Quando molti anni fa decisi di diventare uno scienziato lo feci perché vedevo — e vedo tuttora — nel metodo scientifico un esempio di come il pensiero umano possa diventare uno strumento estremamente raffinato, capace di costruire strutture imponenti e complicate a partire da poche semplici affermazioni, come fa la Matematica, oppure di ricondurre a teorie estremamente eleganti e semplici una realtà in apparenza caotica e complessa, come fa la Fisica.
Ben presto mi resi conto che questo metodo, opportunamente adattato, poteva essere applicato a tutti gli ambiti del pensiero umano, accettando ovviamente il fatto che al di fuori dell’ambito scientifico la maggior parte dei problemi sono non univocamente risolvibili in quanto la conoscenza è sempre parziale, ovvero non esaustiva seppure all’interno delle corrispondenti condizioni al contorno.
In pratica, se nella maggior parte dei problemi scientifici si cerca sempre di acquisire tutte le informazioni che servono per analizzarli e risolverli, nella maggior parte degli altri ambiti del pensiero umano, tale possibilità è remota e raramente realizzabile. Questo vale per la Storia, per l’Arte, per la Sociologia e in generale per tutte quelle materie nelle quali i fattori umani sono prevalenti.
Nonostante questo, l’applicazione del metodo scientifico anche a tali ambiti, magari complementandola con l’utilizzo di metodi euristici, dà sempre risultati interessanti e permette quantomeno di selezionare le soluzioni più probabili, sulle quali poi effettuare una scelta in base a considerazioni di opportunità in mancanza di ulteriori elementi discriminanti.
Da qui nascono le varie metodologie per l’analisi e la risoluzione dei problemi e per l’identificazione delle scelte e delle decisioni più opportune a fronte di determinate condizioni al contorno. Questi metodi sono in linea di massima tutti figli del metodo scientifico, seppure tengano conto di fattori umani e della disponibilità solo parziale di conoscenza.
Nella nostra società, tuttavia, avviene spesso il contrario, purtroppo, ovvero si affrontano i vari problemi con approccio non metodologico, facendosi spesso guidare dai propri desideri quando non è l’interesse a definire le linee di condotta, oppure accettando supinamente idee e principi senza averli verificati, abdicando al diritto di affrontare ogni questione con spirito critico e giustificando le proprie scelte affermando di aver agito con buon senso, quasi che il semplice utilizzo di queste paroline magiche sia sufficiente a legittimare anche le teorie più astruse.
Un esempio classico sono quelle statuette tribali che sono state trovate in vari siti archeologici e che hanno scatenato la fantasia di ufologi e pseudoscienziati i quali asseriscono siano una chiara dimostrazione dell’atterraggio di esseri alieni sul nostro pianeta. Tali teorie si basano unicamente sulla forma che hanno queste statuette e sui disegni incisi sulle stesse.
«Questa è chiaramente una tuta da astronauta. Questo è un casco, questi segni sono giunture articolari come quelle delle tute della NASA, questo è il tubo flessibile per respirare…» e così via.
In effetti, guardando le varie statuette non è difficile, con un piccolo sforzo di immaginazione, riconoscere nelle loro forme e incisioni elementi presenti nella tuta di un astronauta. Certo, se fossimo nell’Ottocento probabilmente avremmo parlato di palombari e non di astronauti, e se fossimo stati nel Medioevo avremmo parlato di armature da cavaliere. Il punto è che il semplice raffronto fra segni e forme da una parte e componenti e aspetto dall’altra non è un approccio che da un punto di vista scientifico abbia un qualche valore.
Per comprendere un oggetto costruito da una specifica civiltà, la prima cosa da fare è infatti studiare a fondo quella civiltà, analizzarne gli usi e i costumi, decifrarne la scrittura e leggere i documenti che ci ha lasciato, studiare le civiltà che l’hanno preceduta e quelle che l’hanno seguita, studiare il territorio, possibilmente quello del periodo storico corrispondente piuttosto che quello attuale, studiare le condizioni climatiche in cui è vissuta, insomma, costruire un quadro d’insieme quanto più esaustivo possibile.
