Stamattina ho preso la metro per recarmi in centro. Accanto a me c’erano tre persone, più o meno sulla trentina, che si stavano scambiando vari aneddoti sui tempi del liceo. Uno, in particolare, si era messo a raccontare tutta una serie di storielle sui suoi ex compagni di scuola. Non ascoltarlo era piuttosto difficile, perché al di là del fatto che mi stava accanto in un vagone che era, come al solito, sovraffollato, parlava anche a voce piuttosto alta, quasi che la carrozza fosse a sua esclusiva disposizione o forse convinto che le sue storie venissero trovate molto interessanti da parte di tutti gli altri viaggiatori.
Devo dire, in effetti, che è stata un’esperienza che mi arricchito molto, o meglio, molto mi ha fatto capire, se non della natura umana, di quella del cantastorie metropolitano in questione. L’uomo era chiaramente campano, quasi sicuramente napoletano, dato che parlava in italiano ma con la caratteristica parlata napoletana, il che dava a tutto il racconto un che di cabarettistico anche piacevole. Sui contenuti, tuttavia, ci sarebbe da discutere, ed è di questo, infatti, che vorrei parlare.
Non entrerò in merito di ogni singola storia, ma lo schema era sempre lo stesso: da una parte c’era uno dei suoi ex-compagni di classe che, in un modo o nell’altro, mostrava capacità, interesse, voglia di studiare, tenacia e quant’altro; dall’altro c’era lui, ultimo baluardo della pigrizia e dell’ignavia, cantore dell’ignoranza ed elegiaco del dolce far niente, grande accusatore di ogni volontà di apprendimento e inquisitore di capacità e attitudini. E così ecco il compagno sardo che si fa 60 chilometri in treno ogni mattina per recarsi a scuola senza saltare neppure una lezione, povero scemo, mentre lui, gran furbacchione, spesso e volentieri si alza alle 10 e salta la lezione nonostante abiti quasi di fronte al liceo. E ancora, c’è quello forte in matematica, un mezzo geniaccio, a sue parole, che se non ci fosse stato i professori certo non avrebbero preteso così tanto da lui, povera vittima di tanta aspettativa. Vi risparmio il resto. Un vero elogio alla pigrizia e all’ignoranza, vero fondamento, evidentemente, per il tizio in questione, di un Paese di poeti, santi e navigatori… ormai solo in rete.
Non commento ulteriormente… Un solo dubbio rimane… Ma quanti sono, così?
Tanti. Tanti sono così. L’Italia è piena di furbetti come lui, di gente che esalta la propria ignoranza e ne fa una bandiera. Ce ne sono talmente tanti che forse questo spiega perchè l’Italia sta sprofondando… nel letame.
Io mi preoccupo molto di più di quelli,molto più numerosi, che si credono intelligenti senza motivo. Almeno quello faceva professione di umiltà.
Anonimo #2 ha detto: «Almeno quello faceva professione di umiltà.»
Veramente non è che il tono e il modo di esprimersi del tizio in questione ispirasse poi così tanta umiltà. Semmai era proprio della sua ignavia e ignoranza che si vantava, quasi fossero un merito. In quanto al credersi intelligenti, lui si credeva propio tale, ovvero intelligente e furbo proprio in quanto là dove gli altri si davano da fare, lui viveva alle loro spalle facendo il minimo necessario e anche meno. Quindi l’esatto contrario di quanto hai detto.