Bisogna sempre essere pronti a lottare per chi si ama


Tratto dal sito Padri ad Ore:

˅

Molti dei problemi che affliggono la società moderna hanno una causa in comune e precisamente il fatto che si stia perdendo progressivamente la coscienza di come la famiglia rappresenti il tessuto connettivo di una qualunque società. E questo comunque si intenda il concetto di famiglia, ovvero qualunque sia la sua struttura e comunque essa evolva nel tempo. Ci si sta dimenticando che la famiglia dovrebbe rappresentare un punto di riferimento fondamentale per ognuno di noi, un’ancora di salvezza nei momenti difficili della vita. Così ci si affanna a cercare nelle leggi o nelle istituzioni, nelle associazioni di volontariato o nelle comunità religiose quell’aiuto che comunque ci serve e che ci viene a mancare proprio da chi dovrebbe esserci più vicino.

In una società come la nostra, sempre più impersonale e insensibile alle esigenze dei singoli, vengono oramai creati in continuazione falsi valori che ci affanniamo a rincorrere senza risultato per poi trovarci insoddisfatti della nostra vita, così grigia rispetto a quegli splendidi sogni che qualcuno ha disegnato a tavolino per soddisfare interessi economici specifici e non certo per la nostra felicità. E così perdiamo il senso di ciò che è realmente importante nella vita, e non ci rendiamo conto del grande tesoro che abbiamo: i nostri figli.

Non si intende qui cercare di capire come migliorare il sistema e come portarlo ad avere un maggior rispetto dell’individuo, né tanto meno risolvere i tanti problemi che questo stile di vita ci porta inevitabilmente a dover affrontare. Queste poche righe hanno piuttosto lo scopo di evidenziare come un primo passo nella giusta direzione sia quello di ridare importanza e valore alla famiglia, riconoscendole quel ruolo di sostegno e di fondamento che è alla base di una società civile e matura.

Una volta la famiglia era una vera e propria comunità, che comprendeva spesso più generazioni di familiari che convivevano nello stesso ambiente e che condivideva sia i momenti belli che quelli brutti di ogni individuo. La famiglia di oggi è molto diversa da quella di una volta, ma questo non cambia il principio di base. Oggi una famiglia può essere formata da persone separate o non sposate con figli, da coppie dello stesso sesso o di sesso diverso, da persone legate affettivamente secondo princìpi che corrispondono a religioni o comunque culture anche molto differenti fra loro.

Non sta a noi giudicare quali strutture siano valide e quali no, ma due caratteristiche esse devono condividere per poter parlare veramente di famiglia: la prima è che le persone che le compongono si amino veramente e si rispettino reciprocamente; la seconda è che esse formino quel punto di riferimento su cui i componenti possano fare affidamento nell’affrontare la vita di tutti i giorni.

Riportando per semplicità il discorso su una famiglia di tipo classico, ma tenendo presente che esso resta comunque valido anche in un ambito più esteso, il punto fondamentale è che l’anziano, il bambino, il disabile, chiunque cioè abbia più bisogno degli altri di ricevere aiuto nell’affrontare la vita, dovrà poter sempre contare innanzi tutto sulla famiglia per il proprio sostegno non solo economico, ma anche affettivo, educativo e sanitario.

Anche perché non ci si può aspettare che uno Stato, spesso indifferente o eccessivamente burocratico, o anche le associazioni di volontariato, comunque sovraccariche di lavoro e non sempre in grado di essere presenti ovunque, possano sostituire soddisfacentemente il ruolo della famiglia nella società. Naturalmente questo ruolo fondamentale vale per tutti, non solo per i più deboli. Ognuno di noi ha spesso bisogno dell’aiuto e del conforto di altri, per quanto forti si possa essere e che lo si voglia ammettere o meno.

Metter su una famiglia vuol dire prendere una serie di impegni nei confronti degli altri componenti. Ora, se questi sono altri adulti, ovvero se si trovano su un piano di parità con noi, l’impegno può, come ogni altro impegno, essere rivisto e al limite essere rotto, purché ciò venga fatto secondo determinate regole. Nel caso tuttavia la controparte sia rappresentata da bambini o anziani, o comunque persone che da noi dipendono totalmente o in parte, allora il discorso cambia radicalmente.

In particolare i figli non hanno avuto la possibilità di decidere di far parte di una famiglia piuttosto che di un’altra e quindi hanno diritto più di ogni altro a vedersi garantiti quei diritti non solo di sostentamento materiale, ma anche di conforto e di affetto, di cui hanno bisogno soprattutto nei primi anni della loro vita. Se un uomo o una donna possono avere il diritto di separarsi dal coniuge con una scelta unilaterale, un genitore ha l’obbligo di continuare a dare ai propri figli tutto l’affetto e l’attenzione che essi si meritano e si aspettano e di valutare attentamente se valga veramente la pena di sacrificare la loro felicità per quello che spesso è solo un nostro atto egoistico.

