Come riportato da «La Stampa», i partiti che hanno superato la soglia del 4% e che quindi manderanno al Parlamento Europeo i loro rappresentanti, avranno diritto a un rimborso di 5 euro per ogni avente diritto al voto. Dato che gli aventi diritto al voto in queste elezioni sono stati 50.341.790, stiamo parlando di
251.708.950,00 euro.
Tuttavia il calcolo per la spartizione verrà fatto calcolando le percentuali rispetto alla somma dei voti espressi solamente per i cinque partiti che hanno superato la soglia, ovvero 26.391.247 voti, e non su tutti i voti espressi dagli elettori, ovvero 30.645.386. In pratica questo significa che quei cinque partiti riceveranno una fetta più grande rispetto alla percentuale effettiva ottenuta dall’elettorato e quindi prenderanno 5 euro non solo dai loro elettori, ma anche da quelli che hanno votato per i partiti che non ce l’hanno fatta.
Personalmente ritengo che sia già vergognoso che tale rimborso venga dato, ma soprattutto che venga dato in base a tutti gli aventi diritto al voto piuttosto che solo in base a chi abbia effettivamente votato, e soprattutto che la spartizione si basi su un calcolo che esclude i partiti che non ce l’hanno fatta a superare una certa soglia ma che comunque hanno ottenuto un certo numero di voti.
Per saperne di più sugli ex-finanziamenti pubblici e sugli attuali rimborsi elettorali vi consiglio la lettura dell’articolo «Una Repubblica fondata sul regime dei partiti». Ma anche senza entrare in merito delle ragioni per le quali tali rimborsi debbano essere erogati dallo Stato, ovvero da noi, vale la pena di evidenziare alcune profonde storture.
La prima riguarda il fatto che i rimborsi non hanno alcuna relazione con le spese realmente effettuate dai partiti per cui se, per assurdo, nelle prossime elezioni Europee un partito non facesse praticamente campagna elettorale, forte del fatto di avere comunque una base fedele, e contemporaneamente quasi nessuno andasse a votare, diciamo un’astensione all’80%, comunque la torta rimarrebbe la stessa, ovvero oltre 250 milioni di euro.
La seconda riguarda il fatto che l‘ammontare complessivo di tali rimborsi è calcolato appunto sulla base dell’elettorato potenziale e non di quello reale, per cui un elevato astensionismo, segnale di una profonda sfiducia dell’elettorato nei confronti della nostra classe politica, non avrebbe alcun riflesso sulle somme erogate dallo Stato a ogni singolo partito.
La terza riguarda il fatto che indipendentemente dall’aver ottenuto rappresentanti eletti, ogni partito ha avuto delle spese e i più piccoli, che spesso rappresentano minoranze, sono proprio i più penalizzati, mentre il principio del rimborso pubblico avrebbe più senso semmai proprio per loro. Aver ottenuto pochi voti non sempre vuol dire avere poco consenso. Un partito che è ad esempio focalizzato sull’inclusione dei disabili nella società probabilmente otterrà solo i voti dei disabili, delle loro famiglie e di pochi altri, ma all’interno di quella minoranza sarà un partito fondamentale e quindi andrebbe aiutato. I meccanismi che comportano l’assegnazione dei seggi seguono altre logiche che, discutibili o meno, non devono penalizzare i partiti sul piano economico portando alla sparizione dei più piccoli rispetto ai più grandi, che comunque hanno anche molte altre fonti di finanziamento. Questo è pericoloso per una democrazia, perché difficilmente un partito appena fondato potrà fare grandi numeri, esattamente come un esordiente in Formula Uno difficilmente vince il Campionato Mondiale, anche se a volte succede. Tuttavia quel partito, in un paio di elezioni, potrebbe acquisire consensi e diventare un’alternativa valida se gli si desse modo di crescere. Se invece si taglia le gambe subito alle nuove iniziative, si rischia di degenerare rapidamente in un’oligarchia.
Quello che propongo, quindi, volendo mantenere il principio dei rimborsi, è la seguente cosa:
- calcolare l’ammontare totale dei rimborsi in base ai voti espressi e non agli aventi diritto, in modo da spingere i partiti a darsi davvero da fare per raccogliere consensi, ovvero proporre programmi che interessino davvero l’elettorato e lo convincano che vale la pena di votare;
- calcolare le percentuali in base ai voti ottenuti rispetto a quelli espressi, ma far sì che esse rappresentino un limite massimo, ovvero rimborsare solo le spese veramente effettuate e dimostrate con giustificativi, in modo da motivare i partiti a pensarci bene prima di sprecare i nostri soldi, ovvero a spendere in base a quello che prevederanno essere il reale consenso che potrebbero ottenere, così da ragionare in modo conservativo;
- rimborsare tutti i partiti in base ai due punti precedenti, anche se non hanno ottenuto che i loro candidati siano stati eletti, in modo da garantire le nuove entrate e le minoranze, ovvero quelli che potrebbero un giorno rappresentare una vera alternativa e quelli che sono spesso i più discriminati.
Cambiamo così la legge sui rimborsi e forse sarà più accettabile a quegli italiani che al contrario combattono ogni giorno con le spese in una situazione che rende difficile ormai a quasi tutti di arrivare alla fine del mese.
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