Vera garanzia di libertà in una democrazia non è il multipartitismo ma una libera informazione.
Ma l’informazione è libera in Italia? Certo non siamo in un sistema dittatoriale e tuttavia parlare di libera informazione nel nostro Paese è corretto solo fino a un certo punto. Spesso si confonde la libertà di informazione con la pluralità dell’informazione. Un sistema pluralista nel quale le varie testate giornalistiche e i vari canali televisivi sono legati a Perse realtà politiche e industriali non è necessariamente un sistema che possa garantire un’informazione affidabile e veritiera.
Al di là del fatto che nel nostro Paese pochi leggono più di un quotidiano e comunque ancora meno quotidiani con linee editoriali contrapposte — lo stesso ovviamente vale per l’informazione televisiva — la maggior parte delle testate sono legate a un qualche gruppo di potere o di interessi. Questo fa sì che gran parte delle informazioni risentono di questo orientamento, fino ad arrivare, in alcuni casi, alla faziosità più estrema.
Non è necessario mentire o riportare informazioni false per fare disinformazione: ci sono metodi più sottili e più difficili da rilevare per manipolare l’opinione pubblica. Il più semplice è tacere una parte della verità, ad esempio riportando solo un frase fuori dal suo contesto, oppure evidenziare di più un aspetto rispetto a un altro, o anche semplicemente, come fanno molti telegiornali, riportare le notizie in un certo ordine. Quest’ultima tecnica è quasi subliminale. Accostando fra loro due notizie che possono anche non avere alcuna relazione l’una con l’altra, si può creare in chi legge o ascolta un orientamento positivo o negativo nei confronti di un fatto o un’opinione.
Un altro aspetto che caratterizza la nostra informazione è quella di non riportare direttamente i fatti, ma le opinioni di qualcuno sugli stessi. Ad esempio, se esce una nuova proposta di legge, i giornali e i telegiornali fanno a gara per riportare le opinioni di tutti, a volte addirittura le opinioni di alcuni sulle opinioni di altri, ma raramente si trova una scheda chiara e precisa di quello che è stato proposto, tanto meno la proposta viene riportata così come è stata scritta, in modo da dare la possibilità a ciascuno di farsi una propria opinione.
Il tempo dedicato dai vari telegiornali alle opinioni dei vari politici e opinionisti, se non addirittura alle polemiche, è spesso una percentuale consistente del tempo complessivo dedicato alle notizie. Spesso è quasi impossibile evincere da cosa è nata l’intera polemica semplicemente ascoltando le varie opinioni.
D’altra parte, come già detto, pluralismo non vuol dire maggiore garanzia di veridicità dell’informazione: due bugie, anche se contrapposte, non fanno una verità. Inoltre, sempre più spesso, molti pezzi giornalistici non nascono dall’interazione diretta fra il giornalista e il fatto, ma sono il risultato di una raccolta indiretta di informazioni, per lo più reperite dai comunicati delle agenzie stampa. Quando queste informazioni non sono corrette — e capita, ovviamente, specialmente perché c’è la tendenza ormai a dare la priorità al riportare la notizia per primi piuttosto che a verificarne la veridicità — i vari notiziari la riportano con una sorta di tam tam multimediale prima che l’informazione possa essere corretta. A volte poi, specie se non fa comodo, alla correzione non si dà la stessa evidenza che alla notizia originale, il che può danneggiare seriamente qualcuno, come nel caso di false accuse di omicidio, stupro o altre violenze. In pratica si finisce per condannare a priori un individuo in barba al principio che una persona sia innocente fino a prova contraria.
Ma quali sono le possibilità che abbiamo di difenderci da tutto ciò? Abbastanza scarse, in effetti. Innanzi tutto ognuno di noi ha comunque una posizione politica, filosofica o religiosa, per cui abbiamo la tendenza a credere più facilmente a chi fa affermazioni in linea con i nostri principi piuttosto che in contrasto con gli stessi. In pratica è abbastanza difficile essere critici nei confronti di chi la pensa come noi e accettare come veritiera un’affermazione fatta da qualcuno che ha principi Persi o addirittura opposti ai nostri. Questo facilita la manipolazione, perché ogni testata può far più facilmente accettare un’affermazione, addirittura l’esistenza o meno di un presunto fatto, se dà a chi legge o ascolta quello che quella persona vuole sentirsi dire. Inoltre noi possiamo farci un’opinione su qualcosa solo se abbiamo una buona conoscenza di tutti i fatti ad essa relativi. Ma se questi fatti sono incompleti o modificati ad arte in modo abbastanza verosimile, la nostra opinione, per quanto in buona fede, sarà falsata.
