Riporta oggi l’ANSA la sconcertante notizia che una donna indiana di 43 anni che lavorava presso la sala d’aspetto VIP della British Airways nell’aereoporto di Heathrow, Amrit Lalji, è stata licenziata a causa di un brillantino al naso. Già nell’ottobre dello scorso anno la compagnia aerea britannica era salita agli onori della cronaca per la sospensione senza stipendio di una hostess di fede cristiana copta, Nadia Ewieda, perché portava al collo un catenina con una piccola croce d’argento (Repubblica).
Il Regno Unito, storicamente multiculturale e multietnico, anche come conseguenza indiretta della suo passato di impero coloniale, non è nuovo a queste espressioni estreme di discriminazione. Qualche tempo fa Aishah Azmi, un’insegnante islamica dell’istituto Headfield Church of England junior School, era stata licenziata perché portava il velo in presenza dei colleghi uomini ma non durante le lezioni, ovvero quando la donna era in aula insieme ai suoi piccoli allievi (fra i 7 e gli 11 anni).
Se queste discriminazioni a carattere religioso sono particolarmente odiose, assolutamente incomprensibile è quella di Amrit Lalji, dato che il brillantino al naso rappresenta per la donna l’equivalente della fede al dito tipica delle culture occidentali, ovvero un simbolo di matrimonio. Alla discriminazione quindi si aggiunge la profonda ignoranza culturale di chi l’ha perpretata. Forse che la British Airways chiede ai suoi dipendenti di togliersi la vera quando sono al lavoro?
Così come è una forma di discriminazione la decisione dell’Italia di mantenere il crocifisso e solo il crocifisso nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici, così è altrettanto discriminatorio licenziare una persona solo perché porta un piccolo crocifisso al collo. L’ostentazione esagerata, che si tratti di simboli religiosi, politici, caratteristici di una cultura o di una etnia, di un orientamento sessuale o di un movimento di qualsivoglia genere, potrà anche essere discutibile e in qualche caso segno di cattivo gusto, ma il comunicare la propria appartenenza a una fede politica o religiosa, a un’etnia, a un gruppo, a una corrente culturale o filosofica, se fatto in modo trasparente, semplice e rispettoso delle idee degli altri, è a tutti gli effetti una forma di espressione e come tale dovrebbe essere garantita.
Ricordiamoci che la libertà di espressione non è necessariamente legata alla comunicazione scritta e a quella orale, ma va intesa nel senso più ampio del termine: è espressione l’arte nelle sue varie forme, la pittura, la scultura, la fotografia, la musica, la danza, il teatro, il cinema, solo per nominarne alcune; è espressione il modo di vestirsi e lo stile di vita, la comunicazione non verbale e il linguaggio dei gesti. Ognuna di queste forme di espressione va garantita, ponendo al massimo delle limitazioni là dove potrebbero creare una situazione di reale conflitto; non tuttavia come principio inderogabile, ma come momento di transizione in attesa di una maturazione culturale che renda tali limitazioni superate e obsolete.
Ad esempio, oggi in Italia il bikini è accettato su tutte le spiagge; il topless su molte anche se non tutte, comunque più tollerato che in altri Paesi come ad esempio gli Stati Uniti; il nudo integrale permesso solo in alcune. Forse fra cinquant’anni nessuno si scandalizzerà più per il nudo integrale in una qualunque spiaggia pubblica, ma potrà benissimo non essere accettato comunque in altri contesti, ad esempio in un centro urbano. Tutto ciò non è scandaloso: per quanto il principio di libertà di espressione sia ormai vecchio di secoli, la nostra società deve ancora compiere un lungo processo di maturazione prima di poterlo accettare nella sua totalità. Quanto tuttavia è successo nel Regno Unito e succede, in vari modi, anche in altri Paesi occidentali che si dicono multiculturali, democratici e liberali, è assolutamente inaccettabile, perché rappresenta un significativo passo indietro in questo cammino di crescita che l’umanità, seppure non in modo uniforme, sta percorrendo.
Post Scriptum: per quanto mi riguarda personalmente, mi avvarrò del diritto di esprimere la mia opinione non utilizzando più i servizi della British Airways.
bel blog
Condivido pienamente!
>personalmente, mi avvarrò del diritto di esprimere la mia opinione non utilizzando più i servizi della British Airways
Questo è un punto interessante: se ti limiti a questo cosa ottieni? Mi spiego meglio: se anche alla BA si rendessero conto di aver perso un cliente, non saprebbero perché.
Dovresti fare un piccolo sforzo in più: inviare al loro servizio clienti, magari a quello britannico, in inglese, una letteraccia in cui dici loro che smetterai di utilizzarne i servizi e che consiglierai di fare altrettanto a quante più persone potrai, spiegando il perché.
Non è detto che la tua protesta non finisca in archivio (leggi cestino), ma potenzialmente potrebbe essere molto più efficace.
Infine, ammesso che esista un qualche sindacato anche da loro, potresti esprimere, nella stessa lettera, solidarietà alla dipendente licenziata, inviandola in copia anche a loro.
Certo, bisogna andare a comprare la busta, scoprire quanto costa spedire una lettera in GB, comprare i francobolli necessari, scoprire gli indirizzi del servizio clienti e dell’eventuale sindacato, scrivere la lettera in inglese, insomma, una faticaccia, però chissà…
È quello che ho fatto: ho scritto loro che non utilizzerò più i loro servizi ed ho allegato il link a questo articolo e un breve sommario in inglese.