, ma va usata con intelligenza e soprattutto con competenza.


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