Domenica, approfittando della bella giornata di sole e del fatto che sarei comunque dovuto uscire per andare a votare, sono andato con la mia compagna a fare una passeggiata sul lungomare di Ostia. Sul molo centrale antistante a Piazza dei Ravennati c’era un suonatore ambulante piuttosto anziano, credo di origini greche. Aveva una chitarra e un altoparlante, la custodia aperta davanti ai piedi nella quale passanti incuriositi gettavano ogni tanto una moneta. Ha iniziato a suonare, prima lentamente, poi sempre più veloce, in un ritmo incalzante ben noto: un Sirtaki.
Usava una base, ovviamente, ma il più lo faceva lui, facendo scorrere agilmente le dita sulla tastiera con movimenti familiari e sicuri. Era molto bravo, tant’è che prima una bambina poi un paio di passanti si sono messi a ballare. Qua e là alcuni ragazzi e persino un signore di una certa età, meno coraggiosi ma evidentemente ipnotizzati anch’essi dal rapido succedersi di quelle note brillanti, hanno iniziato a dondolarsi a tempo, battendo il piede per tenere il ritmo.
A Roma di suonatori ambulanti ce ne sono tanti, per lo più zingari, qualche sudamericano, occasionalmente qualche ragazzo o ragazza che, per pagarsi le vacanze in Italia, raggranellano così qualche decina di euro al giorno. La maggior parte non sono granché, soprattutto i nomadi, ma un paio di settimane fa, mentre andavo da un cliente con la linea B della metropolitana, ho avuto il piacere di ascoltare due musicisti davvero bravi. Erano sudamericani, forse peruviani, uno con la chitarra e l’altro con un bel violino, il cui legno lucido brillava sotto le luci al neon del soffitto del vagone.
Mi hanno subito dato l’impressione di essere dei professionisti, di quelli che suonano nei locali, magari anche solo in un ristorante. Non usavano basi preregistrate: solo i loro strumenti e la voce. Il violinista, in particolare, non solo era davvero bravo a suonare ma aveva una splendida voce, bassa, ricca, piena di sfumature, ben registrata e modulata. Anche i pezzi che suonavano non erano i soliti: erano tutti brani conosciuti, ovviamente, ma non banali e certamente non facili da suonare. Li ho ascoltati volentieri e, come per il greco di Ostia, ho dato loro un paio di euro per uno spettacolo davvero apprezzato.
Ogni tanto capita: artisti da strada, suonatori ambulanti, ma anche operai: il giardiniere che ti viene a sistemare l’albero di limoni che si è ammalato o il muratore che ti rimette a posto il muro di cinta sgretolato dalla pioggia. Gente che lavora bene, con impegno, con competenza; gente che lavora duro, dalla mattina alla sera, per guadagnare quattro soldi, giusto quanto serve per tirare avanti un altro giorno, portare a casa pranzo e cena per sé e per i propri cari; molti stranieri, ma anche qualche italiano a cui la crisi ha tolto tutto o quasi.
E poi vedi in televisione tanti presunti artisti, presentatori e cantanti, ballerini e persino cuochi e altri personaggi che, magari grazie alla conoscenza di questo o quel politico, si sono fatti una fama non sempre meritata, comunque non proporzionata al loro effettivo valore. Vedi presunti professionisti guadagnare cento, mille volte tanto con prestazioni non certo superiori a quelle degli artisti e dei lavoratori che incontri ogni giorno per strada e diventi consapevole di quanto ingiusta sia questa società. Non il merito, non la competenza e tanto meno l’onestà vengono premiati, ma la conoscenza di chi ha potere, l’inciucio, lo scambio di favori. E ti dà fastidio, anzi, ti fa arrabbiare, non tanto perché succede — razionalmente sai che è sempre stato così, fin dall’antichità — ma perché non ci puoi far nulla. Vorresti, ma non sai neppure cosa potresti fare.
In effetti, quando dico che non sai cosa potresti fare, non sto parlando tanto di tutta quella brava gente che non si vede riconosciuto come dovrebbe il proprio lavoro: apprezzare la loro competenza, riconoscere loro il dovuto e magari aggiungervi anche una parola di apprezzamento può essere sufficiente. Il problema sono gli altri, sono coloro che senza meritarselo si vedono riconoscere una fama e soprattutto dei compensi che non meritano, spesso pagati con i soldi nostri. Lì veramente siamo del tutto impotenti. Possiamo solo guardare questa vergogna e scuotere la testa, perché la nostra è una società ingiusta, iniqua, dove spesso chi ha il potere non lo merita e chi lo meriterebbe non ha alcun potere. E la rabbia cresce…
Lascia un commento