Il manifesto della Realtà Totale
Spesso, nei romanzi di fantascienza, astronavi futuristiche e intrepidi pionieri spaziali attraversano invisibili brecce nel continuum spazio temporale per varcare distanze interstellari in tempi rapidissimi, aggirando così il limite della velocità della luce. Che si chiamino stargate o wormhole, che si parli di iperspazio, di quinta dimensione o di velocità warp, il succo è sempre lo stesso: una scorciatoia verso altri mondi.
Oggi questa scorciatoia esiste e ci porta davvero in un mondo molto diverso da quello al quale siamo abituati: questa scorciatoia si chiama browser e il mondo in cui ci permette di entrare prende il nome di World Wide Web. Inteso inizialmente come un semplice modo per condividere e collegare fra loro documenti, prevalentemente legati alla ricerca scientifica, oggi il web si è evoluto al punto di arricchirsi di veri e propri universi paralleli come i mondi virtuali e le reti sociali.
Due mondi separati
Si dice che Facebook sia una delle nazioni più grandi al mondo e che Second Life e gli altri mondi virtuali siano vere e proprie realtà parallele nelle quali le regole sociali tradizionali sembrano non valere più e ognuno si esprime in modi completamente diversi da quelli a cui è abituato nel mondo reale. Vero o meno che sia, è in un certo senso un mondo alieno ma anche terribilmente umano e sebbene spesso il mondo reale venga visto in antitesi a quello virtuale, quasi che il primo sia fatto di cose concrete e il secondo no, chi questi mondi li visita di frequente sa che non c’è proprio nulla di virtuale nei molteplici mondi digitali.
Non sono infatti virtuali i contenuti, perché rispecchiano i pensieri di chi li ha scritti se parliamo di testi e articoli, perché mostrano eventi reali e situazioni effettivamente accadute se sono foto, perché raccontano storie di persone e cose se parliamo di video, perché suscitano sensazioni e sentimenti se a essere condivisi sono musiche, disegni, poesie o altre forme d’arte. Né sono virtuali gli oggetti che ci permettono di accedervi, che siano computer sofisticati o piccolissimi cellulari, ma soprattutto non sono virtuali perché sono reali sia le persone che hanno generato questi contenuti, sia le motivazioni che hanno portato a crearli.
La rete è forse in effetti una delle più impressionanti realtà della nostra epoca e il fatto che noi non la si possa toccare direttamente, che non si sia ancora capaci di attraversare lo specchio come Alice, non vuol dire che essa non sia assolutamente reale. In effetti essa è tanto reale che eserciti di filosofi, sociologi, antropologi e psicologi la studiano da anni e scavano al suo interno per capire come essa stia influenzando gli individui, le sottoculture e le società e come a sua volta da questi si faccia influenzare.
Eppure questa meravigliosa realtà capace di farci camminare per le strade di Nuova Delhi senza spostarci da casa, di entrare in un museo di una città per poi attraversare una porta e ritrovarci in una pinacoteca di un’altra città, di viaggiare nello spazio fra i pianeti del sistema solare e allo stesso tempo condividere in rete questa esperienza con un amico mai visto di Buenos Aires e un altro conosciuto anni prima durante una vacanza a Tokio e poi ritrovato in rete, rimane inesorabilmente al di là della nostra esperienza sensoriale diretta, come quando si osservano i delfini giocare o si può udire il canto delle balene in alto mare, ma si è sempre e comunque dolorosamente consapevoli di non appartenere davvero al loro mondo.
Al contrario il mondo reale è fastidiosamente ancorato alla fisica e alla gravità: raramente basta un clic per risolvere un problema e anche il veicolo più sofisticato richiede ben più che premere qualche pulsante per essere guidato. La realtà è faticosa, ci costringe a spostarci, ci dà poca informazione e non riusciamo mai ad avere sottomano quello che ci serve. La realtà è lenta e non ci permette di teletrasportarci rapidamente da un posto all’altro, di analizzare le stesse informazioni sotto svariati punti di vista, di collegare in pochi secondi dati, informazioni e concetti provenienti da fonti estremamente diverse.
