Stasera mi è capitata sotto le mani una copia di Epolis Roma. A pagina 6, in fondo a destra, nella rubrica intitolata «Quale diritto in famiglia», mi sono ritrovato a leggere un articolo che mi ha lasciato decisamente molto perplesso. Come spesso succede in questo genere di rubriche, è stato scritto da un avvocato, Simona Napolitani; assumo divorzista, dato l’argomento.
Ho ritenuto giusto riportarlo qui integralmente, esattamente come è stato pubblicato dal quotidiano, in modo che possiate formarvi una vostra opinione a riguardo e anche perché non è particolarmente lungo. Per comodità ho tuttavia inframezzato il testo integrale con i miei commenti. L’articolo si intitola:
«Quando l’assegno mensile lo chiede lui»
Di recente in un procedimento di divorzio, il marito, imprenditore di buona famiglia che lamenta la crisi del settore, ha chiesto che il Tribunale gli riconosca un assegno mensile, considerate le sue attuali difficoltà e lo stipendio della moglie, medico ospedaliero; da tale unione non sono nati figli.
Così inizia l’articolo. E qui niente da eccepire, salvo quel «di buona famiglia» che, a fine lettura, sembra preparare in modo alquanto sottile, ma poi non così tanto per chi conosce le tecniche della retorica, una progressione dialettica tesa a dimostrare come una tale richiesta debba essere considerata a priori assolutamente inconcepibile.
Solo per completare il quadro, la moglie oggi ha un nuovo compagno, con il quale convive e dal quale ha avuto un figlio.
E qui abbiamo un primo leggero accenno di attacco. Anche questo molto sottile, quindi, dato che serve per il momento a indurre il lettore a considerare che il fatto che la donna si sia fatta una nuova famiglia sia un motivo più che sufficiente a considerare la richiesta dell’ex-marito quasi una vigliaccata. In fondo la donna si deve occupare del figlio e quindi ha sicuramente delle spese da sostenere, soprattutto considerando il fatto che lavora.
Ovviamente l’Avv. Napolitani si guarda bene dal ricordare come quegli uomini separati che passano gli alimenti all’ex-moglie, nel momento in cui si sono fatti una nuova famiglia e hanno avuto un altro figlio, al momento di chiedere una revisione dell’assegno di mantenimento, si sono visti opporre un netto rifiuto dai Tribunali. Un atteggiamento piuttosto discutibile, a mio avviso, visto che in qualunque famiglia unita, alla nascita di un secondo figlio, l’economia domestica viene ovviamente rivista per riequilibrare in modo equo il mantenimento di entrambi i bambini, mentre in una separata sembra che il secondo figlio debba essere considerato di serie B. C’è chi si è sentito rispondere dal giudice addirittura: «Guardi che il problema è suo: avendo già un figlio a carico non doveva farne un altro!»
Curioso come la stessa situazione venga interpretata in modo diametralmente opposto a seconda del genere del richiedente, con buona pace del terzo articolo della Costituzione che recita «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso…».
La richiesta ha sollevato non poche reazioni, accompagnate, a dire il vero, anche da un certo sdegno.
Ed ecco il primo vero attacco, duro, secco. La richiesta ha sollevato reazioni di sdegno! Reazioni di sdegno da parte di chi però, l’articolo non lo dice. Della suocera dell’uomo, dei vicini di casa, del giudice del Tribunale o dell’opinione pubblica italiana che ha bollato l’uomo come un profittatore e un aspirante mantenuto? E perché? Perché ha chiesto dei soldi all’ex-moglie? Perché magari è ricchissimo? O semplicemente perché è un uomo e una certa cultura, peraltro di chiara matrice maschilista, non ammette che un uomo si faccia mantenere da una donna? Restiamo col dubbio. Ma andiamo avanti, che abbiamo girato la boa.
Pochi giorni fa ho letto su un quotidiano un lungo articolo “Divorzi, gli alimenti ora li paga lei”, che, per l’appunto, registrava un’inversione di rotta: oggi gli ex mariti sempre più di frequente chiedono alla ex moglie di essere mantenuti, a seguito della rottura matrimoniale.
Beh, forse mi sono sbagliato. Dopotutto l’Avv. Napolitani non può essere una divorzista, perché sennò non avrebbe avuto bisogno di leggerla su un quotidiano questa tendenza: l’avrebbe potuta constatare di persona. Ma ragioniamo un po’: negli ultimi anni sempre più donne hanno avuto accesso al mondo del lavoro e visto che questo avviene ormai da parecchio, molte di loro hanno raggiunto posizioni di rilievo in vari campi e hanno quindi, giustamente, anche salari consistenti. Solo nella mia azienda ci sono moltissime dirigenti con ottimi stipendi e non sono poche quelle che hanno mariti che guadagnano di meno. Molte donne, in politica, si lamentano ancora di una certa discriminazione maschilista, ma in effetti è proprio il mondo della politica a essere rimasto indietro: quello imprenditoriale ha un esercito nutrito di donne in carriera come dimostra il Presidente della Confindustria Emma Marcegaglia.
