Il dibattito sulle indennità parlamentari e in generale sui costi della politica non è esclusiva del nostro Paese. Dibattiti analoghi hanno caratterizzato diverse nazioni più o meno ricche negli ultimi anni, soprattutto in relazione alla crisi economica globale, agli sprechi e alla corruzione nella pubblica amministrazione. Si è anche discusso sia sui media che nei vari parlamenti se fosse giusto o meno che i parlamentari potessero deliberare sui loro stessi stipendi, indennità e privilegi.
Nel Regno Unito, ad esempio, si è discusso molto della questione negli ultimi anni, tanto che nel giugno del 2009 oltre un milione di documenti e ricevute sono stati pubblicati in rete per permettere ai cittadini di verificare direttamente i costi della politica.
In India si è discusso molto del fatto che i parlamentari ricevessero uno stipendio davvero basso, inferiore a quello di moltissimi professionisti in altri settori del pubblico e del privato.
Analoghe discussioni, in un senso o nell’altro, sono avvenute in Australia e Nuova Zelanda, in Giappone, in Brasile, Canada e persino in vari Paesi africani, caratterizzati da un PIL così basso che anche un’indennità modesta da quelle parti sia sostanzialmente inaccettabile.
In effetti, non è possibile affermare che una certa retribuzione sia troppo alta o troppo bassa se non la confrontiamo con quelle di altri settori, industriali e non, dello stesso Paese. Il modo più semplice per farlo è comparare l’indennità parlamentare di base con il PIL pro capite del Paese.
Il reddito pro capite può essere considerato come quella parte del Prodotto Interno Lordo posseduta ipoteticamente da ogni singolo cittadino ed è spesso usata per misurare il grado di benessere della popolazione di un Paese rispetto a quello di altri Paesi. Dato tuttavia che diversi Paesi hanno culture ed economie molto differenti, è un valore che va preso cum grano salis. Ad esempio, un Paese che offre molti servizi ai cittadini per migliorare la loro qualità di vita potrebbe avere un PIL più basso di un altro più proiettato a un economia capitalistica in cui tuttavia esista un forte divario di ricchezza nella popolazione; nonostante questo il primo sarebbe probabilmente un Paese più allettante in cui vivere. Inoltre il PIL pro capite è un po’ come il famoso “mezzo pollo a testa”, ovvero, la ricchezza di un Paese può essere distribuita in modo così disomogeneo che solo il 5% della popolazione potrebbe possedere in realtà l’80% del PIL, lasciando al restante 95% solo il 20% della ricchezza complessiva del Paese. Detto questo, è comunque un parametro valido per definire la ricchezza relativa di un Paese rispetto a un altro.
Per quanto riguarda invece i costi della politica, anche questi variano molto da Paese a Paese e non esiste un parametro unico di comparazione. La retribuzione di un parlamentare, ad esempio, va da poco più che il rimborso spese, come in Svizzera, dove il Parlamento non è composto da politici di professione ma da cittadini che traggono il loro principale guadagno da un’altra attività professionale, all’Italia, appunto, che ha fra le indennità più elevate in assoluto al mondo. Anche in questo caso è difficile identificare un valore sufficientemente omogeneo per comparare le retribuzioni nei vari Paesi. Non solo queste differiscono molto in funzione del ruolo, delle responsabilità, addirittura della forza numerica in Parlamento del partito a cui appartiene il parlamentare, ma rimborsi, privilegi, sconti, gratuità e altre componenti rendono quantomeno difficile fare una scelta. In Europa, inoltre, abbiamo sia i membri dei singoli Parlamenti nazionali, sia quelli del Parlamento Europeo, e non in tutti i Paesi dell’Unione questi hanno la stessa retribuzione.
Dato tuttavia che volevo confrontare le indennità dei parlamentari dei Paesi dell’Unione Europea con quella di altri Paesi fra cui alcune grandi federazioni, come gli Stati Uniti d’America, la Russia, l’India e il Brasile, ho deciso di utilizzare per i primi quelle relative ai parlamentari europei e non a quelli nazionali. Inoltre ho scelto come parametro l’indennità di base, quinti scevra da qualsiasi altra componente aggiuntiva. Non è una scelta ideale ma lo scopo era quello di fare una comparazione di massima, non un’analisi dettagliata. Tuttavia, a partire dal 2009 tutti i parlamentari europei hanno la stessa indennità di base, ovvero 7.956,87 euro al mese salvo quelli che erano membri del Parlamento europeo prima delle elezioni del 2009 e che hanno optato per il regime nazionale precedente per quanto riguarda l’indennità, l’indennità transitoria e le pensioni. Ho quindi usato il valore precedente dato che sostanzialmente rispecchia anche quello nazionale.
