Come avrete capito dal nome non sono una mamma: sono un papà. Già, perché anche i papà sono dei genitori e, strano a dirsi, anche loro sono capaci di crescere i figli, di fare la spesa, di cucinare, stirare e cucire, fare loro il bagnetto, cambiarli e, udite udite, persino allattarli. Magari con un biberon, è vero, ma sempre di alzarsi nel cuore della notte si tratta, sempre di stringerli con amore e delicatezza, sempre di metterli prima dei propri interessi, della propria stanchezza, dei propri bisogni si tratta.
Poi arriva il giorno in cui tutto questo scompare e una cultura maschilista, vestita di falso femminismo, o forse una cultura femminista che ha perso per strada il principio di pari dignità alla ricerca del solo privilegio o forse della vendetta, decide che un padre non è adatto a crescere un figlio, non perché si è dimostrato tale, ma a causa del suo sesso. Che siano le donne a spaccarsi la schiena a farlo, magari nel contempo anche lavorando. L’unico dovere richiesto a un padre è staccare un assegno ogni mese e pagarsi così il diritto di stare qualche ora con sua figlia. Il dolore che ti spezza in due, che ti stringe lo stomaco, che ti toglie qualsiasi entusiasmo e amore per la vita dovuto alla sofferenza di vederti portare via chi ami di più al mondo non conta nulla, non esiste. Noi maschi siamo dei duri, non possiamo soffrire, non dobbiamo piangere, e se lo facciamo allora ecco la prova: è un debole, non ha il diritto di crescere dei bambini.
Quelle donne che si lamentano — giustamente — della fatica di crescere da sole i bambini, a causa di un ex-marito che non si fa vedere mai o che non paga loro gli alimenti, si ritengano fortunate. C’è una cosa peggiore: vedersi portare via i propri bambini ed essere esclusi dalla loro vita quotidiana, dalle loro scoperte di ogni giorno, dai loro sorrisi e persino dai loro momenti di tristezza, quando più hanno bisogno di noi.
Pensateci.
Ciao Dario,
mi piace l’idea del salotto liberale.Credo che dovrai comprare un bel pò di poltrone.A presyo.
Vincenzo Spavone.
Una torre che poggia su fondamenta di sabbia, e’ bello e allo stesso tempo triste vedere com’e’ cominciata, ottobre e’ stato un brutto mese per molti a quanto vedo… a vederti scrivere non l’avrei mai detto che fosse cominciata così… ti sei letto tutti e tre i miei blog a quanto vedo.. anche se io ho come l’impressione di aver gia’ letto di te, e non sulla torre, e neanche qui… dejavu letterario… Si lotta sempre e comunque per far capire a quelle creaturine che anche se lontano papa’ c’e’ mai arrendersi anche come capita a volte scalciano e graffiano… non importa davvero quanto dovrai faticare… ti guarderanno in faccia un giorno e ti diranno : Lo so papa’ … lo so che mi vuoi bene e hai fatto del tuo meglio per starmi accanto…
Io per anni ho cercato un padre che mi guardasse negli occhi e mi dicesse:- Ci sono ti ascolto e vorrei capirti. Mio padre vive con me lo fa ancora oggi che ho trent’anni quasi ma non mi ha mai guardata dentro… non ha mai cercato di capire cosa io stessi diventando… cosa davvero volevo… non conta stare sotto lo stesso tetto se poi l’abitudine ci da’ un buon alibi per non parlarsi… e va bene che te lo dico con due mesi di ritardo e piu’ .. non conta quanto tempo ci passi ma come tu ce lo passi…
Non è la prima volta, Evdea, che sento queste parole. Sembra che il nostro mondo sia fatto di ciechi che si cercano a vicenda e non si trovano mai. Io soffro perché mi è stata tolta senza ragione una parte di vita e la persona che amo sopra ogni altra al mondo, e con me soffrono tanti padri nelle stesse condizioni. Tu soffri perché tuo padre non è stato capace di creare nei tuoi confronti quel magico legame di empatia e complicità che dovrebbe sempre esistere fra genitori e figli, e di persone che sono nelle tue condizioni ne ho sentite tante. Mi spiace moltissimo, vorrei poter fare qualcosa, ma non credo ci sia nulla io possa fare. Se ti va, comunque, prova a leggere il libro che ho scritto sul rapporto fra genitori e figli. Il puntatore è qui di lato, nella barra di navigazione. Se lo trovi interesante potresti regalarlo a tuo padre, chissà che non lo faccia riconsiderare il suo rapporto con te. A un’altra persona è servito ma, ovviamente, non prometto miracoli. A volte tuttavia la natura umana è complessa e due persone che non si parlano da anni magari lo vorrebbero entrambi ma non sanno o hanno paura di cominciare. Chissà…