La consapevolezza del fare


Quanto è complicato realizzare un coltello partendo da zero, ovvero a partire dalle materie prime? C’è una bella trasmissione in televisione che si chiama “Fuoco di Spade” che mostra dei concorrenti impegnati nella riproduzione di armi bianche di vario tipo, per lo più antiche. Ci mettono ore, per alcune giorni, e sono quelli bravi, quelli che magari lo fanno da anni. Noi comuni mortali, partendo da zero, dovendo cioè imparare ogni cosa dall’inizio, ci metteremmo mesi a fare solo una lama decente.

Perché vi ho detto questo? Perché vorrei condividere con voi la consapevolezza di quanto possa essere difficile fare anche gli oggetti più semplici, quelli di cui siete circondati e che costano anche solo pochi euro. Voi vedete il prodotto finale, ma dietro a ogni oggetto c’è una catena di montaggio fatta di competenze e macchine, macchine che a loro volta sono composte di pezzi fatte da altre catene di montaggio e così via. Alla fonte c’è l’estrazione delle materie prime, la loro lavorazione, il raffinamento, per poi arrivare alla sintesi di nuove sostanze: plastiche, leghe, compositi.

Tutto ciò richiede molte competenze, materiali, soldi, forza lavoro, spesso specializzata e, ovviamente, tempo. E stiamo parlando di oggetti semplici, perché già costruire un’auto è più complesso, un aereo immensamente di più. Eppure ne facciamo tanti e funzionano, perché la domanda è elevata, le competenze si sono diffuse, e le università sfornano in continuazione ingegneri, chimici e fisici, solo per nominarne alcune.

E un missile? Quanto è complicato fare un vettore che dovrebbe portare in orbita un satellite? Penso che adesso possiate farvene un’idea, o forse no. Forse neppure quanto ho detto finora è sufficiente. Forse solo provandoci capireste. Perché, vedete, ogni tanto sento discorsi del tipo: Ma come è possibile che tanti missili esplodano durante i collaudi se siamo effettivamente andati sulla Luna? Allora non è vero!

Chiaramente chi dice una cosa del genere non è un ingegnere, o quantomeno non è un ingegnere aerospaziale. Magari ha preso la laurea per corrispondenza o se l’è cavata col “30 politico” o il “voto di gruppo”, perché se avesse davvero studiato non farebbe affermazioni di questo tipo.

Il punto è che costruire e lanciare in piena sicurezza un razzo vettore è tutt’altro che semplice. Richiede una marea di competenze di ogni tipo: ingegneristiche, strutturali, elettronica, idraulica, aerodinamica, programmazione, e molte altre che neppure io le saprei nominare tutte. Certo, è stato fatto, ma da chi? Da Paesi come gli Stati Uniti e l’URSS che durante la Guerra Fredda gareggiavano a chi “andava più in alto”, spesso senza alcuna remora a mettere a rischio la vita degli astronauti. La Patria innanzi tutto! E questo voleva dire spendere tanti soldi e mettere al lavoro le menti migliori possibili.

Così sulla Luna ci siamo andati davvero, con tecnologie che oggi sembrano ridicole persino rispetto a quelle montate su una semplice automobile moderna e con elaboratori al confronto dei quali un nostro cellulare è roba da Star Trek. Eppure ci siamo riusciti. È costato una marea di soldi e soprattutto tante vite umane, perché poi, di quelle, ce ne siamo dimenticati. E non parlo neppure degli astronauti russi morti in orbita e dei quali solo ora veniamo a sapere qualcosa, ma anche di quelli americani, perché non si moriva solo durante i lanci ufficiali, ma più spesso durante i collaudi, quando si montavano determinati motori su aerei che dell’aereo avevano solo il nome, essendo di fatto dei veri e propri missili, e ogni tanto un collaudatore ci lasciava al pelle. Non erano neppure astronauti: solo piloti, per lo più militari, dei quali nessuno oggi si ricorda. Che poi, se vi chiedessi chi sia stato il terzo uomo a mettere piede sulla Luna, mi sa che pochi saprebbero rispondere. Figuriamoci coloro che neppure ci sono arrivati ma sono rimasti in orbita!

Ma torniamo al nostro missile. Perché oggi è così difficile per molte aziende private riprodurre quella tecnologia? Tanto per cominciare perché a conoscerla sono in pochi e la maggior parte lavora per un’agenzia spaziale nazionale, quindi non è molto verosimile che queste agenzie siano così propense ad aiutare aziende private che si stanno lanciando nel settore, visto che domani finirenbbero per fargli concorrenza. Certo, queste possono anche strappare qualche ricercatore a un’agenzia spaziale nazionale con uno stipendio due o tre volte superiore, ma non ne basta una manciata per risolvere il problema. Come ho detto prima, sono tantissime le discipline che concorrono alla costruzione di un razzo vettore e ognuna è critica per il suo funzionamento. Nella maggior parte dei casi bisogna ripartire da zero, anche perché molti degli scienziati originali che hanno fatto la storia dell’astronautica oggi non ci sono più e comunque le tecnologie e i materiali sono cambiati. Insomma, può non piacere, ma bisogna reinventare la ruota.

