«Dio non esiste»
Provate a dire una cosa del genere e vi guarderanno male. Non i cattolici, non gli islamici e neppure gli ebrei, ma gli altri, quelli che forse all’esistenza di Dio pensano solo quando serve loro qualcosa o sono nei guai, quando soffrono o hanno paura. È una questione di correttezza politica, traducendo alla lettera un concetto di chiara marca anglosassone. Come dire: «A me non interessa, ma tu non lo puoi dire perché offendi chi ci crede». Vero: chi ci crede si offende e di brutto. In certi Paesi affermare una cosa del genere ti può portare in galera. Da noi, al massimo, vieni bollato come un insensibile, comunque censurato.
Proviamo a fare un paio di ragionamenti, tuttavia. Innanzi tutto, cosa significa in effetti che Dio non esiste? Non mi risulta che qualcuno abbia dimostrato scientificamente la non esistenza di un’entità superiore e trascendente, così come non mi risulta che qualcuno abbia dimostrato il contrario, nonostante siano millenni che filosofi, e oggi persino matematici, ci provino. Dunque affermare che Dio non esiste è un atto di fede a tutti gli effetti. Chi non crede in Dio, chi si professa — termine non usato a caso — ateo, non fa né più né meno quello che fa qualsiasi credente, ovvero fa una dichiarazione di fede.
Ma allora le cose cambiano. Se l’essere atei è un atto di fede, allora l’ateismo è a tutti gli effetti una religione e come tale all’ateo deve essere garantita la libertà di culto! E qual è l’essenza della libertà di culto se non poter esprimere apertamente il proprio atto di fede? «Dio non esiste», questo è il dogma centrale dell’ateismo. Affermarlo non è diverso dall’affermare l’esistenza di Dio, di Allah, di Yavhè e perché no, di Mitra e Iside, Siva e Visnù.
«Dio non esiste»: se questo offende i credenti (in uno o più dèi) allora perché «Dio esiste» non dovrebbe essere considerato offensivo per gli atei? Ci sono più credenti che atei — che credenti sono pure loro, tuttavia — mi direte. È forse questo il motivo? Ma la libertà di culto non è questione di numeri e semmai una minoranza religiosa va maggiormente protetta, non ostracizzata. E poi gli atei sono svariati milioni in Italia, più di coloro che credono in Buddha nel nostro Paese e sicuramente di più degli appartenenti, ad esempio, alla religione wiccan, e allora perché non permettere loro di esprimersi liberamente? Di farlo attraverso i giornali, la televisione, la rete, la pubblicità? Forse che le altre religioni non lo fanno?
La questione è semplice: se l’Italia è uno Stato laico e se la libertà di culto esiste davvero da noi, allora l’espressione della propria fede deve essere garantita a tutti, inclusi gli atei. Se a un cristiano, a un islamico, a un ebreo, a un buddista, è permesso esprimere il proprio verbo senza che questo venga considerato automaticamente offesa a chi ha un credo differente, allora ciò deve valere anche per gli atei. Non permetterlo è, a tutti gli effetti, una discriminazione religiosa e viola gli articoli 3 e 8 della nostra Costituzione.
Che ognuno sia allora libero di esprimere pubblicamente la propria fede, ovvero ciò in cui crede o ciò in cui non crede. E che nessuno affermi che tale diritto debba essere negato perché offende quello di qualcun altro. Nessuna religione deve essere privlegiata in uno Stato laico, così come nessuna fede deve essere penalizzata. «Dio non esiste» e «Dio esiste» devono avere quindi pari dignità, altrimenti la presunta libertà di culto è solo ipocrisia.
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