Questo è il meccanismo principe che poi serve ai partiti, ai sindacati e a tutti quei gruppi che hanno un obiettivo di potere all’interno della nostra società, per raccogliere consensi. I consensi sono importanti: servono per i voti, per le manifestazioni di piazza, per fare pressione sui gruppi avversari. Il consenso ha bisogno della buona fede, di avere con sé gente convinta di determinate posizioni, e questo è possibile solo manipolando l’informazione. Persino quella vera. Infatti non c’è manipolazione solo quando si vuole falsare una certa situazione: un fatto veramente accaduto è il miglior tipo di bugia. Focalizzando l’attenzione su qualcosa di innegabile, si distrae l’attenzione da qualcos’altro, magari altrettanto importante, che può far comodo nascondere.
L’unica difesa la si ha quando, competenti in un qualche argomento, ci si rende conto delle imprecisioni esistenti all’interno di un articolo o un servizio giornalistico e si comincia a ragionare sulle stesse. Facendo un’analisi seria e quanto più critica e imparziale possibile, soprattutto nei confronti di quelle testate che ci sono più vicine ideologicamente, possiamo fare un’ipotesi ragionevole su quanto esse siano effettivamente affidabili anche negli argomenti dei quali abbiamo una conoscenza più limitata o addirittura nulla.
Abbiamo detto che due bugie non fanno una verità, ma nel quadro dell’informazione italiana c’è anche una situazione peggiore del dover cercare di evincere i fatti da un mare di opinioni parziali e interessate: è quando si formano dei veri e propri trust, dei fronti unici, trasversali a tutti i gruppi di potere, riguardo una certa situazione o informazione. In questo caso cala un vero e proprio silenzio stampa, una censura totale, sull’argomento in questione. Non c’è bisogno di invocare il concetto di congiura perché tutto questo avvenga. In molti casi non c’è alcun accordo fra le varie testate o, più precisamente, fra le varie agenzie stampa. Semplicemente di una certa cosa non fa comodo a nessuno parlarne e quindi nessuno ne parla. Spesso, l’unico modo per venirne a conoscenza è leggere la stampa straniera, cosa non alla portata di tutti.
In tutti questi meccanismi ha un ruolo non indifferente l’Ordine dei Giornalisti. Lungi dall’essere garante di una informazione libera e affidabile, l’Ordine ha dimostrato più di una volta di agire come una propria e vera corporazione il cui principale obiettivo è quello di proteggere privilegi e interessi di una certa classe giornalistica. Il controllo dell’Ordine sull’informazione è stato per decenni praticamente assoluto. Basti pensare che una testata giornalistica non può esistere se non ha a dirigerla, almeno formalmente, un appartenente all’Ordine stesso.
Tutto questo almeno finché non è comparsa Internet. La Rete, più volte accusata dall’Ordine di inaffidabilità e spesso oggetto di attacchi anche feroci, soprattutto tra la fine degli anni Ottanta e Novanta, ha dimostrato di non essere né più né meno affidabile del mondo dei media tradizionali, ovvero stampa, radio e televisione. A differenza di questi tuttavia, permette di accedere facilmente a un numero enorme di canali informativi, sia italiani che esteri, fino ad arrivare al contatto diretto con il fatto e con i protagonisti dello stesso. Soprattutto è facile confrontare rapidamente le varie opinioni. Certo, anche qui il confronto fra più affermazioni non dovrebbe darci, in linea di principio, maggiori elementi di scelta di quanto faccia l’informazione tradizionale, permettendoci così di formarci un’opinione libera da tentativi di manipolazione; tuttavia la quantità di canali informativi messi a disposizione della Rete è di vari ordini di grandezza più grande di quella relativa ai canali accessibili tradizionalmente, e questo aumenta le possibilità di ricavare da questa massa di informazioni una visione complessiva più attendibile.
È da queste considerazioni che è nata la decisione di pubblicare in rete L’Indipendente, il Blog. Creare un nuovo canale che affronti in modo del tutto indipendente da qualsivoglia gruppo politico o trust industriale argomenti di natura politica, sociale e culturale e aperto quindi a discutere di qualunque evento o problematica, è un modo di contribuire a rendere sempre più libera l’informazione e di conseguenza, un contributo a rendere sempre più liberale la nostra società. Non c’è contraddizione fra l’affermazione di indipendenza e la caratterizzazione comunque liberale della testata. Essere indipendenti non vuol dire essere neutrali. Vuol dire cercare di affrontare i problemi che caratterizzano la nostra società con uno spirito libero da pressioni e manipolazioni, alla ricerca della verità in un’ottica di trasparenza e correttezza. Questo non ci impedirà di sbagliare, né di sostenere opinioni che poi potrebbero rivelarsi non corrette, ma sarà sempre e comunque il risultato dello spirito libero di chi scrive e non di interessi di parte, corporativi o meno.
Dr. Dario de Judicibus
Fondatore de «L’Indipendente» in Rete.
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