Ci sono poi altri due fattori: costi e sicurezza. In termini di costi, un’agenzia spaziale privata non può permettersi di buttare i soldi, neppure quelle più ricche, fosse solo perché più si spende su un singolo progetto e meno ce ne saranno per il successivo. Inoltre oggi non possiamo più accettare le perdite di vite umane che si accettavano duirante la Guerra Fredda. Non si chiamava così per caso. I piani spaziali americani e russi non si sono mai fermati dopo le tante tragedie che hanno costellato la conquista dello spazio, ma nel 1986 è bastato che fosse morta una “civile”, Sharon Christa Corrigan McAuliffe, e fu bloccato il programma degli Shuttle per due anni. È successo: lo sappiamo tutti. Oggi anche un solo morto, è un morto di troppo, e questo non se lo possono permettere né i governi, né le aziende private che sono comunque quotate in Borsa.

Insomma, non dico tornare sulla Luna, ma anche solo fare un buon vettore capace di portare in orbita un satellite, è qualcosa che va riscoperto da zero o quasi e, ovviamente, essendo un tutti contro tutti, ogni azienda aerospaziale si guarda bene dal diffondere conoscenza a riguardo. Non siete ancora convinti? Vi faccio un altro esempio. Avete mai sentito parlare di Enrico Bernardi?

Bernardi è stato il primo a costruire un motore a scoppio in Italia. Era un ingegnere e inventore veronese ed è considerato uno dei pionieri dell’automobile nel nostro Paese. Nel 1882, Enrico Bernardi progettò e costruì un motore a scoppio a benzina molto piccolo, chiamato “Motrice Pia”, dal nome di sua figlia. Questo motore aveva una cilindrata di appena 121 cc ed era destinato inizialmente a un triciclo per bambini ma poi fu applicato a una macchina da cucire. Funzionava con una miscela di aria e benzina che veniva accesa da una candela a incandescenza.

Ci vollero oltre dieci anni a Bernardi per assemblare il primo motore a scoppio per un’automobile. Fu nel 1894 e nonostante le sue invenzioni non siano state subito commercializzate su larga scala, il suo lavoro aprì la strada allo sviluppo dell’automobile italiana.

Bene, per fare il suo primo motore, Bernardi non aveva a disposizione macchinari complessi o parti prelavorate da assemblare. Fece tutto da zero. Progettò ogni componente del motore, compresi cilindro, pistone, albero motore, valvole. Quindi fece fondere le parti principali, come il blocco cilindri, in ghisa, usando stampi in sabbia. E qui già non lo poté fare da solo, ma dovette appoggiarsi a una fonderia, ovvero a persone che sapevano come fondere il ferro, produrre la ghisa e rifinire ogni singolo pezzo in modo che poi si potessero assemblare senza fare attrito l’uno con l’altro. Quindi assemblò tutto a mano e inserì le valvole che nel frattempo aveva fabbricato. Tutto in modo artigianale.

Nessuno glielo aveva insegnato. Certo, era un ingegnere, ma non insegnavano all’epoca a scuola come si facesse un motore d’automobile per il semplice motivo che non ce n’erano ancora di motori per automobili. Certo, c’erano le conoscenze teoriche, ovviamente, così come quelle pratiche di meccanica, ma ci vollero comunque anni perché Bernardi riuscisse a produrre un primo prototipo. Sbagliò innumerevoli volte e, come lui, molti altri, come ad esempio Karl Benz e Daimler in Germania. Ognuno per conto suo. Tutti i pionieri dell’industria automobilistica mondiale impararono sulla loro pelle come trasformare in qualcosa di concreto quello che all’inizio era solo un sogno, ovvero un motore a scoppio in grado di far muovere un veicolo senza bisogno di usare i cavalli.

Ora, voi lo sapreste fare? Siete circondati di auto, avete la possibilità di scaricarvi tutorial dalla rete, di leggere libri, insomma, avete a disposizione la soluzione già pronta, ma sareste capaci di farlo in modo artigianale da zero, a partire dal metallo, come fece Bernardi? Non so quanto siate bravi in meccanica, ma penso che non sarebbe un’impresa da meno di quella che dovette intraprendere lui. Eppure la conoscenza c’è e le auto esistono già, quindi perché è così difficile?

Il punto è che non basta che qualcun altro lo abbia già fatto. La questione è se tu sia in grado di farlo. Non bastano neppure le conoscenze teoriche. Fondere i pezzi, rifinirli in modo che combacino perfettamente, montare il tutto in modo che resista alle sollecitazioni. Per noi, impararlo a fare, è altrettanto difficile quanto lo è stato per chi lo fece a suo tempo, perché questo genere di competenze si apprende col tempo e non si trasmettono facilmente solo grazie a un manuale o a un libro di testo.

Quindi, quando ci chiediamo perché sia così difficile rifare un razzo vettore per andare in orbita, visto che ne abbiamo già lanciati tanti, pensiamo a quel primo motore a scoppio. Senza contare che nell’ambito dell’aerospaziale, non è detto che tutta la conoscenza accumulata nel tempo sia poi così facilmente a disposizione, ovvero che chi ce l’aveva abbia deciso di renderla tutta pubblica. E se anche fosse stato, nel frattempo sono cambiate tecnologie e materiali, sono state stabilite rigide norme sulla sicurezza che prima non c’erano, tutti cambiamenti che costringono ad adottare nuove tecniche e a inventare nuovi modi di rifare ogni cosa.

La prossima volta che vi chiederete quanto sia difficile fare un razzo vettore e lanciarlo in sicurezza per portare il suo carico in orbita, provate a costruire voi qualcosa da zero. Una qualsiasi cosa. A farlo senza comprare i pezzi e assemblarli, ma producendo ogni singolo componente da zero. Misurate quanto tempo ci mettete, quanti errori farete, quante volte dovrete rifare tutto da capo prima di riuscire. E poi chiedetevi: quanto è più complicato un razzo vettore?


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*