Un paio di anni fa, l’allora amministratore delegato di Google, Eric Schmidt affermò in una conferenza in California che ogni due giorni generiamo tanti dati quanti ne sono stati pubblicati dall’alba della civilizzazione fino al 2003, qualcosa come cinque exabyte di dati [Techonomy]. Per la cronaca un exabyte è dieci alla diciottesima byte, ovvero un trilione di byte. Qualcuno ha anche affermato che tutta l’attuale conoscenza umana possa essere raccolta in circa 12 exabyte di dati.
Comunque, che il dato sia corretto, sia ancora attuale, sia sotto o sopravalutato, poco importa. È un fatto che ormai ogni giorno viene prodotta una quantità davvero notevole di dati, buona parte dei quali generati dagli utenti della rete, ma non solo. Molti, infatti, sono anche prodotti automaticamente a fronte di attività od operazioni varie. Pensate ad esempio a tutti i tracciati che sono generati in tutti i nodi della rete. Inoltre non tutti i dati sono indicizzati dai motori di ricerca o disponibili pubblicamente a tutti. Basti pensare alle milioni di basi dati delle aziende e degli istituti di ricerca resi disponibili solo a determinate comunità o comunque non accessibili senza opportune autorizzazioni.
In termini quantitativi, quindi, l’umanità sta producendo un volume di informazioni senza precedenti, ma è davvero questo l’unico parametro che dobbiamo considerare, ovvero quello quantitativo? In effetti ci sono altri quattro fattori da prendere in considerazione se si vuole avere un quadro davvero completo della situazione.
Il primo è la ridondanza, il secondo la rilevanza, il terzo l’affidabilità e il quarto la volatilità.
La ridondanza
I contenuti digitali sono facili da copiare. Un semplice “copia e incolla” e lo stesso testo pubblicato da un sito finisce su altre centinaia di siti così com’è o con una serie di variazioni e modifiche. In teoria la rete era stata sviluppata per utilizzare il più possibile i collegamenti quando si desidera fare riferimento ai testi di qualcun altro, ma moltissima gente non lo fa. Ci sono vari motivi per questo.
Il primo e forse quello più importante è che gli utenti capaci di produrre contenuti davvero originali, soprattutto per quello che riguarda testi e articoli, sono una sparuta minoranza rispetto al totale. La maggior parte della gente si limita a copiare, nella speranza di avere una certa visibilità in rete. Per assurdo, proprio quelli che generano materiale originale sono spesso ignorati o poco conosciuti mentre ad altri, magari già noti per altri motivi, viene riconosciuta la pubblicazione di materiale che in realtà è stato preso da altre fonti.
Un secondo motivo è che molti gestori di blog, forum e giornali digitali, non permettono di inserire collegamenti in quello che uno scrive. In alcuni casi questo viene fatto per evitare collegamenti a contenuti non appropriati sui quali il gestore del sito non ha ovviamente alcun controllo; spesso, tuttavia, è solo una questione di potere: permettere di aggiungere un collegamento in un commento, ad esempio, vuol dire permettere di dirottare parte dei visitatori altrove, e questo alcuni gestori di forum non intendono proprio farlo.
In generale, quindi, molto materiale in rete è in realtà prodotto da pochi e duplicato da molti. Fanno eccezione le foto e i messaggi che la gente genera, soprattutto con i cellulari, attraverso meccanismi come Instagram, Foursquare, Pinterest e Facebook. Quindi, in questi casi si tratta davvero di materiale originale ma, e qui passiamo al secondo parametro, quanto di questo materiale è davvero rilevante?
La rilevanza
Naturalmente il concetto di rilevanza è soggettivo: quello che interessa a uno può non interessare ad altri e viceversa. Inoltre il materiale pubblicato con il cellulare è spesso indirizzato a pochi amici o familiari e quindi è normale che sia ignorato dai più. D’altra parte un buon articolo su un blog — ad esempio, una recensione di buon livello di un libro o di una pellicola — ha una sua intrinseca rilevanza. Diciamo che quando un dato o un’informazione sono rilevanti per un numero elevato di persone, si può dire che abbia un certo valore intrinseco.
In effetti esistono due parametri per valutare la rilevanza di un articolo: il valore intrinseco dei contenuti e la qualità del testo. Il primo ha ovviamente maggiore importanza della seconda, dato che anche un articolo scritto male, che riporti comunque informazioni di un certo valore, può essere abbastanza interessante. Tuttavia, se l’articolo è anche scritto bene e ha una buona leggibilità, il messaggio in esso contenuto si propagherà più facilmente, ovvero sarà più efficace.
L’affidabilità
Il fatto che un argomento sia rilevante o anche ben trattato, tuttavia, non vuol dire che sia affidabile. Chi fa disinformazione, o meglio, chi sa fare bene disinformazione, sa anche preparare il materiale da pubblicare con un certo criterio, in modo che abbia la massima diffusione possibile. Fotomontaggi, false dichiarazioni, statistiche e dati la cui fonte è ignota o comunque non garantiti da alcuna autorità della quale ci si possa fidare, persino semplici messaggi di poche righe che lasciano intendere che un certo fatto sia avvenuto o una certa cosa sia stata detta da qualcuno, sono estremamente comuni in rete.
