Papponi di Stato – Parte quinta


Parte prima dell’articolo di Roberto Poletti e Roberto Scaglia.
Pubblicazione sul blog «L’Indipendente» autorizzata dall’On. Roberto Poletti.

Continua l’inchiesta in cui l’On. Roberto Poletti, iscritto nelle liste della Federazione dei Verdi e diventato deputato il 6 giugno 2006 al posto di Carlo Monguzzi, ci racconta la sua esperienza di parlamentare con un dietro le quinte da non perdere.

Volare, oh oh

C’è stata questa storia di Mastella messo in croce perché aveva usato l’aereo di Stato per andare al Gran Premio, in realtà aveva chiesto un passaggio a Rutelli che a Monza doveva andarci per consegnare la coppa ai vincitori della gara. E insomma, uno scandalone. Ma dell’uso allegro dei voli di Stato, a Palazzo, sanno tutti. Devi andare in visita ufficiale all’estero? Se te la passano, ci unisci anche la tappa che ti riguarda personalmente. Un esempio: Pecoraro Scanio ha in programma un volo in Romania per l’incontro bilaterale con il ministro dell’Ambiente di Bucarest. Ma c’è anche da presenziare alla trasmissione televisiva di Crozza, il comico, (…) segue a pagina 2 (…) quello diventato famoso nella trasmissione di Celentano. Ed ecco la richiesta, inoltrata all’Ufficio per i voli di Stato di governo e umanitari: «Il ministro dell’Ambiente, On. Alfonso Pecoraro Scanio, per ottemperare ad impegni istituzionali, si recherà a Milano, presso gli studi televisivi di “Crozza Italia”, per un’intervista relativa al suo impegno di governo per quanto riguarda le questioni ambientali». Seguono indicazioni su orari e delegazione, e poi la chiosa: «Non consentendo gli orari dei voli commerciali al ministro di effettuare la missione in questione, si richiede la concessione di un volo di Stato». Ora, che ci sia difficoltà a trovare un Roma Milano entro le 15 pare difficile, c’è n’è uno ogni ora o giù di lì. Ma l’andazzo è questo. E non vorrei sembrasse che me la prendo sempre con Pecoraro, tra l’altro l’aereo di Stato per andare da Crozza nemmeno gliel’hanno concesso, ma essendo io deputato dei Verdi è quello che conosco meglio.

Milioni all’aria

Ben inteso, tutti gli altri han poco da fare i moralisti: nel 2004, con Berlusconi al governo, sono stati spesi 52 milioni di euro in voli di Stato, 50 nel 2005, e poi 43 nel 2006, poco meno di 30 nel 2007. Impressionante, considerando che agli “aerei blu” hanno diritto il Capo dello Stato, i Presidenti delle Camere, il Presidente della Corte Costituzionale e i membri del Governo.

Quanto è comoda la sala VIP

E gli altri? I deputati “normali”? Ma sì, che anche loro se la girano alla grande, certo non con gli aerei di Stato, lì sopra eventualmente ci scappa qualche passaggio, alla Mastella. Torniamo allora alle famose tesserine, quelle che come d’incanto aprono a noi onorevoli porte serrate per i comuni mortali. Ho già raccontato del lasciapassare per parcheggiare gratis l’auto negli aeroporti di Linate e Malpensa. E se la macchina la devi lasciar lì per tutte le vacanze, bhè, nessun problema, ce la lasci a costo zero. Basta almeno che sia quella con la targa accreditata. Ricevo infatti un avviso dal Direttore relazioni esterne SEA, la società che gestisce gli aeroporti milanesi, indirizzato a tutti i deputati e senatori e parlamentari europei, che dopo aver sottolineato come «a volte l’utilizzo della tessera non corrisponde a nessun imbarco da parte del titolare della tessera stessa», chiude così: «Vi ricordiamo che la tessera è strettamente personale, e che il sistema dopo tre passaggi consecutivi di lettura della tessera con targa diversa da quella segnalata, la disabilita automaticamente. Sperando che comprendiate le motivazioni che mi hanno spinto a scrivere la presente…». Comprendiamo, comprendiamo.

Naturalmente, la SEA pensa anche ad alleggerire la sfiancante attesa prima dell’imbarco di noi poveri lavoratori parlamentari: possiamo goderci i comodi divani delle sale Vip, con servizio bar gratis, giornali e riviste gratis, postazioni internet gratis, eventualmente sale riunioni, sempre gratis. Non che sia un privilegio epocale, ma ai viaggiatori normali la tessera che dà diritto all’accesso costa 800 euro l’anno, buttali via. D’altro canto, Alitalia mi comunica che a Fiumicino la sala Club Freccia Alata «vedrà raddoppiati i propri spazi e sarà dotata di nuovi arredi e maggiori comfort». Evvài. E i severissimi controlli di sicurezza agli imbarchi? Per tutti ma non per noi, noi si passa da dietro, come hostess e steward. Se beccano un viaggiatore che vuol salire sull’aereo con un paio di bottiglie di vino, tanto per fare un esempio, gliele requisiscono. Con i parlamentari non si azzardano.