In pratica siamo di fronte a due mondi separati, in una esperienza schizofrenica di utilizzo nella quale viviamo vite altrettanto separate. Eppure questi due mondi sono legati sempre di più e sempre di più sentiamo il bisogno di poter tenere un piede in ognuno di essi in qualsiasi momento. Lo sviluppo di cellulari sempre più sofisticati, di netbook e ultrabook, di tavolette di ogni genere e forma fa sì che ormai ci portiamo dietro la rete ovunque andiamo, anche se il vero e proprio salto di qualità ci potrà essere solamente quando almeno tutti i centri urbani saranno provvisti di rete senza fili gratuita in modo da permetterci di restare sempre connessi.
Sempre connessi
È dunque questo lo scenario che ci aspetta in un futuro prossimo, questo essere sempre connessi e allo stesso tempo separati da una sottile lastra di vetro da quel meraviglioso mondo senza apparenti confini, o c’è di più? In effetti questo portarsi dietro la rete, questo essere sempre collegati agli amici, ai dati personali, questo continuo scambiare, mandare, ricevere e condividere, è solo la punta di un iceberg che non si è ancora rivelato ai più. Il futuro ci sta preparando altre sorprese, sorprese che fino a pochi anni fa potevamo solo vedere in qualche film di fantascienza, proprio come l’iPad ricorda molto quelle futuristiche periferiche che i membri dell’equipaggio dell’Enterprise si portavano sempre dietro nei tanti episodi della saga di Star Trek.
La tecnologia in effetti c’è già e l’innovazione non è tanto nello svilupparne di nuova ma nell’integrare tanti piccoli pezzi in un unico mosaico coerente. Così come un’orchestra non è una semplice somma di strumenti ma essa stessa un nuovo meraviglioso strumento, altrettanto tutti questi pezzetti, combinati assieme, assumono una nuova identità, una nuova dimensione che ci permetterà di superare l’attuale barriera fra i due mondi e varcare così finalmente lo specchio.
Ho chiamato questo scenario Total Reality, ovvero realtà totale, perché è quello che in effetti sarà: un’esperienza unica e continuativa di quanto entrambi i mondi, quello reale e quello virtuale, possono fornirci, in un sovrapporsi non solo di sensazioni capaci di stimolare tutti i sensi, ma di azioni, di eventi, comunicazioni, attraverso una rete che vedrà capaci di interagire se non addirittura connessi anche gli oggetti più semplici, siano essi reali o virtuali.
L’idea di base è quella da una parte di trasformare la realtà così come la conosciamo in un’unica immensa interfaccia verso il mondo virtuale, dall’altra di usare quest’ultimo come un iperspazio in grado di connettere istantaneamente (o quasi) fra loro qualsiasi elemento del mondo reale, sia esso umano o inanimato. Alla fine la rete non sarà più solo un sistema tecnologico ma acquisirà le caratteristiche di uno biologico e non solo perché vedrà integrati nel sistema stesso ogni singolo individuo, ma anche perché ogni oggetto avrà potenzialmente un certo livello di "intelligenza", una certa capacità di interagire e persino di prendere decisioni autonome.
Una questione di sensi
Ma quali caratteristiche dovranno avere gli oggetti per poter far parte di questa nuova realtà totale e come interagiremo con essi? Consideriamo prima questo secondo punto. L’idea di base è quella di mantenere il più naturale possibile l’interazione con gli oggetti partendo da quello che già oggi è il nostro modo di utilizzarli: su una sedia ci si siede, una porta o una finestra si apre o si chiude, un quadro si osserva, libro si legge. Tutto ciò non cambierà ma acquisirà anche un altro significato.
Quando ci siederemo o entreremo in una stanza aprendo una porta, questi oggetti ci riconosceranno e sapendo quali siano le nostre esigenze manderanno dei segnali in rete che modificheranno alcuni dati. Questi cambiamenti saranno recepiti da altri oggetti che a loro volta modificheranno il loro stato in base a queste informazioni.
Oggi, se entriamo in una stanza dotata di sensore di movimento possiamo far sì che la luce si accenda. Domani l’intensità luminosa o quali luci si devono accendere e quali no, dipenderanno dal fatto che la stanza sa chi vi sia entrato e adatterà determinate scelte all’individuo specifico e a quelli che sono i suoi desiderata. Ad esempio, se quella certa persona è fotofobica, l’intensità della luce sarà comunque mantenuta bassa.
