Tutti noi conosciamo la marca Chiquita, quella delle banane con il bollino blu. Pochi sanno tuttavia come questa azienda, che nel 2005 risultava avere in mano il 26% della produzione mondiale di banane, una volta si chiamava American United Fruit Company (UFCO) ed è tuttora una delle maggiori multinazionali statunitensi.
Bisogna sapere che la American United Fruit Company possedeva in Centro America, nel 1949, ben 1,4 milioni di ettari di piantagioni, per lo più di banane, appunto, la maggior parte concentrate in latifondi in Guatemala. Da lì la UFCO, utilizzando una rete ferroviaria che aveva fatto costruire appositamente, esportava le banane principalmente negli Stati Uniti e in Canada.
Ebbene, nel 1954 il governo progressista guatemalteco guidato da Jacobo Arbenz decise di nazionalizzare oltre 150.000 ettari di latifondi della United Fruit. Il governo guatemalteco propose alla UFCO un rimborso di 1,2 milioni di dollari, ma la multinazionale ne chiese oltre 16. Arbenz rifiutò la richiesta: il danno per la multinazionale sarebbe stato rilevante, per cui la UFCO fece pressione sul governo del repubblicano Dwight David Eisenhower affinché organizzasse un colpo di stato in Guatemala. Il nome in codice di questa operazione della CIA fu Operazione PBSUCCESS.
Bisogna considerare anche che l’allora Segretario di Stato americano, John Foster Dulles, e il direttore della CIA, Allen Dulles, avevano lavorato precedentemente come consulenti legali per la stessa United Fruit e che lo stesso Segretario di Stato per gli Affari Interamericani di allora, John Moors Cabot, era il fratello di quel Thomas Cabot che presiedeva la multinazionale americana.
Così gli USA organizzarono la Liberation Army, che invase il Paese e mise al potere il generale Carlos Castillo Armas, uomo di fiducia del governo statunitense, che instaurò una brutale dittatura militare. Ne conseguì una guerra civile denominata la “guerra sporca”, che causò in 30 anni oltre 200.000 morti fra i civili guatemaltechi e decine di migliaia di desaparecidos tra gli oppositori al regime. Dal 1954 al 1983 si alternarono i governi dei generali Lucas Garcia, Rios Montt, Meija Victores. Durante i primi 10 anni, le vittime della repressione di Stato furono principalmente studenti, lavoratori, professionisti e personalità dell’opposizione di ogni area politica, ma dal 1960 in poi molte delle vittime furono indigeni e agricoltori che si opponevano alle durissime condizioni di vita e di lavoro imposte dalla multinazionale americana. Furono infatti distrutti oltre 450 villaggi Maya, azione che causò oltre un milione di rifugiati.
Secondo l’ONU, le forze del governo e i paramilitari furono responsabili di oltre il 90% delle violazioni di diritti umani che vennero perpetrate durante la guerra sporca. Gli Stati Uniti d’America continuarono a sostenere la dittatura fino agli anni Novanta, con addestramenti, armi e finanziamenti. Nonostante un accordo di pace fra l’organizzazione guerrigliera Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca (URNG) e il governo del presidente Álvaro Arzú, negoziata dalle Nazioni Unite, e nonostante le elezioni democratiche del 2003, il Guatemala sta ancora pagando duramente il prezzo dell’intervento statunitense sul suo territorio e resta uno dei Paesi latinoamericani dove le discriminazioni sociali e culturali sono più accentuate, soprattutto nei confronti degli indios e delle donne.
Oggi il Guatemala è ancora uno Stato prevalentemente agricolo, tanto che i ricavi di questo settore, in cui è impiegato quasi il 50% della popolazione attiva, rappresentano il 22,7% del PIL totale, soprattutto nell’ambito delle grandi proprietà, stimate intorno al 70% della superficie agraria totale. Ed è proprio in questo settore cruciale che si registra la più ampia forbice di disparità tra la popolazione ricca e quella povera: il 3% degli abitanti, infatti, possiede i 2/3 dei terreni agricoli dell’intero Paese. Ogni anno migliaia di indios lasciano gli altopiani, i loro villaggi, le proprie famiglie, per essere letteralmente deportati nelle grandi piantagioni (fincas) di caffè, cotone, canna da zucchero, banane, tabasco, cacao, agrumi, dove lavorano in regime di semi-schiavitù senza vedersi riconosciuto il diritto a un’equa retribuzione e a un trattamento dignitoso.
Tuttora la presenza di aziende e multinazionali nordamericane è prevalente nel Paese e gli USA rappresentano ancora il maggior importatore di banane dal Guatemala, per un totale di 375 milioni di dollari solo nel 2008. Da notare che proprio nel marzo di quello stesso anno, Miguel Angel Ramirez, del sindacato Union of Banana Workers of the South (SITRABANSUR) fu brutalmente assassinato, quattro settimane esatte dopo che la figlia del segretario generale dello stesso sindacato era stata violentata da un commando di uomini armati. La storia quindi non è finita e continua ancora, nell’indifferenza generale della maggior parte dei media.
D’altra parte, solo tre anni fa, la Chiquita Brands è stata condannata da un tribunale degli Stati Uniti a pagare una multa di 25 milioni di dollari per aver importato in Colombia, nella regione di Urabà, 3000 fucili AK-47 e finanziato il gruppo paramilitare colombiano Autodefensas Unidas de Colombia (AUC) i cui componenti hanno trucidato 432 contadini in ben 62 stragi e fatto fuggirne altri 60.000 dalle loro case. Può sembrare un duro colpo per l’immagine aziendale della Chiquita ma in realtà si tratta di una multa irrisoria per una società che ha avuto un giro d’affari di 4,5 miliardi di dollari nel 2006 e che la mette comunque al riparo da ulteriori procedimenti giudiziari da parte del Dipartimento della Giustizia statunitense, tant’è che il procuratore Jonathan Malis ha giudicato l’accordo economico tra Washington e la Chiquita «moralmente ripugnante».
Ricordatevelo quando mangiate una banana “10 e lode”.
Senza dimenticarsi il massacro delle banane
https://en.wikipedia.org/wiki/Banana_massacre
reso celebre da Gabriel Garcia Marquez in Cent'anni di solitudine…