Questo diritto-dovere di dedicare una parte consistente del proprio tempo deve essere garantito al genitore, e in modo paritario rispetto al sesso, senza discriminare fra madre e padre. Essere genitori vuol dire soprattutto mantenere un forte rapporto con i figli, rapporto che non si può esaurire in poche ore al giorno di visita o la disponibilità a sostenere economicamente la prole.

Purtroppo la nostra società, basata ancora su una cultura maschilista che vorrebbe imporre a entrambi i genitori ruoli differenziati che non hanno alcun fondamento scientifico né a livello biologico, né a livello psicologico, discrimina fortemente i genitori di sesso maschile relegando alla sola madre il compito di crescere ed educare i figli in caso di separazione. Oltretutto quest’ultima non avviene secondo criteri chiari e prestabiliti che garantiscono il rispetto di tutti i componenti della famiglia, e non parlo solo dei minori, ma anche degli adulti, dotati anch’essi, per quanto a qualcuno potrebbe sembrare strano, di sentimenti e bisogni non materiali. Il punto è che il matrimonio, o la convivenza, sono comunque un contratto. Il primo è formalizzato, il secondo sulla parola, ma comunque sempre un contratto, e un qualunque contratto dovrebbe, e in genere è così nel caso di quelli commerciali, prevedere una serie di clausole e di regole precise in caso di scioglimento.

Non stiamo parlando di regole generiche o formali che spesso non rappresentano alcun reale impegno per le parti, ma specifiche per quel contratto e quelle controparti. Se si gestissero i matrimoni come veri e propri contratti, non ci si troverebbe all’atto della separazione a scatenare guerre spesso fomentate da avvocati senza scrupoli o da parenti irresponsabili: atti che feriscono profondamente i sentimenti e che spesso danneggiano entrambi da un punto di vista economico.

Fra i punti che rimangono aperti e che costituiscono spesso uno degli elementi critici di una separazione, è appunto l’affidamento dei figli. L’importanza di questo punto risiede nel fatto che non coinvolge solo aspetti economici e logistici, ma affettivi e di relazione. La legislazione corrente e la giurisprudenza affrontano questo delicato problema con superficialità e incompetenza, sulla base di forti pregiudizi sessisti spesso giustificati da presunti studi di psicologia e pedagogia senza alcun reale fondamento scientifico.

Casi in cui una donna decide di separarsi per motivi propri, ovvero non legati a colpe vere o presunte del marito, e nel far questo porta via allo stesso casa e figli, anche in regime di separazione dei beni, mettendolo in mezzo ad una strada e costringendolo a vedere i figli, se gli va bene, poche ore a settimana, sono tutto fuorché rari. Queste situazioni rappresentano una vera e propria violenza sia nei confronti dei minori che nei confronti dell’altro genitore. Per un genitore, vedersi portare via i figli, è un dolore straziante che mai un tribunale di un Paese civile dovrebbe causare.

Il livello di ingiustizia è tale che più di un giudice considera perfettamente normale che un padre debba accontentarsi di vedere la figlia sei ore a settimana e un fine settimana ogni due. È impressionante il fatto che non si rendano neppure conto del trauma che questo comporta ai minori e della profonda sofferenza che ne consegue anche per il padre, condannato senza colpa ad una vita di “padre ad ore”. Senza contare che questo atteggiamento incentiva spesso molte donne ad usare i figli come arma di ricatto nei confronti dei padri, per ottenere vantaggi di natura economica od anche semplicemente per vendetta.

In Italia non esiste vera giustizia in una separazione, e a volte, grazie ai trucchi e ai consigli di avvocati senza scrupoli, c’è da dubitare persino sulla legalità delle stesse. E questo senza contare il fatto che la macchina burocratica dello Stato è spesso un carrozzone inefficiente e insensibile che fa sempre pagare ai cittadini lentezze ed errori di cui non si assume mai la responsabilità. La cosa peggiore è che molti cittadini, e soprattutto molti padri, subiscono tutto ciò senza lottare, anestetizzati da quella sindrome di assuefazione che caratterizza molti italiani, e che insiste nell’affermare che «è sempre stato così e non si può far nulla per cambiare le cose».

Ma il punto è proprio questo: non è vero che le cose non si possono cambiare, se si ha il coraggio di pagare il prezzo che inevitabilmente la prima volta un cambiamento come questo richiede. Bisogna rendersi conto che si deve sempre essere pronti a lottare per chi si ama, e che è solo l’accettazione del ruolo di vittima sacrificale di turno che ci impedisce di cambiare le cose.

˄

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*