Ho pensato di riportare su questo blog uno scambio di idee, al quale ho partecipato, scatenato dal caso della piccola Alice Rossetti e pubblicato sul forum del Corriere dedicato a Genitori e figli e gestito dal Dott. Fulvio Scaparro. La discussione è partita dalle stesse considerazioni riportate nell’articolo che ho pubblicato su questo stesso blog riguardo alla vicenda di Alice (vedi «Quante Alice dovranno morire?»).
Da Vecchio Saggio
Caro Dario, il suo post è un grido di allarme che non può essere disatteso. Noi esseri normali possiamo fare una cosa molto importante per aiutare questi bambini. Rompere il muro di omertà che fa vivere comodamente, senza problemi, senza crearci nemici. E denunciare i nostri sospetti alle forze dell’ordine o agli enti sociali competenti. Non è molto difficile, specie per chi insegna, e ha il bambino sotto gli occhi per alcune ore al giorno, accorgersi se ci sono problemi. E allora è necessario un po’ di coraggio e basta. Ma quest’obbligo di denuncia, che è sana partecipazione alla vita sociale, non è solo a carico degli insegnanti. Coinvolge tutti noi. Ogni persona che abbia la capacità di guardare oltre le apparenze, di abbassare il televisore o la radio e ascoltare quello che accade nell’appartamento accanto. Di dialogare sempre e con tutti. Di essere, come scriveva qualcuno in un post, “gli occhi e gli orecchi del re” e di informare il "re sistema" delle cose storte e di sorvegliare il "re sistema" affinché prenda i dovuti provvedimenti.
Da Dario
Caro Vecchio Saggio,
condivido in pieno quello che hai detto, ma ho paura che le denunce "esterne" finirebbero per fare la stessa fine di quelle dei tanti genitori non affidatari. Il problema è più complesso di quanto sembri e trova le sue origini nella brutta abitudine da parte dei magistrati di accettare che nelle cause di separazioni gli avvocati attacchino la controparte a colpi di false denunce e vere e proprie diffamazioni. Può stupire che questo venga ammesso, ma è così. Un avvocato si può permettere di accusare un padre di essere violento e pericoloso per la propria figlia, asserendo di avere allegato al fascicolo prova basata su perizia psichiatrica, salvo poi non allegare alcunché essendo la denuncia del tutto falsa, senza che il giudice lo richiami al rispetto della deontologia professionale (caso reale, comprovabile).
È ovvio che, in questo sistema, una denuncia di fatti VERI finisca per affogare in questo mare di diffamazioni incrociate. Così, chi cerca di richiamare l’attenzione delle procure su situazioni realmente preoccupanti, si vede ignorato perché questo stesso sistema che dovrebbe proteggere i bambini, finisce per proteggere solo gli interessi economici delle lobby professionali.
La soluzione? Più semplice di quanto si possa pensare, dato che non servono né leggi nuove né nuove regole:
1. da parte dei giudici civili, incominciare a riportare ordine nelle aule, facendo sì che ogni parte pesi bene le parole prima di pronunciarle, con sanzioni e provvedimenti per quei legali e quelli clienti che accusano ingiustamente la controparte senza portare riscontri oggettivi (nel civile, al momento NON vale il principio che si è innocenti fino a prova contraria)
2. da parte delle procure, vagliare attentamente ogni denuncia, salvo sanzionare quelle false o strumentali per ridurne la proliferazione, intervenendo anche nel solo caso del mobbing familiare per chiedere il rispetto delle regole di frequentazione, eventualmente sanzionando la recidività.
Non è difficile. Basterebbe solo un po’ di buona volontà.
Da Lisa
Concordo con quanto scrive Dario nel suo ultimo post. Penso però che il problema sugli abusi sia molto più ampio. Le violenze sono spesso inflitte da parenti o amici di famiglia, non necessariamente in famiglie con genitori divisi. Rimango dell’opinione che la prevenzione sia l’arma migliore.
Da Dario
Cara Lisa, tu giustamente affermi che il problema sugli abusi è ben più ampio e che molte violenze sono spesso inflitte da parenti o amici di famiglia, non necessariamente in famiglie con genitori divisi.
