Sono le otto di mattina. Ho già fatto colazione, preparato le valigie e sono pronto a ripartire. L’ascensore si apre al pian terreno dell’hotel presso il quale ho passato la notte. Esco e mi ritrovo di fronte alla reception. Non c’è fila, per fortuna: non ci vorrà molto per sbrigare le solite formalità, ovvero chiedere la ricevuta e pagare. Mentre uno degli addetti stampa il conto, chiedo alla ragazza dietro al bancone se mi può chiamare un taxi.
«Mi raccomando, con American Express.» le dico. La ragazza mi guarda imbarazzata… «Mi spiace, ma non ci sono.» «Ah — faccio io — allora va bene qualsaisi carta: Visa, Master Card…» La ragazza si morde le labbra, poi scuote la testa. «Mi spiace davvero, dice, ma siamo a Padova.» Questo dovrebbe spiegar tutto, suppongo, ma a me non dice nulla… Va bene, siamo a Padova, in una delle regioni più ricche d’Italia, e allora? Non chiedo, ma probabilmente il quesito mi si deve leggere in faccia perché lei sente il bisogno di precisare e, d’altra parte, se non lo avesse fatto avrei continuato a non capire: in fondo sono straniero in terra straniera o giù di lì.
«Siamo a Padova — mi ripete — Qui i taxi le carte di credito non ce l’hanno. Solo contanti.» Solo contanti… Certo che per uno come me che viaggia per lavoro e magari di taxi in una giornata ne prende tre o quattro, se dovessi pagare sempre in contanti dovrei andare in giro con i rotolini di banconote in tasca: poco pratico e, soprattutto, poco sicuro, anche se siamo in Veneto.
D’altra parte perché stupirsi? A Milano, quando arrivi all’aeroporto di Linate, se vuoi un taxi con la carta di credito ti tocca far passare una decina di vetture almeno prima di trovarne uno, magari dopo aver aspettato in fondo a una fila chilometrica per oltre venti minuti. Ovviamente chiedendo singolarmente ai vari autisti perché ce ne fosse uno che attacca la vetrofania sul finestrino, come si fa in tutto il mondo e non solo in quello cosiddetto “civile”.
«Non si può. — mi disse una volta un tassista milanese — Viene considerata pubblicità da parte del comune.» Pubblicità? E allora le vetrofanie fuori dai ristoranti o sulle vetrine dei negozi? Evidentemente qualcuno nella giunta comunale doveva aver messo ben poco tabacco in quello che si stava fumando quando ha tirato fuori questa bella pensata, perché lo scopo delle vetrofanie delle carte di credito è quella di informare i clienti se la loro carta è accettata come forma di pagamento, ovvero è un servizio, non pubblicità. A volte mi domando in che razza di Paese vivo…
Comunque in Italia, in genere, se chiami un taxi col cellulare, è bene specificarlo prima che vuoi pagare con carta di credito, se no poi c’è da bisticciarci, quindi perché aspettarsi qualcosa di diverso nel Veneto? Era la prima volta, tuttavia, che mi capitava che qualcuno mi dicesse che nessun tassì di una città, che tutto sommato non è che sia proprio piccolina, accetava carte di credito. Nessuno! Ma ci credete? Beh, credeteci, perché in altre città della Toscana o della Romagna mi è capitato che di tassì alla stazione neanche ce ne fossero, carta di credito o contanti. E meno male che non sono un turista, se non sai che belle storie racconterei al mio ritorno dall’Italia? Dire che siamo nel Terzo Mondo è un eufemismo.
Ma torniamo alle carte di credito. In genere, quando chiedi perché non le accettano ti rispondono che le carte costano, che le aziende che le emettono si pigliano una percentuale e che a loro non conviene, ma questo vale anche in Francia, in Germania, in Inghilterra, e non è certo una percentuale più bassa, anzi! E allora perché i tassisti in quei Paesi le carte di credito le prendono tutte? Sono forse più cretini? E poi basta mettersi d’accordo, per negoziare condizioni più favorevoli. Alcune compagnie di tassisti lo hanno fatto, come Samarcanda a Roma, ad esempio, quindi perché non anche a Milano o Padova? Il problema è che i tassisti raramente riescono a mettersi d’accordo: sono tanti padroncini, tanti piccoli imprenditori di sé stessi che spesso vedono nei loro colleghi solo dei concorrenti. Non sono io a dirlo, ma loro stessi, perché poi nel tassì chiacchieri e di chiacchiere ne senti tante.
Insomma, ognuno per sé e Dio per tutti, ma si sa: Dio paga solo in contanti.
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