Cosa c’è dunque di strano se il principio che prevede che se un coniuge guadagna più di un altro, al momento del divorzio, provveda a compensare la differenza con un assegno di mantenimento, venga applicato anche quando è il marito a guadagnare di meno? In fondo la giurisprudenza afferma che debba essere garantita la stessa qualità di vita che si aveva in regime di matrimonio e, per quanto tale affermazione abbia fondamenta logiche abbastanza deboli, come ho avuto più volte modo di dimostrare, non mi risulta essa sia fisiologicamente rivolta solo al caso che ad avere un imponibile inferiore sia il coniuge di sesso femminile. Quindi perché stupirsi di una tendenza che non fa altro che riflettere una diversa distribuzione delle entrate economiche di una famiglia moderna rispetto al passato?
Non dovrebbe esserci neanche bisogno di una richiesta esplicita da parte dell’uomo. Al momento di verificare le entrate di entrambi i coniugi, il giudice dovrebbe provvedere d’ufficio come spesso avviene per tradizione nel caso che a guadagnare di meno sia la donna, ovvero come è successo a una mia amica — una vera femminista, di quelle serie — che col giudice ha dovuto litigare per non avere un assegno che considerava comunque una dipendenza da colui dal quale invece voleva dissociarsi totalmente, anche sul piano economico. Tanto di cappello, detto fra noi. Ma l’articolo, così come pone la notizia, sembra quasi farne una questione di rivalsa sempre più diffusa da parte degli uomini nei confronti delle donne, alimentando quella dualità conflittuale maschio-femmina che fa tanto gioco a chi nel mondo del diritto di famiglia opera e con profitto.
Si grida allo scandalo? A ben riflettere, la richiesta di assegni più o meno congrui dovrebbe apparire sempre poco opportuna, fatta eccezione quando le donne si dedicano alla crescita dei figli e alla loro educazione, a detrimento del loro lavoro e della loro formazione professionale;
Un vero gioiello, questa affermazione. Da una parte si esprime un principio assolutamente condivisibile, ovvero che il divorzio dovrebbe restituire a ciascuno il diritto di cavarsela da solo, com’è giusto che sia per qualsiasi adulto e come di fatto è per i single che non hanno coniugi o ex-coniugi a facilitar loro la vita. Dall’altra si stabilisce subito un distinguo nei riguardi non di coloro che dei figli si devono occupare, ma delle donne, di loro e solamente loro, quando hanno figli, siano essi dell’ex-marito che, ovviamente, del nuovo compagno, richiudendo così abilmente un cerchio che sottilmente si era aperto qualche affermazione fa, in modo quasi candido e apparentemente senza doppi fini.
Che a ritrovarsi soli con i figli si trovino sempre di più molti uomini la cui ex-moglie è andata in cerca di ben più danarose prede come la crisi economica ha cominciato a colpire la famiglia, questo viene taciuto. Che molte donne separate si guardino bene dal permettere che i figli interferiscano con la loro carriera facendo ricadere su nonni e tate il compito di allevarli — stendo un velo pietoso sulla questione educazione — anche questo è taciuto. Così come si tace il fatto che comunque qui stiamo parlando di assegno all’ex-coniuge e non quello ai figli, sul mantenimento dei quali non si discute. D’altra parte la coppia da cui è stato originato l’articolo non aveva figli, alla separazione, e nulla fa pensare nell’articolo pubblicato da Epolis che il figlio nato dal nuovo compagno fosse già presente al momento della sentenza di separazione.
Mi piacerebbe sapere l’opinione dell’Avv. Napolitani riguardo la vicenda di un uomo che si era sempre occupato dei figli e della casa, per scelta, ovvero, aveva sempre lavorato come casalinga. La moglie era dirigente, stava quasi sempre fuori casa e il suo stipendio bastava a mantenere la famiglia. Quando la donna decise di separarsi e di mettersi con un altro uomo, tra l’altro anche lui messo abbastanza bene in termini economici, il nostro «casalingo» si è visto togliere la casa, i figli, e si è sentito pure dire dal giudice che era giusto così perché era un fallito non essendo mai stato capace di mantenere lui la sua famiglia. Curioso, no? La donna che si occupa della casa e dei figli è una brava madre, ma se lo fa l’uomo allora è un fallito, un parassita della società che è giusto punire ed emarginare. Ma forse sono andato troppo avanti, perché in effetti l’autrice dlel’articolo previene queste considerazioni relegando il caso in questione a un’eccezione. Infatti termina l’articolo affermando:
…ma gli uomini? Non mi è mai capitato di sentire che un marito ha preferito accompagnare i figli a scuola, far fare loro i compiti e cucinare, piuttosto che andare a lavorare. Per il resto non è assolutamente una questione di sesso: tutti, uomini e donne, dovrebbero imparare a non essere mantenuti.