Così ho raccolto una serie di dati da fonti attendibili — più avanti citate — relative all’anno 2010, e ho generato il rapporto fra l’indennità di base di un parlamentare semplice, senza ruoli specifici, e il PIL pro-capite del Paese di provenienza, ovvero IND/PIL.
Potevo fermarmi qui, ma la serie di dati così ottenuti mi avrebbe dato ben pochi spunti per fare un’analisi più approfondita del perché certi Paesi paghino più di altri i loro parlamentari. Un Paese ricco potrebbe stabilire compensi molto elevati per un Parlamento efficiente e che funziona bene, così come un’elevata retribuzione potrebbe essere il frutto di una forte corruzione nel Paese, specialmente se questo ricco non lo è affatto. Così ho deciso di confrontare i dati ottenuti con l’indice di percezione della corruzione del Paese corrispondente.
Il CPI (Corruption Perception Index) è un indicatore sviluppato da Transparency International, un’organizzazione internazionale non governativa che si occupa della corruzione, sia politica che non. Il parametro va da 0 a 10. Un valore di 10 indica un Paese in cui la corruzione praticamente non esiste, mentre 0 indica un livello estremo di corruzione in tutti i settori della vita sociale del Paese.
Si possono individuare grosso modo quattro fasce in base a questo indicatore: i Paesi con un valore da 8,6 a 10 sono quelli virtuosi, dove la corruzione è un fatto sporadico che, se individuato, è duramente punito. Da 5,6 a 8,5 abbiamo i Paesi in cui la corruzione esiste ma lo Stato la combatte con successo e comunque è considerata un grave reato, sia dalla Legge che dall’opinione pubblica. Nei Paesi con CPI che va da 2,6 a 5,5 la corruzione è molto estesa e non solo lo Stato fatica a combatterla, ma esso stesso ne è impregnato e comunque essa non viene considerata da molti un vero reato ma quasi un peccato veniale, soprattutto per quelle di entità limitata. Sotto il 2,6 la corruzione è dilagante e fuori controllo, anzi, si può dire che tutto funziona attraverso un meccanismo più o meno accettato di corruzione e concussione.
C’è da fare una considerazione importante, a questo punto: il CPI è un indice di corruzione percepita, non reale. Non è possibile misurare con precisione il livello di corruzione di un Paese dato che la maggior parte delle transazioni economiche sono ovviamente non tracciabili. Tuttavia chi in un certo Paese abita, ha una certa conoscenza di come funzionino le cose nella sua nazione, per cui, attraverso una serie di metodi statistici abbastanza sofisticati è possibile misurare il livello di corruzione in base alla percezione che ne hanno sia gli stessi cittadini, che tutti coloro che anche all’estero fanno affari con quel determinato Paese. È ovvio che un Paese in cui la corruzione avviene in modo molto sommerso, potrebbe avere un indice più alto del dovuto e, viceversa, un Paese nel quale determinati fatti abbiano una visibilità mediatica gonfiata, potrebbero avere un indice più basso di quello effettivo.
Utilizzando un grafico di dispersione, è possibile verificare se esistano delle possibili correlazioni fra due variabili altrimenti potenzialmente indipendenti. Ad esempio, se in un grafico di dispersione tutti i punti sono distribuiti più o meno uniformemente, allora potremo ritenere le variabili sostanzialmente indipendenti. Se viceversa i punti si adagiano su una qualche curva se non su una retta, allora vuol dire che esiste una legge di correlazione fra le due variabili. Nella maggior parte dei casi quello che si può notare quando abbiamo variabili non del tutto indipendenti ma con una qualche correlazione anche indiretta, è che i punti si raggruppano in bolle di varia densità e ampiezza.
