Scritto da una penna a volte delicata, ma a volte più decisa, capace di dipingere sia i toni sfumati dei teneri sentimenti come quelli rabbiosi suscitati dalla fine dell’amore per l’ex moglie Elisa che, dopo la separazione, lo tiene lontano dall’adorato figlio Enrico Junio Valerio, il breve romanzo autobiografico di Mario Campanella, giornalista e già capo ufficio stampa della Commissione Parlamentare per l’Infanzia, ci introduce, attraverso il racconto delle sue peripezie, a quelle stesse vicissitudini che molti padri separati hanno conosciuto al prezzo della propria sofferenza. Il libro — oltre ai ricordi di matrimonio e d’infanzia, oltre alle considerazioni personali, che affondano in un ricco patrimonio culturale — racconta gli agognati momenti di ebbrezza dell’autore quando, finalmente, riesce a raggiunge il culmine della felicità godendo della vicinanza del figlio.
Narrazione malinconica e spesso struggente dell’amore paterno soffocato e ostacolato da risentimenti materni e impedimenti di un mondo troppo spesso incapace di comprendere «il senso di sofferenza di un maschio separato». «Sono ormai due mesi — dice Mario — che non vive con me e non l’ho visto il giorno in cui ha iniziato a camminare, né quando ha appreso nuove parole. Non so come siano diventati i suoi piedi…» (p. 21).
Mario ci fa vivere l’attesa lacerante che lo separa dall’incontro col figlio, e durante il viaggio si avvede dell’inutilità della vita senza di lui. Ma alla fine dei viaggi si scontra con l’opposizione della madre che gli impedisce di vedere il bambino. Ed ancora ricorre al Giudice per vedere tutelato il suo diritto ad essere presente nella vita del figlio: «Eliso da ogni ipotetica illusoria e dall’imprinting che un genitore ritiene di trasmettere e che io avrei voluto donargli» (p. 23).
Mario Campanella, «Senza il bacio della buonanotte», Rubbettino Editore, 2006
115 pagine, prefazione di Maria Rita Parsi
Giustamente la psicologa Maria Rita Parsi, da anni impegnata nella salvaguardia dell’infanzia, presta le sue parole alla prefazione del libro domandandosi se «Può un padre separarsi dal proprio figlio quando questi è in fieri, abdicando al suo ruolo di educatore e di rafforzatore di un’identità in divenire?» (p.7).
Mario si trova ad essere padre, ricoprendo un ruolo che al giorno d’oggi, è sempre più considerato dalla società un optional: da padri padroni, o grandi patriarca, dopo l’emancipazione femminile gli uomini hanno pareggiato il conto con l’altro sesso, per finire, in caso di separazione, sotto il dominio totale del «contropotere femminile»: «Ogni donna sa che, in caso di separazione, i figli toccheranno a lei e le spese al marito che paga, di contro, la sua appartenenza al potere pregresso dell’affermazione maschile» (p. 80).
Martirio della vita affettiva, la separazione dal figlio condanna Mario a non poter più essere «il padre che ritorna a casa e che da casa esce». Perché, dice Mario, «è proprio il ritorno a casa che non ho, perché non ho una casa, non ho una famiglia…» (p. 108).
«Se ci fosse una trilogia virtuale, il padre contemporaneo, separato e senza alcun peso, genitore vivente di figli orfani, si accomunerebbe a San Giuseppe e a Geppetto: i due padri asessuati e putativi, relegati alla figura sublime della rinuncia della carnalità e della genetica…» (p. 22).
Testimonianza viva, più che analisi lucida, il romanzo di Campanella concede forse troppo alla contrapposizione tra i sessi, per spegnersi seccamente nel finale con una non-conclusione, perché la sua vicenda è ancora troppo giovane per trovare la parola fine, e lascia aperta la porta alla speranza che il bambino di Elisa e Mario un giorno possa serenamente ospitare nel suo cuore mamma e papà congiunti per sempre.
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