Perché questo avvenga, è necessario che ogni oggetto abbia una certa intelligenza, sia dotato di strumenti di controllo per poterlo gestire, sia connesso alla rete e quindi di fatto a qualsiasi altro oggetto a sua volta connesso, e soprattutto sia dotato di un certo numero di sensori. Quest’ultimo punto è particolarmente importante nell’interazione con altri oggetti e soprattutto con gli esseri umani, perché l’intelligenza senza sensi è di ben scarsa utilità.
Un computer fa quello che gli diciamo e lo fa indipendentemente da chi glielo dice. Non prende l’iniziativa perché non è cosciente dell’ambiente in cui si trova. Non è così con un essere umano. Una persona adatta le proprie decisioni alla situazione in cui si trova e per farlo utilizza i sensi. Pensate a un televisore che, acceso da un bambino decida in autonomia quali programmi siano adatti a un minore e quali no. Certo, bisogna sempre lasciare la possibilità al genitore di modificare questa scelta, ma partire da una posizione protettiva nei confronti del minore è una scelta ragionevole. Per farlo, tuttavia, non solo il televisore deve avere una logica e delle regole, ma deve anche essere in grado di riconoscere chi ha di fronte.
Non stiamo tuttavia parlando di trasformare in robot sofisticati tutti i nostri elettrodomestici. La natura ci insegna che spesso si possono ottenere dei risultati eccellenti con approcci sorprendentemente semplici. Ad esempio, gli insetti, per coordinare i movimenti delle zampe su terreni di varia natura non utilizzano complesse funzioni localizzate nel cervello ma sensori e meccanismi di reazione localizzati nelle stesse zampe. Questi meccanismi sono così efficienti che l’insetto è in grado di muoversi anche se il cervello è danneggiato. In pratica, il coordinamento fra le varie zampe non è gestito centralmente ma localmente. Questi sistemi sono così efficienti che gli scienziati li stanno replicando in robot dotati di zampe il cui scopo è esplorare altre lune e pianeti troppo distanti perché si possa fare affidamento sulla guida remota da Terra da parte di un operatore.
Altri meccanismi molto efficaci sono quelli che permettono il coordinamento degli storni all’interno di uno stormo o dei banchi di sardine. In tutti questi casi non è un complesso elaboratore centrale a gestirne il movimento, ma una serie di semplici ma efficaci meccanismi locali. Lo stesso possiamo pensare per la nostra realtà totale. Ogni oggetto può essere dotato di semplici regole, un’intelligenza minimale e uno o due sensori. Non sarò tanto l’interazione con il singolo oggetto a contare quanto la sequenza di interazioni all’interno di un ambiente. Quindi, entrando in una stanza e sedendomi sul divano, prima si accenderanno le luci per permettermi di muovermi nell’ambiente senza problemi, poi si abbasseranno le luci e si accenderà il televisore, e tutto ciò non sarà il risultato di una regola fissa ma di un comportamento acquisito che sarà valido per me, dato che il sistema sa che a quell’ora guardo il telegiornale, ma non per un altro membro della famiglia che in un altro momento si siede di solito a leggere un libro.
L’interazione quindi non sarà solo fra esseri umani e oggetti, ma anche fra gli oggetti stessi. In pratica, immaginate la rete come la conoscete oggi, rimuovete tutte le periferiche che siamo abituati ad utilizzare, computer, tavolette e persino cellulari, e lasciate solo una realtà fatta di oggetti quotidiani tutti collegati fra loro in rete. Ogni interazione con un oggetto modificherà alcuni dati in rete, ogni modifica di dati in rete cambierà lo stato o il comportamento di un oggetto, tutto basato su regole semplicissime a livello di singolo oggetto ma che nella complessità del sistema porteranno a evoluzioni estremamente sofisticate.
Chi studia i frattali o la teoria del caos sa bene come regole semplici possono dar luogo a comportamenti complessi. Chi si ricorda di quel semplice giochino chiamato LIFE? Poche regole potevano dar vita a strutture molto articolate simulando lo sviluppo della vita generazione dopo generazione. L’idea di base è la stessa.
La tecnologia ha cambiato profondamente il nostro modo di interagire con la realtà. Oggi, quando utilizziamo il termine “scrivere”, pensiamo più facilmente a una tastiera che a una penna, eppure l’uomo ha usato lo stilo per millenni ed è solo da qualche decennio che le tastiere sono utilizzate dalla gente comune piuttosto che da specialisti dattilografi.