Ho quindi generato un grafico di dispersione che avesse sulle ascisse il rapporto IND/PIL calcolato in precedenza e su quello delle ordinate il CPI del corrispondente Paese. Il tutto per 25 Paesi dell’Unione Europea (esclusa Romania e Bulgaria per le quali non ho trovato dati attendibili relativi al 2010) più alcuni Paesi extracomunitari sia europei che non (Australia, Brasile, Canada, Giappone, India, Israele, Norvegia, Russia, Stati Uniti d’America). Volevo aggiungere anche Svizzera, Turchia e Cina, ma la prima, non ha parlamentari di professione, per la seconda non ho trovato i dati, e la terza non ha un Parlamento democratico paragonabile a quello degli altri Paesi.
Fonti: Corruption Perception Index 2010,
Indennità di base degli europarlamentari prima del 2009,
Members’ pay and allowances – arrangements in other parliaments.
Come si può vedere, è possibile individuare tre gruppi principali nel grafico, più un numero piuttosto basso di punti isolati. Il gruppo A è formato da Paesi a bassissimo grado di corruzione, che pagano i propri parlamentari poco più di quello che è il PIL medio pro-capite del Paese. Fra questi ci sono ad esempio la Svezia e la Norvegia. Poi abbiamo il gruppo B formato da Paesi il cui livello di corruzione è più elevato ma non tale da essere considerato una piaga per il Paese e che retribuiscono i membri del parlamento dalle due alle tre volte rispetto al valore medio pro-capite del PIL. In un certo senso questo valore può essere considerato come la retribuzione media di un lavoratore in quel Paese, anche se non è effettivamente così. Si tratta quindi di Paesi che pagano bene i propri parlamentari perché riconoscono loro una responsabilità e un ruolo giustificato anche dal buon andamento del Paese e dal basso livello di corruzione politica. Infine abbiamo il terzo gruppo, il gruppo C. Qui il livello di corruzione è molto più alto ma, almeno formalmente, la retribuzione dei parlamentari non è poi così elevata, non più di quella che potrebbe avere un buon professionista in altri settori. Ovviamente c’è da aspettarsi che in questi Paesi alcuni parlamentari abbiano altre fonti di reddito non del tutto legali, proprio in base all’indice di corruzione percepita.
E veniamo ai punti isolati. Sono quattro: Giappone, Israele, Grecia e Italia. I primi due hanno un CPI abbastanza alto e retribuzioni piuttosto basse. In Giappone, in particolare, alcuni eventi legati alla corruzione o alla concussione con gruppi di potere industriali e/o mafiosi, hanno portato a grossi ripensamenti sui costi della politica. Basti pensare alla recente decisione del premier giapponese Naoto Kan di rinunciare al suo stipendio da primo ministro, mantenendo solo quello da parlamentare, a seguito del disastro della centrale nucleare di Fukushima.
Altro discorso per Italia e Grecia. Entrambe hanno un CPI molto basso, soprattutto se si considera che non sono certo Paesi poveri sia economicamente che, soprattutto, culturalmente, con alle spalle secoli se non millenni di civiltà. Tuttavia entrambi retribuiscono i propri parlamentari in modo alquanto sconsiderato, soprattutto tenendo conto dell’attuale crisi economica. La posizione dell’Italia nel grafico, soprattutto, è impressionante. Almeno la Grecia è sullo stesso livello degli Stati Uniti, ma nessun Paese è comparabile all’Italia in quanto a indennità parlamentare di base. E qui non teniamo conto di tutti gli altri privilegi.
In Italia, inoltre, sono gli stessi parlamentari a decidere della loro retribuzione, cosa non sempre vera in altri Paesi del mondo. Se si associa questo all’elevato livello di corruzione e, quindi, a una cultura dell’illegalità diffusa — non dimentichiamoci che la stessa mentalità è alla base dell’evasione fiscale, molto elevata anch’essa nel nostro Paese — diventa abbastanza ragionevole collegare i due indicatori. In pratica, l’elevata retribuzione dei nostri parlamentari è indicativa di una cultura che non fa del merito il suo punto di riferimento, ma poggia le sue fondamenta su un clientelismo radicato e pervasivo.
Ovviamente, per riportare il nostro Paese in un contesto civile si potrebbe aumentare il PIL o ridurre la corruzione, ma se non si riesce neppure a ridurre l’indennità di base dei parlamentari che, dei tre parametri, è il più semplice sul quale operare, mi viene da pensare che la situazione potrà solo peggiorare.
Decisamente interessante. Ottimo lavoro. Il grafico è decisamente inquietante.
Per essere comprensibile anche ai profani, io editerei il grafico evitando di usare sigle come CPI, ma direttamente "Corruzione Percepita" (alta/bassa)