Negli ultimi anni i media hanno affrontato più volte quello che molti ritengono essere uno dei problemi sociali più scottanti della storia attuale del nostro paese e dell’Europa in genere, ovvero quello dell’immigrazione, soprattutto dall’Africa, dall’Asia e dal Sudamerica.
Nessuno tuttavia sembra porsene uno molto più grave, anche se probabilmente non ne vedremo i primi segni prima di dieci, forse vent’anni. Probabilmente qualcuno si stupirà del fatto che ci si debba porre adesso un problema così a venire nel futuro e quindi, in teoria, neanche del tutto certo, ma se quello che prevedo succederà davvero, allora problemi come l’immigrazione, la disoccupazione e le tante tensioni sociali che stiamo sperimentando in questi anni sembreranno fesserie al confronto.
Il cambiamento climatico
Che sia dovuto all’uomo, avvenga con un suo contributo più o meno significativo o semplicemente il risultato di eventi naturali, è un fatto che il pianeta si stia scaldando e il clima stia cambiando drasticamente. Forse è un cambiamento irreversibile, più probabilmente uno di quei picchi climatici che il nostro pianeta ha sperimentato innumerevoli volte nel corso della sua storia, in un senso o nell’altro. Dalla terra a palla di neve alle ere in cui i poli erano completamente sciolti e gli oceani avevano un livello di duecento metri superiore all’attuale, il nostro pianeta ha vissuto più volte sconvolgimenti di ogni genere e nonostante questo la vita se l’è sempre cavata.
Certo, ci sono state estinzioni più o meno estese, a volte causate anche da eventi contingenti e imprevedibili, come la caduta di meteore sul pianeta, altre da eventi periodici e più fisiologici di quel sistema dinamico in continuo cambiamento che è la Terra, ma nessuna ha mai rappresentato un serio rischio per la vita in sé. E sebbene non solo singole specie ma intere famiglie, ordini e classi di esseri viventi si sono estinte, come i dinosauri e i grandi mammiferi, la vita ha ripreso il sopravvento e ne ha sviluppate altre. Una di queste è appunto la nostra.
Adesso però la situazione è differente, non perché ciò che sta succedendo è più catastrofico di quanto sia avvenuto in passato, persino durante la breve storia del genere umano, ma perché non possiamo non avere una visione egoistica e antropocentrica di qualsiasi problema possa mettere in pericolo la nostra specie. Insomma, sapere che dopo di noi la vita continuerà è ben magra consolazione per l’umanità. Finché eravamo poche centinaia di milioni di individui in tutto il pianeta, determinati eventi avevano un impatto limitato sulla nostra specie, al più potevano far scomparire qualche civiltà qua e là, ma la specie era sostanzialmente al sicuro dall’estinzione, ma adesso siamo quasi sette miliardi e qualunque evento appena più estremo di un semplice temporale rischia di far vittime e danni.
Migrare per non morire
Il problema di cui vi voglio parlare, tuttavia, non è naturale, ma sociale, anche se trova nei cambiamenti climatici il suo fattore scatenante. Finora i Paesi più ricchi hanno sperimentato un livello di immigrazione più o meno sostenibile, che ha creato sì tensioni sociali, superando a volte la cosiddetta soglia del 5%, ma che la nostra società è teoricamente in grado di assorbire, soprattutto se si mettessero in atto opportune politiche di inclusione e integrazione.
Tuttavia, se il pianeta continuerà a riscaldarsi, le fasce tropicali tenderanno alla desertificazione e questo impatterà seriamente l’Africa, l’America centrale, il Sudamerica e l’Asia meridionale, tutte aree densamente popolate. La risorsa più importante dell’umanità non è il petrolio, ma l’agricoltura. Senza carburante si può vivere, senza cibo no, e senza colture anche l’allevamento è a rischio perché ciò che distrugge i campi distrugge spesso anche ogni altra forma di vita vegetale e quindi anche il foraggio diventa una risorsa a rischio. La siccità uccide piante, bestie e alla fine, uomini, donne e bambini.
Quando la regione in cui si vive finisce per non avere più risorse, l’uomo ha sempre adottato una soluzione semplice ma efficace, una soluzione peraltro tipica di gran parte degli animali, ovvero la migrazione.
Una migrazione è ben diversa da un’immigrazione. Quest’ultima coinvolge generalmente una piccola parte della popolazione di una regione e il flusso si distribuisce nel tempo secondo meccansimi noti. Una migrazione è invece lo spostamento di praticamente quasi tutta la popolazione di una regione verso regioni limitrofe o anche più lontane, creando una serie di problemi a tutte le regioni che vengono attraversate da questo flusso di persone che tutte insieme prendono quel poco che hanno e si spostano in massa.