L’enorme capacità di amplificazione della rete finisce per diventare determinante nella diffusione di false informazioni. Il meccanismo è quasi sempre lo stesso: qualcuno pubblica qualcosa di verosimile, quasi sempre qualcosa capace di suscitare interesse o sdegno — i sentimenti negativi sono la leva più forte sfruttata dai disinformatori — e lo fa in un sito, in una rete sociale, in una pagina letta da persone che nei confronti di quell’argomento abbiano prevalentemente poco spirito critico.
Non è difficile farlo. Ognuno di noi ha in genere una posizione nei confronti di quasi tutti gli argomenti. Spesso questa posizione è influenzata dalla propria fede politica o religiosa, comunque dalla nostra personale scala di valori. Se leggiamo qualcosa che ci conforta in quanto riconosciamo in essa una “verità” nella quale già crediamo, saremo molto meno critici nei confronti dell’intero articolo che se leggessimo un testo che contiene affermazioni diverse o contrarie alle nostre convinzioni.
A questo punto il gioco è fatto: l’articolo o l’immagine in questione verrà rapidamente condivisa, duplicata e diffusa in rete, tanto da rendere difficile capire dove abbia avuto origine. Nel momento in cui quell’informazione avrà raggiunto una certa massa critica, sempre più persone, anche non della stessa fede politica e religiosa, incominceranno a pensare che quelle affermazioni potrebbero essere vere, proprio in quanto così diffuse. In pratica, se tanti dicono una certa cosa questa sarà pur vera, no? Non solo: molto spesso queste informazioni vengono associate a forze o poteri nascosti, a complotti, a ingiustizie, per cui chiunque cercasse di dimostrare che si tratta di falsi finirebbe per venire bollato come cospiratore, reazionario, succube di questo o quel potere. In pratica otterrebbe l’effetto opposto.
La volatilità
Se consideriamo questi primi tre parametri, ovvero la ridondanza, la rilevanza e l’affidabilità, allora è evidente che la quantità di informazione originale, che abbia un certo valore e soprattutto sia veritiera, è di molto inferiore a quei famosi cinque exabyte di dati di cui parlava Schmidt. C’è tuttavia da considerare un quarto parametro, spesso ignorato dai più: la volatilità.
Si dice che una volta pubblicato qualcosa in rete non ci sia più modo di eliminarla, proprio a causa del meccanismo di duplicazione e condivisione, in molti casi reso automatico da applicazioni più o meno sofisticate. Ma è davvero così? Quanto è volatile un’informazione in rete?
Consideriamo questo articolo. Oggi l’ho pubblicato sul mio blog e tra un po’ sarà stato indicizzato dai tanti motori di ricerca che mandano continuamente in giro i loro ragnetti cattura-dati. Inoltre probabilmente qualcuno lo condividerà su qualche rete sociale o magari arriverà persino a duplicarlo, in toto o in parte. Ma che succederà fra un anno, fra cinque, fra dieci, fra cinquanta?
Beh, tra un anno questo articolo non sarà più in prima pagina né sul mio blog né sugli eventuali siti che potrebbero averlo pubblicato, così come le varie condivisioni nelle reti sociali saranno magari state archiviate, ma probabilmente sarà ancora accessibile attraverso una ricerca in rete. Fra cinque o dieci anni, probabilmente sarà ancora possibile trovarlo, ma difficilmente sarà in testa ai risultati di un’eventuale ricerca, a meno che non sia estremamente specifica.
Fra cinquant’anni io sarò molto probabilmente morto o comunque del tutto rimbambito, anche se qualche amico pensa che questo sia già vero. Che fine farà il mio blog alla mia morte? Forse mia figlia o alcuni amici lo manterranno per un po’ o forse no. C’è da dire che forse non saranno neppure necessari cinquant’anni, dato che la stessa rete probabilmente fra venti o trent’anni sarà così diversa da rendere questo blog obsoleto molto prima.
Che succederà allora a queste parole quando il mio dominio sarà stato cancellato e tutti i contenuti rimossi dalle memorie di massa che l’ospitavano? Qualche pezzo probabilmente continuerà a rimanere qua e là, ma anche quei sistemi prima o poi saranno cambiati, cancellati, rinnovati. Non essendo famoso probabilmente nulla di ciò che ho scritto finirà su qualche sito con una persistenza maggiore di quella del mio, come ad esempio Wikipedia, ma chi vi dice che anche quella che attualmente è l’enciclopedia più famosa della rete non scompaia tra qualche decennio? Dopotutto siti famosi che hanno fatto la storia della rete, oggi sono scomparsi e spesso sono addirittura sconosciuti alle nuove generazioni.
Ecco allora che non solo la quantità di materiale valido pubblicato in rete è inferiore a quanto si possa pensare, ma probabilmente ha una volatilità molto maggiore di altre forme di comunicazione che per secoli sono state usate, come la carta, ad esempio. Oggi noi siamo in grado di leggere pergamene e carte che hanno un migliaio di anni e più, ma fra un migliaio di anni, quanto di tutto ciò che oggi è in rete sarà ancora disponibile? Quante di queste parole che state leggendo saranno diventate cenere digitale?
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