Ecco allora che potremmo riconoscere in forme e segni gli abiti cerimoniali usati in una festa religiosa, o le fattezze della Dea della Fertilità, o mille altri dettagli che appartengono all’Arte, alla Moda, alla Religione, agli usi, costumi e credenze di quel popolo piuttosto che a presunti visitatori venuti dallo spazio dei quali, peraltro, non c’è altra evidenza. Dobbiamo anche ricordare come l’arte, soprattutto quella religiosa — nell’antichità arte e scrittura erano molto spesso legate alla religione — non aveva presunzione di realismo nel creare forme e immagini ma piuttosto era fortemente simbolica. Le proporzioni degli arti o della testa in una statuetta non dovevano quindi rappresentare la realtà così com’era, ma simboleggiare un concetto, un valore, un principio.
Gli uomini iniziarono a dare agli dei una forma antropomorfa solo più tardi. All’inizio gli dei erano semplici elementali, quali l’acqua, il fuoco, la luce, l’oscurità, il fulmine o il tuono; erano animali, come la tartaruga che sul suo guscio sorregge il mondo o il serpente che con le sue spire lo circonda. Anche gli dei greci o nordici, seppure avessero ormai acquisito forma umana — e con essa anche i vizi e le abitudini degli uomini — spesso si trasformavano in animali, in piante o in altri elementi della natura: onde, venti, montagne. Ma a coloro che cercano nel passato i segni di un eventuale incontro con esseri extraterrestri tutto questo non interessa. Dalla storia e dalla cultura di quei popoli prendono solo quello che conferma le loro tesi e ignorano il resto.
E in effetti due sono gli errori che vengono fatti da chi costruisce su reperti come quelli mostrati in figura teorie più o meno fantasiose: il primo è appunto quello di selezionare le informazioni in base al risultato che si desidera raggiungere, piuttosto che partire dall’insieme di tutto ciò che si sa per costruire una teoria solida e soprattutto coerente. In questo modo chiunque può dimostrare tutto e il contrario di tutto: qualunque scienziato, con un minimo di cultura, potrebbe fare altrettanto e rendere plausibile una qualunque fantasia a piacere. Non è difficile.
Il secondo è quello di applicare concetti e conoscenze moderne a culture antiche. Un esempio è il sarcofago che si trova nella piramide di Cheope. Secondo alcuni sarebbe stato possibile costruirlo solo utilizzando sofisticatissimi trapani elettrici in grado di sviluppare velocità di rotazione elevate. In realtà quella pietra, seppure durissima, può essere lavorata con strumenti molto semplici quali trapani a corda. Ovviamente in questo modo ci potevano volere decenni e molti uomini che lavorassero contemporaneamente per ottenere il risultato voluto, ma è proprio in tale lentezza la chiave dell’enigma. Quando per erodere un solo decimo di millimetro ci vuole un giorno intero, si può arrivare a precisioni incredibili dal punto di vista delle misure, degli spessori, delle dimensioni. In pratica quello che era a tutti gli effetti un limite, ovvero proprio la mancanza di strumenti sofisticati, è diventato alla fine un vantaggio. In quanto agli uomini e al tempo, non erano un problema all’epoca, né gli uni né l’altro. Oggi noi siamo abituati a fare tutto in fretta, costruiamo opere colossali in pochi mesi, valutiamo tutto in termini di denaro e quindi di tempo e risorse. Ma all’epoca la cultura era diversa. I valori erano diversi. Costruire un’opera per un dio, e il Faraone era un dio, non aveva prezzo. Nè il tempo né le risorse erano un problema. Quello che contava era il risultato, che doveva essere all’altezza di una divinità.
Forse qualcuno penserà che la scoperta di tecnologie avanzate o di alieni che sono scesi sul nostro pianeta nei tempi antichi siano molto più eccitanti di un artigiano che ci mette quarant’anni a fare una singola opera, magari da lui iniziata e finita dai figli. Per me e per un qualunque scienziato è vero il contrario: pensare che uomini vissuti cinquemila anni fa e più siano stati, con mezzi rudimentali, capaci di immaginare e realizzare opere che ci lasciano ancora oggi a bocca aperta è molto più eccitante perché ci dimostra quanto potenziale esista in noi e ci ricorda quello che potremmo veramente realizzare se smettessimo per un momento di saltarci alla gola a vicenda. Ci ricorda chi siamo e chi potremmo essere.
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