Tariffe esagerate, tesserina riservata

Poi ci sono i voli di trasferimento da e per il Parlamento: come detto, vai all’agenzia di Montecitorio e fai il biglietto. Ora, io abito a Milano, i voli low-cost sono una realtà da tempo, quasi si paga meno che in treno. Ma quando ritiri il tagliandino, c’è stampata anche la tariffa, che io non pago ma è quella che va ad incidere sulle casse statali. E allora, ecco: Linate-Fiumicino andata e ritorno al modico costo di euro 625. Seicentoventicinque euro, tantissimo. Vabbè: diciamo che anche in questo modo si cerca di dare una mano alla malmessa Alitalia. Senza contare che più la tariffa è alta, più si ricarica la tessera Mille Miglia, che se accumuli un tot di punti poi ti regalano il volo per dove vuoi. E anche questo non fa schifo. Ecco perché sono preferiti i biglietti aperti: quelli con andata e ritorno già fissati costerebbero anche il 75 per cento in meno.

Siamo tutti Henry Kissinger

Discorso a parte meritano le missioni organizzate da commissioni, giunte e comitati vari, che tra l’altro giustificano il deputato per l’eventuale assenza dall’Aula, permettendogli di incassare la diaria. E guardate, in questo caso non è che si vuole necessariamente fare il solito discorso sul magna magna, «i deputati fanno finta di lavorare e invece si fanno le vacanze all’estero tanto paga lo Stato». Il punto è anche un altro: sei onorevole, e subito ti senti Henry Kissinger. E per passare alla storia, o più semplicemente per guadagnare un po’ di visibilità, ti prendi in carico casi importanti, magari diplomaticamente delicati, senza avere l’autorità né gli strumenti per risolvere alcunché. T’improvvisi ministro degli Esteri, col risultato che rischi di alimentare illusioni, o addirittura di fare dei danni.

Trasferta inutile

E quindi, c’è questo Britel Abou Elkassim che è detenuto in Marocco. Una storia drammatica: l’imputazione è di associazione sovversiva, in pratica è accusato di essere un terrorista anche e soprattutto per l’attività che si sospetta abbia svolto in Italia. Perché Britel è cittadino italiano, è sposato con un’italiana, viveva a Bergamo, e i nostri giudici hanno concluso le indagini definendo le accuse totalmente insussistenti, archiviando il caso. Ma lui rimane in galera in Marocco. A Montecitorio circola la petizione per chiederne la grazia al re Mohammed VI, la firmano in cento, in questi casi la firma su una petizione non si nega mai. Magari senza neppure leggerne il testo, giusto per togliersi dalle scatole il collega petulante. S’incaricano di recapitare la richiesta due rifondaroli, Ezio Locatelli e Khalil Alì (più noto come Alì Raschid), e il sottoscritto. Si parte, cinque giorni di missione, con la moglie di Britel che spera e ci crede, tra l’altro al re stava per nascere la prima figlia e in segno di giubilo erano state annunciate amnistie e atti di clemenza. L’ambasciata italiana in Marocco si mette naturalmente a disposizione: ambasciatore in persona, poi funzionari, autisti, interpreti e tutto il contorno. Per consegnare la petizione, incontriamo e parliamo con il ministro di Sua Maestà, che annuisce ma si vede che neanche ci ascolta, poi andiamo anche in carcere ad incontrare Britel, lui ci ringrazia e piange. Torniamo in Italia. Nulla si muove, tutto resta come prima. È passato più di un anno, Britel è ancora in galera, speriamo che tra le mura della cella marocchina non gli abbiano fatto pagare il clamore provocato dalla spedizione di tre signor nessuno. Quel che ci resta è l’insopportabile impressione di aver alimentato unicamente la nostra vanità, oltre a qualche fotografia che ci siamo scattati a vicenda in abiti maghrebini e al ricordo del ricevimento all’ambasciata organizzato in nostro onore. No, non siamo Henry Kissinger. E nemmeno D’Alema.