È arrivato quindi il momento che non sia più l’uomo a doversi adattare al modo con il quale le macchine sono in grado di interagire, ma che siano queste ultime ad imparare il modo con il quale noi interagiamo, ovvero i gesti, la voce, il toccare o lo spostare, persino l’espressione facciale o il tono della voce. Oggi gli algoritmi per il riconoscimento biometrico o per quello della voce sono notevolmente migliorati e possono essere integrati anche in dispositivi di piccole dimensioni. Inoltre sono migliorati anche quelli per la trascrizione del parlato e la traduzione automatica, anche se sono ancora alquanto primitivi e fallaci. È solo questione di tempo tuttavia che si arrivi a poter parlare in una lingua ed avere un dispositivo che traduca in tempo reale in un’altra per poter comunicare anche faccia a faccia con persone di altri Paesi.
Forse l’ostacolo maggiore resta quello energetico. Le attuali pile vanno spesso ricaricate e rendere gli oggetti autosufficienti sul piano energetico non è affatto banale. D’altra parte è impensabile doversi preoccupare di ricaricare le decine se non centinaia di oggetti con i quali interagiamo ogni giorno. Anche qui possiamo imparare dalla natura, sia sul piano della produzione di energia, come nel caso delle foglie artificiali per la fotosintesi, sia su quello del risparmio energetico, materia nella quale la Natura è maestra. Ad esempio, già oggi ci sono orologi da polso che si ricaricano con il movimento. Lo stesso corpo umano potrebbe permettere la ricarica di oggetti che dovessimo portare addosso.
Qualche esempio concreto
Detto questo, quali potrebbero essere alcuni scenari realistici di utilizzo della realtà totale in un futuro prossimo venturo? Facciamo qualche esempio…
Supponiamo che mi senta male e che l’orologio che ho al polso se ne accorga: probabile infarto in arrivo. Il dispositivo mi avverte, ma sono già a terra e non posso dare conferma. L’orologio avverte il peggioramento e si accorge del fatto che sono caduto, quindi chiama immediatamente un’ambulanza alla quale vengono spediti i dati del localizzatore GPS integrato che è stato attivato dall’emergenza, dato che era in modalità "privacy".
Il centro per le emergenze mediche riceve la richiesta e identifica l’ambulanza disponibile più vicina, il tutto limitando al massimo l’intervento umano. L’ambulanza riceve a sua volta la richiesta e calcola il percorso più breve per arrivare dove mi trovo in questo momento e informa direttamente il centro di controllo del traffico il quale propone una variante a causa di una serie di lavori in corso lungo il tragitto. A questo punto l’ambulanza accetta e richiede di avere "onda verde" lungo il percorso in questione.
Il centro di controllo del traffico calcola la velocità media dell’ambulanza e predispone la temporizzazione dei semafori nel modo opportuno, compatibilmente con altre esigenze: terrà comunque sotto controllo il veicolo pronto a proporre alternative o a modificare le impostazioni per garantire comunque un rapido arrivo. Da notare che tutto questo avviene senza l’intervento di alcun essere umano.
Ovviamente nel frattempo il mio cellulare attiva l’altoparlante in modo autonomo e mi tranquillizza che l’ambulanza è in arrivo tramite la sintesi vocale. Inutile dire che anche l’orologio e il cellulare sono connessi fra loro, così come l’ambulanza e l’ospedale, il quale ha già ricevuto dall’orologio i primi dati relativi al mio battito cardiaco e alla pressione arteriosa. Quando arrivano i paramedici, l’ambulanza invia automaticamente un segnale al mio smartphone che a questo punto apre la porta di casa dato che anche la serratura è ovviamente collegata alla rete. Così la perfetta integrazione in rete di questa catena di dispositivi, sia all’interno della casa che nell’ambiente circostante, permette di fornire assistenza medica in modo più veloce ed efficiente.
