Ma in Italia, la legge è davvero uguale per tutti? Non è una domanda retorica, ovvero non stiamo ipotizzando qui che ci possa essere qualcuno nel nostro Paese che sia «più uguale degli altri». Vera o falsa che sia questa affermazione, la domanda che ci stiamo ponendo è un’altra, ovvero se da un punto di vista di principio lo Stato effettivamente metta o meno tutti i cittadini sullo stesso piano.
Per poter rispondere a questa domanda dobbiamo innanzi tutto definire due cose: di quale legge stiamo parlando e qual è l’aspettativa che hanno i cittadini a riguardo.
La legge di cui stiamo parlando è per forza di cose la legge applicata, non quella scritta, ovvero non quella che viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ma quella che viene effettivamente applicata da chi ha il compito di farla rispettare ed di sanzionare chi eventualmente non la rispetti.
Quello che ci si aspetta è che, a parità di condizioni, queste persone trattino e giudichino i cittadini allo stesso modo su tutto il territorio nazionale. È importante chiarire cosa si intenda con «a parità di condizioni». Quando si deve applicare una legge o sanzionare qualcuno che non l’ha rispettata, vanno presi in considerazione tutti e solo quegli elementi che sono significativi per quella legge. Se un elemento non significativo viene utilizzato per distinguere fra un caso e un altro, allora abbiamo un caso di «discriminazione». Ad esempio, se un pugno dato da un uomo a una donna è sanzionabile come atto di violenza, allora deve esserlo anche quello di una donna dato a un uomo. Tuttavia se uno dei due è un pugile professionista o un esperto di arti marziali, non è una discriminazione sanzionare quella persona molto più pesantemente dato che ci si aspetta da quell’individuo un maggiore controllo a causa della sua intrinseca pericolosità.
Un altro aspetto da considerare è quello territoriale. Che in una città le tasse sui rifiuti siano maggiori che in un’altra città può essere ragionevole – ovviamente se giustificato da validi razionali – comunque possibile. Ma che in una regione sia ammessa la pena di morte per il reato di omicidio quando nelle altre diciannove non lo è, non è assolutamente accettabile. In pratica, se è giusto che esistano leggi locali che tengono conto di fattori specifici di un certo territorio, la possibilità per un ente locale di legiferare deve rimanere circoscritta all’interno di esigenze effettivamente legate a parametri locali, e non diventare giustificazione per l’applicazione in regioni diverse del territorio italiano di principi differenti.
Detto questo, riproponiamo la domanda: la legge è uguale per tutti in Italia? Purtroppo, alla luce di quanto affermato fin ora, la risposta è no. Vediamo perché.
Innanzi tutto non esistono a livello di Giurisprudenza criteri chiari e ben definiti da applicare nell’interpretazione delle Leggi. Questo vuol dire che ogni giudice può, a parità di condizioni, sentenziare in modo totalmente differente, a volte addirittura opposto. È evidente a questo punto che la legge applicata non dipende più da elementi di valutazione comuni e dal riscontro oggettivo di una serie di parametri. Il risultato finale è fortemente legato al singolo tribunale, se non al singolo giudice. Questo vuol dire che al cittadino manca la «Certezza della Sentenza», ovvero nessuno può realmente considerarsi innocente a priori o ritenere a priori di essere nel giusto. Infatti può accadere, e di fatto accade, che in un tribunale possa fatta una determinata valutazione di un determinato evento, e in un altro essere emessa una sentenza che va addirittura nella direzione opposta.
La conseguenza è immediata: una sfiducia fisiologica nella Giustizia. Come si può infatti avere fiducia in qualcosa che è aleatorio, ovvero che non rispetta neanche un minimo di punti fermi, chiari, ben conosciuti e condivisi da tutti? Un caso eclatante è rappresentato dalle cause di separazione. Sebbene infatti la legge affermi che l’affidamento, in caso di conflitto, debba essere esclusivo, ci sono alcuni tribunali, come quello di Viterbo, che, dimostrandosi ben più maturi di altri e fortemente rispettosi del principio di bigenitorialità, hanno imposto l’affidamento congiunto anche se uno dei due genitori non era d’accordo. Altri, invece e purtroppo, come quello di Roma, sono arrivati al punto di negare persino l’esercizio congiunto della potestà pur riconoscendo l’idoneità di entrambi i genitori. In queste condizioni la sfiducia è d’obbligo. Si tratta in pratica di una vera e propria autodelegittimizzazione della Giustizia.