Genova verde

Meglio ripiegare sul territorio nazionale. Allora, ci sono le elezioni comunali a Genova. Un appuntamento importante, tornata amministrativa a un anno dall’elezione di Prodi, per il centrosinistra il capoluogo ligure è vetrina nazionale. Ma la situazione è complicata: Cristina Morelli, capogruppo dei Verdi in Regione, e Luca Dall’Orto, assessore comunale all’Ambiente, i due esponenti di spicco del partito in Liguria, avevano celebrato la loro storia d’amore con un simbolico PACS a Roma, in piazza Farnese. Ma adesso pare siano in lite, la campagna elettorale rischia di esserne penalizzata. E non c’è da meravigliarsi né scandalizzarsi, la politica è condizionata anche da vicende come questa, e molto più spesso di quanto si pensi. Comunque, il partito mi invia quasi fossi commissario nazionale, tra le altre cose devo anche fare da paciere. Mi trasferisco a casa di Cristina per qualche settimana, lei è gentile e ospitale, non fosse per i suoi 7-gatti-7 che, lo dico da amante degli animali, alla lunga sono un po’ un tormento, te li trovi dappertutto, «e guarda Bibì, e che simpatica Mimì, e vieni qui Cicì» , grande sensibilità ma insomma la casa è tutta un pelo, e io sono anche un po’ allergico. E poi lei è vegetariana, al ristorante mi fa dei gran cazziatoni quando ordino carne e pesce, «sei un assassino», che ci sono volte che penso a Luca e non so perché ma gli sono vicino. Alla fine, la coppia scoppiata si dimostra responsabile, mettono da parte i contrasti domestici e affrontano da persone civili la campagna elettorale.

Nel frattempo, devo anche volare a Roma per parlare con Pannella e contrattare l’apparentamento in loco con i Radicali, mi sorbisco ore di comizio, Marcone non smette di parlare nemmeno se gli spari, fatto sta che l’accordo si fa, entrano nelle nostre liste. Alla fine, tutto va come deve: a Genova vince la candidata sostenuta anche dai Verdi. Obiettivo raggiunto. Già che son lì, mi metto a girare e vado a vedere di persona situazioni che m’interessa affrontare, chissà mai che possa combinare qualcosa per la gente, come si dice. C’è la questione della discarica di Monte Scarpino, in provincia di Genova, pare vogliano piazzarci un inceneritore e i residenti sono parecchio arrabbiati. In effetti, mi sembra che il problema esista, le persone mi accompagnano e spiegano, nei pressi delle scuole passano decine di camion al giorno, la gente s’ammala e muore. Preparo un’interrogazione parlamentare che avrei presentato al ministro, il mio ministro, nel senso che è dei Verdi. Niente da fare: il presidente della Camera Bertinotti la dichiara inammissibile. Certamente sarò stato io a formularla non nella maniera burocraticamente corretta, resta il fatto che la sensazione d’inutilità cresce in me ogni giorno di più. Poi c’è il Parco del Tigullio. Vedo che al partito interessa quest’eventualità di creare un parco marino e terrestre del Levante, esteso fino a Moneglia e comprendente anche quello di Portofino. M’incarico io di portare avanti la questione, preannuncio una proposta parlamentare. E allora riunioni su riunioni, con il paradosso che lo stesso Consiglio Provinciale ulivista, Verdi compresi, dibatte e boccia l’idea, lamentandosi perché «è caduta dall’alto». Ma il progetto non è mai stato nemmeno presentato. Un’altra marea di parole sul nulla.

Promesse al vento

Infine, questa storia del leccio, che poi è un albero tipo quercia. Un incubo. Spiego: vado con Pecoraro a Sestri Levante, siamo in campagna elettorale e bisogna dar ascolto e promettere qualcosa a tutti. Il sindaco ci racconta di questo misterioso delitto, ignoti hanno avvelenato il leccio secolare che domina la passeggiata a mare. Vane si sono rivelate tutte le cure straordinarie, gli esperti che l’hanno visitato hanno emesso la diagnosi che è una condanna: signori, abbiamo fatto di tutto, ma purtroppo bisogna abbatterlo. Per la cittadina è una tragedia, il sindaco ci chiede di far qualcosa: «Qui ci vuole un altro leccio, ministro, onorevole, pensateci voi». La vicenda è simbolica, rimbalza sulla stampa locale. Pecoraro dice che sì, un nuovo leccio si può trovare, se ne interesserà personalmente. Poi ce ne andiamo e mi passa la palla, «di ’sta storia occupatene tu». Da allora — e lo dico anche ai cittadini di Sestri, in senso positivo — il sindaco non molla più la presa. Telefona, scrive, mi invia anche un’e-mail con le caratteristiche che deve avere il nuovo albero — «asse diritto dalla base alla punta, fusto sano senza ferite, circonferenza del fusto a m. 1 da terra cm. 60/70, apparato radicale che abbia subito prima che la pianta sia stata messa in vaso almeno tre trapianti di cui l’ultimo da non più di tre anni». Mesi di persecuzione, e arrivo a pensare che, porcamiseria, potrebbe anche pagarselo il Comune, il leccio. Ma poi mi dico che ha ragione lui, d’altronde gli era stato promesso. La realtà è che, per noi deputati, è più utile pontificare sui massimi sistemi che far piantare un albero in riva al mare. E poi, accidenti, quante promesse gettate al vento.

Fine della quinta e ultima puntata


Un commento su “Papponi di Stato – Parte quinta
  1. utente anonimo ha detto:

    Mi scusi Poletti, ma come è andata a finire la storia del leccio?
    le avevano detto che era compito suo, lo ha portato a termine?
    Oppure anche lei parla parla ma alla fine….

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