Una migrazione crea conflitti. Se l’immigrazione può scatenare reazioni xenofobe e a volte addirittura razziste, ma trova sempre in una parte della società che riceve queste persone una certa disponibilità all’inclusione, la migrazione scatena una reazione di difesa anche nelle persone più disponibili e solidali perché pone il problema di condividere risorse che a quel punto sono insufficienti per tutti e quindi il dilemma «o noi o loro».
Quando il problema diventa «se li lascio entrare, a non avere cibo potrebbero essere i miei figli», anche la persona più aperta e disponibile si chiude in difesa. Si tratta di semplice istinto di sopravvivenza, per giunta sostenuto da considerazioni che se anche possono non piacere sul piano etico, sono assolutamente logiche, razionali e, purtroppo, ragionevoli.
D’altra parte un eventuale reazione di rigetto non fermerà masse di persone che ormai non sono più sul loro territorio e probabilmente sono già sotto attacco da parte degli abitanti di quei territori che stanno attraversando per raggiungere la loro Terra Promessa. Non solo: spesso queste masse consumano lungo il cammino risorse che magari sono già carenti in territori che a loro volta sono già provati dalla siccità, dalle malattie, dalla crisi economica. Così le migrazioni tendono spesso a creare un effetto a valanga in cui molti degli abitanti delle regioni interessate da questi flussi, dopo un’iniziale resistenza, finiscono per unirsi ai migranti e ad aumentare ulteriormente la massa delle persone che si spostano.
Così arriviamo alla meta di questo movimento, al Paese dove questi popoli sperano di trovare una speranza di sopravvivenza. Non lavoro, non ricchezza, ma solo e semplicemente cibo, acqua, medicine e qualcosa di simile a un riparo. Potrebbe essere l’Italia, la Francia, la Spagna, ma anche gli Stati Uniti o addirittura la Cina. Quando non si ha nulla, chiunque abbia qualcosa è ricco.
La reazione dei ricchi
Cosa pensate che succederà? Quale pensate che sarà la reazione della gente ancora prima che dei governi, a decine di milioni di persone che cercano di entrare tutte insieme in un Paese che non ha oggettivamente le risorse e forse neanche lo spazio per accoglierle?
Semplice: spareremo loro addosso. Letteralmente.
Non sto scherzando. So già che chi sta leggendo queste righe si ritrarrà inorridito davanti a queste parole. «Gli altri forse, non io! Io una cosa del genere non la farò mai!» Beh, non è così, non sarà così. Se qualcuno mette seriamente in pericolo le persone che amiamo e in fondo anche noi stessi, anche l’essere umano più civilizzato torna a un comportamento che è scolpito nei nostri geni come in quello di qualsiasi altro essere vivente: l’istinto di sopravvivenza.
Questo è quello che potremmo trovarci ad affrontare nel 2020, nel 2030, nel 2050 al massimo: un conflitto sociale a livello planetario che vedrà contrapposte masse di milioni di individui che si scanneranno per un pugno di risorse che a quel punto non basteranno per tutti, perché se l’energia, il cibo e persino i farmaci si possono condividere, ammesso che bastino, il territorio no, non può sostenere una densità maggiore di un certo livello. Anche perché se una certa densità è possibile nelle città, non possiamo trasformare ogni metro quadrato di un Paese in un’area urbana: finiremmo per dare il colpo di grazia a quell’ambiente il cui sfruttamento è proprio alla base di molti dei cambiamenti che stiamo sperimentando.
Uno scenario apocalittico? Catastrofismo? O più semplicemente la normale applicazione dell’esperienza accumulata in secoli di storia a una situazione che non ha mai avuto uguali in tutta la Storia dell’Umanità per dimensioni e numero di individui coinvolti? Personalmente credo che si tratti di uno scenario verosimile, purtroppo.
Come tutto ciò potrà essere evitato? Sinceramente non lo so. Sono convinto si tratti di un problema reale che dovremmo iniziare ad affrontare fin da adesso, ma come oggettivamente non lo so. L’unica cosa che so è che sarebbe opportuno mettere al lavoro le migliori teste del nostro pianeta perché quando succederà non ci sarà più tempo per pensare. Nessuno si metterà più a pensare: conterà solo sopravvivere e questo costerà la vita a centinaia di milioni di esseri umani. Chiunque vincerà quella guerra, semmai ci sarà un vincitore, la specie umana avrà perso una delle sue più grandi battaglie, quella per rimanere civile.
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