Uno scenario del genere non è fantascienza: è già possibile oggi e in effetti le singole tecnologie esistono davvero e in parte vengono già utilizzate. Quello che manca è l’integrazione dei vari pezzi in un unico sistema che non sia specializzato per il problema in questione ma comprenda componenti di ogni tipo atte a rispondere a qualsiasi esigenza. Quello stesso orologio, cellulare, ambulanza, ospedale, centro emergenze e del traffico, infatti, fanno ognuno parte separatamente di altre decine di scenari non inerenti a quello appena visto. Da una parte, quindi, la rete vede al suo interno non più solo elaboratori generici e nodi intelligenti, ma periferiche specializzate atte a fornire, ricevere ed elaborare solo alcune tipologie di dati, dall’altra quelle stesse periferiche possono essere usate in modi a volte estremamente diversi in scenari del tutto indipendenti.
Qualche altro esempio?
Mi fermo davanti a una vetrina di un negozio. Quella camicia è davvero bella e anche i pantaloni abbinati che indossa il manichino sono niente male. Il prezzo poi è allettante. Decido di entrare. Non è la prima volta che faccio acquisti in questo negozio e vengo immediatamente riconosciuto dai sensori biometrici, dato che ho dato l’autorizzazione alla mia identificazione. Il negozio mi associa immediatamente con il profilo che tengo aggiornato in rete e un commesso mi si avvicina informandomi che hanno la cintura che avevo cercato senza successo una settimana prima in un altro negozio della stessa catena. Mi interessa ancora? Rispondo di no, che ho già risolto altrimenti, ma che mi piacerebbe vedere il capo in vetrina.
Il commesso mi porta la camicia e i pantaloni, mi indica il camerino e si allontana. Indosso il completo, esco dal camerino e mi guardo allo specchio. Non male, ma se volessi cambiare il colore della camicia? Non mi va di tornare in camerino e spogliarmi per provare un’altra camicia, per cui decido di farlo virtualmente. Vediamo quali colori sono disponibili. Faccio un gesto e in alto a destra, sullo specchio, compare un menù. Sussurro "colori", tanto lo specchio mi può sentire perfettamente grazie a un microfono direzionale, in modo da non disturbare altri clienti. Immediatamente compare sul bordo destro dello specchio una lista di colori. Sposto la mano a selezionarne uno. La tengo sul colore per un paio di secondi ed ecco che la camicia cambia colore, ovviamente solo nello specchio. Attivo con un gesto la registrazione, mi giro, mi metto di lato e poi chiedo di rivedere il filmato: non male.
Mentre sto per scegliere un secondo colore, lo specchio, tramite un altoparlante a cono che permette solo a me di sentire quello che dice senza disturbare gli altri clienti, mi propone una cravatta di seta da abbinare alla camicia. Accetto e quella mi compare immediatamente al collo. No, meglio senza, e poi non ho una grande passione per le cravatte. Piuttosto… le cinture? Vado avanti così per una decina di minuti, poi, scelto il completo definitivo, mi faccio un ulteriore filmato nel quale ruoto su me stesso per vedermi davanti e dietro e quando sono soddisfatto chiedo di mandare il tutto sul mio cellulare, così lo posso condividere in rete.
«Che ve ne pare, ragazzi?» chiedo su Facebook. Qualche minuto dopo, mentre do un’occhiata al reparto dell’intimo maschile, mi arrivano alcuni commenti. A quanto pare la mia scelta è piaciuta. Mi collego con un’applicazione che ho scaricato tempo fa alla cassa del negozio e le mando il codice del completo che mi è arrivato assieme al video. Il mio profilo contiene già i dati della mia carta di credito e, ovviamente, il mio indirizzo di casa. Mi viene chiesta conferma via cellulare al pagamento e per il recapito: do l’ok per entrambi e me ne vado, senza dover fare la fila alla cassa. Al più domani il completo mi sarà recapitato a casa senza spese aggiuntive. Dopotutto sono un cliente premium e questo è uno dei benefit, almeno finché compro nella mia città: niente spese di spedizione. Che bello fare commercio elettronico in un negozio reale!
Ovviamente uno dei pilastri della realtà totale è la realtà aumentata. È come se in parallelo a questo mondo ce ne fosse un altro, perfettamente sovrapposto ma del tutto invisibile a meno di non usare una bacchetta magica che ne evidenzi i contenuti. Può essere un cellulare dotato di videocamera, un paio di appositi occhiali oppure un vetro posto all’interno di un locale, in genere trasparente ma tale che, se attivato, mostri un mondo altrimenti impercettibile sovrapporsi a quello reale. Le applicazioni sono praticamente infinite. Anche qui, poter ridurre la necessità di utilizzare periferiche personali integrando ciò che serve nell’ambiente in modo naturale è ciò che fa la differenza.