Un altro esempio del perché la legge non è uguale per tutti è che molte leggi assegnano a enti pubblici o ad associazioni private alcuni poteri che portano indirettamente a un trattamento discriminate o comunque differente in base alla localizzazione geografica. Ad esempio, le regole di accettazione nell’Ordine dei Giornalisti varia da regione a regione, per cui, un pubblicista che desideri passare a giornalista e che avrebbe in una regione tutte le carte in regola per farlo, potrebbe essere rifiutato solo perché nella regione nella quale risiede le condizioni richieste sono differenti. In pratica, due cittadini italiani con le stesse capacità, la stessa storia giornalistica, lo stesso numero e qualità di pubblicazioni, ma residenti in regioni diverse, hanno uno la possibilità di accedere al titolo di giornalista, l’altro no. In questo caso la legge prevede un’applicazione differenziata sulla base di un parametro, la residenza, che nulla ha a che vedere con le qualità e le capacità del singolo professionista.
Concludendo, affinché la legge sia veramente uguale per tutti, è necessario che vengano stabiliti principi e criteri chiari e pubblici, validi per tutti, i quali indichino come la legge vada applicata e soprattutto come non debba essere applicata. Non è un discorso generico. Principi del genere esistono in altri Paesi e alcuni anche nel nostro, sebbene non sempre vengano rispettati. Un esempio è quello per cui «un individuo è innocente fino a prova contraria» oppure quello che stabilisce che una persona non possa essere condannata se «esiste un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza». Nel diritto civile dovrebbe valere una sorta di «Principio di Commutazione», ovvero, mantenendo fisse le condizioni, se le parti venissero scambiate, la sentenza non dovrebbe cambiare. Ad esempio, se si stabilisce che un uomo che lavora debba pagare un certo assegno di mantenimento alla moglie disoccupata in caso di divorzio, qualora fosse la moglie a lavorare e il marito ad essere disoccupato, dovrebbe essere quest’ultima a mantenere l’ex-coniuge e con un importo della stessa entità, ovviamente a parità di salario rispetto al caso precedente.
Inoltre la Legge non dovrebbe mai permettere di discriminare in qualsivoglia campo una persona per il solo fatto di risiedere in una città piuttosto che in un’altra. L’Italia, unita o federata che sia, è una sola, e ogni italiano ha diritto da parte dello Stato allo stesso trattamento. Altrimenti non esiste più uno Stato di Diritto, ma solo una Grande Lotteria nella quale si può solo sperare che vengano estratti i numeri giusti.
Grazie del tuo passaggio, complimenti e consigli. Si hai ragione che devo organizzare in categorie le mie foto, ma il problema è che non so inserire e modificare con codici e linguaggio HTLM alcune cose che sinceramente a me non piaciono del mio blog. Ogni tanto mi aiuta un cara amica blogger.
Concludo dicendo che la legge non è uguale per tutti, perchè vengono applicate a proprio piacimento, e come dire “uso improprio di armi”, sbaglio?
Buon fine settimana. 🙂 Daniele
Caro De Judicibus,
devo ammettere che non ho ancora avuto il tempo di leggere i tuoi scritti (ma mi riprometto di sopperire prestoa questa mancanza), e che la materia “giustizia” non mi appassiona granchè. Però ho visto che le tematiche che affronti sono parecchio variegate, perciò non mancherò di tornare da queste parti.
Saluti,
Strepto.
Beh, sul mio blog non si parla solo di giustizia, anzi, spero in futuro di inserire sempre più articoli anche in rubriche come quella sull’Arte che per ora non ho avuto tempo di sviluppare.