Un vero peccato che tanta retorica sia stata rovinata da un uso grammaticalmente scorretto, o meglio, dal non utilizzo, del congiuntivo: «…che un marito abbia…», avrebbe dovuto essere. Perdonabile, comunque: ormai chi lo usa più il congiuntivo? Gli occhi sì, però, che dovrebbero essere usati, in quanto ho l’impressione che il nostro avvocato faccia piuttosto di rado la spesa al supermercato o si rechi ancor meno davanti alle scuole all’ingresso o all’uscita degli studenti, perché sono sempre di più i padri che si occupano dei loro figli. Certo, l’orario di lavoro lascia ben poche opportunità a entrambi i genitori, anche perché oggigiorno ben difficilmente una famiglia può vivere con un solo stipendio, ma di papà con i figli in giro ce ne sono tanti: ai giardinetti, a scuola, davanti alle palestre, per strada a spingere una carrozzina o un passeggino. Basta voler guardare.
Certo, sono meno delle donne, percentualmente ancora pochi, come poche tuttavia erano una volta le donne nel mondo del lavoro. Quest’ultime devono scusarci se siamo tanto tardi, ma molti di noi ancora non si sono resi conto di quello che il maschilismo ci ha negato in cambio di una presunta promessa di potere, e cioè la gioia di potersi occupare dell’unica cosa che davvero conta: i nostri figli. Ed è veramente una gioia, non paragonabile neppure all’innamorarsi di un’altra persona. Siamo stati stupidi, forse lo siamo ancora, ma stiamo imparando. Stiamo imparando che è arrivato il momento di rivendicare il nostro ruolo nella casa, come le donne hanno fatto nel mondo del lavoro; stiamo imparando che uomini e donne devono avere le stesse opportunità, ovunque, anche nelle aule dei Tribunali e sulle pagine dei giornali dove molti, troppi ancora, pensano che alle donne e solo ad esse debba essere attribuito il ruolo di educazione e cura della prole, in base a un mito scientificamente sfatato e che ricade sotto il nome di istinto materno.
Su una cosa sono tuttavia d’accordo con l’Avv. Napolitani, ovvero quando afferma che «la richiesta di assegni più o meno congrui dovrebbe apparire sempre poco opportuna», specialmente quando non sono coinvolti i figli, perché non ci sono o sono già adulti. Invito quindi l’avvocato e i suoi colleghi a fare di tale affermazione il loro cavallo di battaglia e a promuovere presso i Tribunali il principio che il divorzio rappresenta un momento di riapproprazione della propria indipendenza affettiva ed economica da un’altra persona, e quindi che nessuno, uomo o donna che sia, dovrebbe pretendere alcunché dall’altro al momento della separazione, anche perché entrambi, anche in regime di matrimonio, dovrebbero dimostrare di essere in grado di autosostenersi economicamente. Basta con le mantenute e i mantenuti: che tutti lavorino, e che chi decide di occuparsi della casa e dei figli, maschio o femmina poco importa, che se lo veda riconosciuto come pari a qualsiasi altro lavoro. Ma basta anche con le discriminazioni sessiste e con le sentenze a senso unico, che a parità di situazione ma a ruoli invertiti, non sanno garantire quell’equità e quell’onestà intellettuale che dovrebbe essere fondamento di un sistema giudiziario civile.
Una nota in chiusura. Se desiderate commentare questo mio articolo, potete farlo qui, sul blog. Se invece volete commentare le affermazioni del’Avv. Napolitani, vi suggerisco di contattarla direttamente dato che ha firmato il suo articolo su Epolis con nome, cognome e indirizzo di posta elettronica, ovvero:
Simona Napolitani
Avvocato in Roma
simonanapolitani@libero.itL’indirizzo qui riportato è quello pubblicato dallo stesso avvocato sul quotidiano e la sua pubblicazione non viola pertanto la legge sulla privacy.
Non credo infatti che l’avvocato in questione sia fra i miei più assidui lettori.
senza lavoro da due anni ho 48 anni con la crisi e' un'impresa neanche le agenzie interinali hanno piu' nulla di serio da proporre,mi sono adattato a qualsiasi lavoro ,ho due figli,mia moglie lavora e ha un stipendio medio di 1500 euro al mese.
Ora chiede la separazione (siamo in affitto) guarda caso propio nel maggior momento di mia difficolta',ho provato di tutto,non c'è stato nulla da fare.
MI E' ARRIVATA LA LETTERA DAL SUO AVVOCATO (IO NON POSSO PERMETTERMELO)
Dopo cio' che ho letto e' mia intenzione chiedere l'assegno di mantenimento finche' non trovo occupazione,da tenere presente che lei puo' anche contare sull'aiiuto dei sui,mentre io non ho nessuno.
VEDREMO come andra' a finire.
SALUTI