Qualche esempio?
Sono in autostrada, sono quattro ore che guido e ovviamente sono anche piuttosto stanco, così finisco per avvicinarmi troppo all’auto che mi procede. Subito, oltre a una voce che mi avverte che sono al di sotto della distanza di sicurezza consigliata, sul parabrezza anteriore l’immagine del SUV al quale mi sono avvicinato troppo inizia a risplendere di un leggero alone giallo che presto passa all’arancione, perché non ho reagito con prontezza. Rallento: l’alone torna giallo, poi verde, poi scompare. Se mi fossi avvicinato troppo sarebbe diventato di un bel rosso acceso e una voce dal tono deciso mi avrebbe intimato di rallentare immediatamente; su certe cose meglio non scherzare.
Mi rendo conto che non è il caso di continuare a guidare e decido quindi di fermarmi. Esco al casello successivo e parcheggio in un grazioso paesino dell’entroterra toscano. A quanto pare c’è una mostra di arte moderna. Il ristorante che mi ha segnalato il navigatore è ancora chiuso, per cui perché non approfittarne per visitarla? All’interno dei locali ci sono molti quadri e varie sculture, ma non conosco la maggior parte degli autori. Noto tuttavia che accanto alle opere non ci sono né nomi né titoli o descrizioni, ma solo dei quadratini bianchi con sopra dei buffi geroglifici neri.
Il cellulare emette un bip: è un messaggio della mostra, che mi chiede se voglio scaricare la guida gratuita. Accetto: pochi secondi ed è installata. Compare un messaggio di benvenuto che mi dice di attivare la videocamera del telefonino stesso e di puntarla sui vari quadratini. Lo faccio: mi avvicino a un dipinto, lo inquadro nella telecamera e subito il quadratino viene riconosciuto: prima viene circondato da un contorno blu, poi il quadro si anima e una serie di testi e immagini iniziano ad apparire nell’aria. Il nome e la foto dell’autore, il titolo del quadro, quando fu dipinto e cosa rappresenta, filmati di repertorio della campagna dove fu realizzato… Un’opera alla volta l’intera mostra si anima, mi parla, mi mostra altre immagini, mi racconta cento storie. Esco contento: è stata una buona idea fermarsi lì prima di cenare.
I codici QR sono ormai una realtà ma presto non saranno più necessari. I dispositivi saranno in grado di riconoscere direttamente l’oggetto, come il quadro nell’esempio precedente, e di fornire le informazioni richieste. Non solo: queste saranno diverse a seconda del profilo personale. A qualcuno potrà interessare di più la tecnica pittorica, ad altri la storia del dipinto, ad altri ancora eventuali informazioni sul soggetto ritratto.
Socializzazione
Abbiamo visto diversi scenari: in alcuni le persone interagiscono direttamente con oggetti intelligenti, in altri gli oggetti comunicano con persone o fra loro, ma… la comunicazione fra gli esseri umani come viene impattata da queste tecnologie? Non sto parlando di VoIP o di Skype: per quanto utili quei sistemi non sono concettualmente diversi da un telefono o un piccione viaggiatore. Parlo di valore aggiunto, di innovazione. Vediamo qualche altro scenario.
Arrivo a Firenze e decido di recarmi presso l’università dove da giovane avevo frequentato la Facoltà di Fisica. Ormai ho perso i contatti con tutti i miei vecchi amici, anche se un paio li ho ritrovati su Facebook. Di uno ho anche il numero di cellulare, ma non l’ho mai chiamato: è diventato un ricercatore ed è quasi sempre in Cile presso l’osservatorio astronomico. Ma il mio cellulare lo conosce e ha molta più pazienza di me: ci mette un attimo a realizzare che il fedele compagno elettronico del mio amico, un altro cellulare, è a Firenze proprio quel giorno, e così mi avvisa. È in città… in Piazza San Marco!