Concordo completamente con te. Tuttavia, c’è una differenza FONDAMENTALE fra i due casi: le violenze che avvengono all’interno della famiglia vedono spesso i genitori complici attivi o ignari (e quindi comunque complici) di tali comportamenti. Ignoranza, paure, omertà, sono molte le ragioni di ciò, e ci vorrebbe un libro per analizzarle tutte, e forse più d’uno. Ma nel caso di violenze che avvengono in una famiglia separata, il problema di fondo è l’impossibilità per il genitore affidatario di proteggere i suoi figli anche di fronte all’evidenza di danni fisici o psicologici agli stessi.
Prova a pensarci: sai che qualcuno sta facendo del male a tuo figlio, lo denunci e NESSUNO fa niente, finché un giorno ti dicono che è morto. Non so voi, ma io non so se sarei capace, in una situazione di questo tipo, di mantenere il controllo nei confronti di coloro che hanno ignorato i miei appelli pur essendo loro preciso dovere verificarli.
Ora ti chiedo: se un giorno ti trovassi in una situazione simile, come ti sentiresti a denunciarla a quelle STESSE persone che hanno ignorato gli appelli del papà di Alice e che, SICURAMENTE, rimarranno al loro posto senza subire alcuna conseguenza per la loro ignavia?
Da Lisa
Confesso la mia ignoranza in ambito giudiziario, non tanto per quanto riguarda i testi delle leggi quanto per quanto riguarda la pratica con cui vengono applicate.
Facciamo un esempio non reale e non accaduto (lasciando i casi veri un poco in disparte per rispetto): se io come zia dovessi denunciare il padre di mio nipote avrei minori difficoltà che se denunciassi il mio ex coniuge per violenze su mio figlio?
Badi, io non sostengo che lei abbia torto, e nemmeno che le cause di divorzio con figli siano a volte veri e propri massacri ma mi pare di leggere tra le righe (sbagliando magari) un livore verso le donne. Io personalmente preferisco pensare a genitori responsabili e genitori che non lo sono (e non lo sono mai stati), da questo dipendono, purtroppo, le sofferenze di molti ragazzi.
Da Dario
Cara Lisa,
lei parla molto onestamente di sua «ignoranza in ambito giudiziario», ed in effetti questo è uno dei motivi per i quali la maggior parte dell’opinione pubblica continua ad ignorare questo genere di problemi. Molte di queste situazioni sono così assurde che solo chi le ha vissute di persona si rende conto di come la nostra giustizia di fatto NON funzioni. Se io le raccontassi solo una piccola parte dei casi di cui sono a conoscenza, lei onestamente mi darebbe del pazzo, perché non potrebbe credere come un magistrato possa ragionare in un certo modo di fronte a determinate situazioni. Purtroppo non è facile far capire questo genere di cose a chi non c’è passato, e le auguro sinceramente di non doverci passare mai.
Poi mi chiede: «se io come zia dovessi denunciare il padre di mio nipote avrei minori difficoltà che se denunciassi il mio ex coniuge per violenze su mio figlio?» In generale questo genere di denunce vengono comunque per lo più ignorate a meno che non ci sia un riscontro oggettivo come il referto di un pronto soccorso. Tenga tuttavia presente che, per fortuna, sono solo un numero limitato i casi in cui la violenza porta a danni tali da richiedere un serio intervento medico. Tutto bene, allora? No, perché in realtà per ferire profondamente un bambino a volte le violenze psicologiche o anche fisiche, ma continuative, affiancate da punizioni ingiuste e privazioni di vario genere, possono persino essere peggio di un brutto livido e persino di un braccio rotto. Solo che, mentre quest’ultimo è facile da dimostrare, le prime, se non c’è un intervento COMPETENTE, finiscono per diventare una triste realtà consolidata. E purtroppo la maggior parte degli assistenti sociali non ha competenze approfondite né di psicologia né di pedagogia; pochissimi sono poi i laureati. Provi a chiedere a un assistente sociale se sa cos’è la PAS (Parental Alienation Syndrome) o il mobbing familiare. Molti la guarderanno senza capire.
Infine, cara Lisa, lei afferma che le «pare di leggere tra le righe … un livore verso le donne.» Niente di più sbagliato. Spesso a chiedermi aiuto sono proprio donne, madri o compagne di padri che sono talmente a pezzi da non avere né la forza né il coraggio di chiedere aiuto. La questione è complessa, ma sono quattro i fattori contro i quali combatto da anni, uno di natura economica, uno culturale, uno legislativo e uno giurisprudenziale.