Sono 10 anni che non ci vediamo! Semplice coincidenza? Forse, ma se il caso ci dà un’opportunità, bisogna anche essere pronti a coglierla e se non fosse stato per i nostri cellulari forse non ci saremmo mai riusciti. Un colpo di telefono ed è fatta. Ci vediamo in centro fra un’oretta per prenderci un gelato e parlare dei tempi passati e, magari, un pochino anche di quelli futuri. Certo, la privacy è importante, ma se non stai facendo nulla che ti interessa tenere riservato, perché non farsi trovare? La vita è fatta di relazioni, ma per relazionarsi bisogna essere disponibili ad aprirsi, almeno un po’.
Questi sono solo alcuni esempi, ma non ho dubbi che il futuro ci proporrà scenari al momento impensabili eppure già realizzabili con le tecnologie attuali. Questa è la Realtà Totale: mondo reale e mondo virtuale sovrapposti, mescolati, in un modo che diventerà sempre più difficile districarli, distinguerli. Poter comunicare, toccare, provare ogni cosa in ogni momento al punto da non sapere più dove sia o di chi sia. In fondo quando navighiamo in rete, ignoriamo se un certo articolo in inglese non sia stato magari scritto da un italiano su un blog australiano ospitato da un server giapponese di una società russa. Importa davvero saperlo?
Un mondo senza confini, non piatto, come alcuni dicono, ma stratificato, interconnesso, intricato e allo stesso tempo fruibile, fluido, flessibile. Un mondo globale e locale, dove gli elementi comuni facilitano l’accesso alla diversità in una glocalizzazione capaci di integrare culture e idee di altri Paesi senza togliere loro la ricchezza data dalla diversità. In Natura la vera ricchezza è infatti la biodiversità, nella società invece pensiamo che uniformare e standardizzare sia un valore. Questo sicuramente è vero a livello infrastrutturale, ma sul piano applicativo e semantico è la diversità il vero valore.
Confrontarci col diverso stimola la nostra mente, ci permette di sviluppare nuovi concetti che altri possono a loro volta prendere e rielaborare in un processo non governato ma non per questo meno efficiente ed efficace. La vera avventura è nell’imprevisto, la vera innovazione nella scoperta, e la vera scoperta non è quella che pianifichiamo ma quella che ci sorprende, quella che non ci aspettiamo.
Un mondo fatto di oggetti e persone, reali e virtuali, di nomi e alias, e di tanti ma tanti contenuti di ogni genere, che si sovrappongono e si legano in schemi complessi indipendentemente da dove siano stati generati e da chi li abbia creati. Un mondo del genere avrà un impatto terrificante su paradigmi consolidati da secoli: sulle leggi, sulla giurisprudenza, sul concetto stesso di proprietà o di diritti, generando geografie trasversali a quella tradizionale, storie parallele a quella ufficiale, annullando tempo e spazio e ponendosi come una nuova dimensione in cui non solo navigare, ma vivere davvero un’esperienza quotidiana senza precedenti, in cui ognuno è in qualche modo artefice e creatore, senza più limiti o confini.
Ad esempio, oggi siamo abituati a vederci come cittadini di una specifica nazione; in futuro ci considereremo parte di comunità più ampie che non ragionano più in termini di appartenenza a un territorio ma di condivisione di valori: in pratica, tutti coloro che crederanno in certi valori si considereranno cittadini di una sorta di “supernazione”.
Troppo visionario? Ne parliamo fra cinque o sei anni…
cinque sei anni forse son pochi… la tecnologia è pronta, non la burocrazia o le infrastrutture…
E tutto sommato, non so se mi piacerebbe essere trovato così facilmente… e l'ambulanza finirebbe la benzina che il pirla di turno s'è scordato di mettere nonostante il sistema lo abbia più volte avvisato con palle lampeggianti rosse e fucsia.
V
Oh, beh, suppongo che non ci sia realtà totale che possa mettere una pezza alla stupidità umana, quando questa ci si mette di mezzo, ma nessuno si sta vendendo tutto ciò come una panacea. Tuttavia la tecnologia può essere davvero un modo per renderci più semplice la vita, finché siamo noi a controllarla. Pensate quanto era difficile una volta telefonare per avvisare casa di un ritardo o di un incidente quando eri per strada: prima dovevi cercare una cabina telefonica, poi sperare che avesse ancora la cornetta attaccata al filo (il vandalismo in certi quartieri era d'obbligo), poi sperare che funzionasse e poi… acc… ma dove diavolo ho messo il gettone???