Quello economico è legato al giro d’affari miliardario (in euro) che vive di conflitto, e quindi è organizzato per alimentare il conflitto quando c’è e a generarlo quando non c’è. In una situazione di separazione con figli, basta poco per far ciò. Più lungo è il conflitto, maggiore l’onorario di avvocati e periti dato che è direttamente proporzionale al numero delle udienze. Questo è l’ostacolo maggiore, che mi ha comportato anche minacce anonime di gambizzazione da parte di chi voleva che smettessi di "dare fastidio".
Quello culturale nasce dalla convergenza di una cultura maschilista ottocentesca con una vetero-femminista d’assalto. La prima vede la donna unica titolare dell’educazione e della crescita dei figli e l’uomo unico responsabile del loro mantenimento economico; la seconda punta al privilegio piuttosto che alla pari dignità fra sessi, quale rivalsa per secoli di maschilismo. Pur partendo da visioni diverse, entrambe sostengono una mentalità che premia sia la madre egoista che usa i figli solo come arma di ricatto nei confronti dell’ex-coniuge, sia il padre egoista che abdica al suo ruolo nella vecchia famiglia e va a farsene un’altra con una nuova compagna. Entrambi dimentichi che quello di essere genitore è un impegno verso i figli e non verso l’ex-coniuge.
Quello legislativo, legato a doppia mandata ai primi due, vede un sistema politico incapace di disegnare un progetto di legge veramente incentrato su principi sani, come quello di bigenitorialità e di pari dignità fra i sessi. Il legislatore si lascia guidare nelle sue scelte, non da un’analisi approfondita e competente del problema, ma dalle spinte più o meno sostenute da promesse di voti, da parte delle lobby che per interesse o cultura osteggiano una soluzione reale al problema.
Infine quello giurisprudenziale. Seguire un caso di separazione conflittuale nel quale sono coinvolti i bambini è sicuramente complesso: richiede tempo, competenza, capacità di gestire il conflitto. Tutto ciò i nostri magistrati non lo sanno e non lo vogliono fare. Le cause sono delle catene di montaggio basate su schemi prefabbricati intesi più a facilitare la vita al giudice nel prendere decisioni che a risolvere effettivamente il problema, soprattutto in funzione dei bambini (o minori, come si usa dire con un termine che già da solo serve a mantenere le distanze da qualsiasi problematica affettiva e relazionale). Inoltre la maggior parte dei nostri magistrati ha una competenza molto limitata in materia, persino in quei casi, come a Roma, dove esiste una sezione che si occupa esclusivamente di questo. Pochi conoscono la Convenzione di New York o il Regolamento Europeo (che in Italia ha valore di legge a tutti gli effetti). Pochissimi hanno competenze di psicologia tali da permettere una valutazione critica e attenta delle perizie di parte, portandoli così a ignorarle a priori e quindi venendo meno a un principio fondamentale in giurisprudenza che vuole che le ragioni dell’una e dell’altra parte siano valutate con perizia e onestà.
Il quadro complessivo è ben più che drammatico, anche perché giornali e televisioni si occupano di questi problemi solo quando il caso acquista quelle caratteristiche mediatiche che possano attirare l’attenzione di un pubblico ormai assuefatto a ogni bruttezza dell’animo umano. Nel migliore dei casi, vengono invitati a parlare sedicenti esperti che, spesso, sono proprio coloro che in questo contesto hanno interessi economici non indifferenti. Il padre di turno, più ignorante è, più arrabbiato è, più fa tenerezza, tanto meglio. È solo l’elemento folkloristico di turno. Questi discorsi, queste cose che sto scrivendo, lei, a un «Maurizio Costanzo Show» o a un «Porta a Porta» non le sentirà mai dire. Non le lasciano dire. Né alcun giornale spenderà mai una pagina intera per raccontare le cose come stanno, con un approfondimento serio che va al di là del caso di cronaca.
Una volta qualcuno disse che il cuore umano è piccolo, perché può contenere un dolore alla volta. Quello di un genitore non affidatario, uomo o donna che sia, che lotta per i suoi figli è grande, ma anch’esso ha un unico dolore, che lo accompagnerà per il resto della sua vita.
Un abbraccio.
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