Uno degli argomenti che fa più discurere in rete, soprattutto sui gruppi di discussione dedicati alla lingua italiana, è l’utilizzo sempre maggiore di termini stranieri, soprattutto quelli di origine anglosassone, nella nostra lingua. Alcuni, i puristi, vorrebbero che fossero sempre e comunque tradotti, altri invece ne fanno un vanto. In mezzo tutte le possibili posizioni.
Molte responsabilità di questo inquinamento linguistico sono da attribuire ai giornalisti, soprattutto quelli della televisione, i quali amano usare termini stranieri salvo spesso pronunciarli in modo orribile. È comunque significativo come spesso chi ami farcire i propri discorsi con termini inglesi, di inglese ne sa ben poco e comunque non sarebbe in grado di sostenere una conversazione in quella lingua con un britannico o un americano.
Uno dei settori nei quali l’inglese ha più che in ogni altro colonizzato la nostra bella lingua è quello dell’informatica, soprattutto per quello che riguarda la rete. Qui i termini stranieri si sprecano al punto che oramai, in italiano, sono rimasti giusto gli articoli, le preposizioni e i verbi ausiliari. Il resto è un misto di inglese e di anglicismi alcuni dei quali veramente inutili, dato che in realtà il corrispondente termine italiano già esiste da tempo.
Pur non essendo un purista, personalmente ritengo che bisognerebbe cercare di mantenere quanto più possibile coerente la nostra lingua, riducendo allo stretto indispensabile l’utilizzo di termini stranieri nell’italiano soprattutto quando di fatto esiste una traduzione già utilizzata anche se magari in un altro ambito. In effetti a me piace parlare italiano quando parlo in italiano e inglese quando parlo in inglese. Mescolare le due lingue, in qualche modo, mi sembra una caduta di stile, non una dimostrazione di cultura. Certo, l’uso del singolo termine, in certe circostanze, può dare spessore al discorso, specialmente se sintetizza un concetto complesso che richiederebbe una lunga perifrasi nella nostra lingua, come si faceva una volta con il greco o con il latino. Ma violentare una frase in italiano, spesso già impoverita dall’ignoranza galoppante della consecutio temporum e dallo scarso utilizzo che molti fanno dei sinonimi, mi sembra un’inutile cattiveria.
Così ho deciso di raccogliere in questo articolo tutti quei termini stranieri, per lo più anglosassoni, che ormai vengono comunemente usati nella lingua italiana. Per ognuno ho cercato, in dizionari vecchi e moderni o in rete, traduzioni o proposte di traduzioni che ho poi riportato in una sorta di dizionarietto, sicuramente incompleto, che cercherò di mantenere aggiornato anche con l’aiuto di altri cibernauti — notare come in italiano il termine non voglia la ipsilon.
Forse qualcuno troverà questa iniziativa buffa o inutile. Io credo rappresenti comunque un buon spunto di riflessione su come si possa evitare in molti casi anglicismi o termini stranieri. Poi ognuno parli e, soprattutto, scriva come vuole. Alla fine l’importante è capirsi e comunque una lingua è una cosa viva, che evolve nel tempo in modo non necessariamente logico e razionale. D’altra parte una lingua non è solo fatta di contenuti: è anche musica, estetica, forma, e come tale andrebbe apprezzata.
Il dizionarietto in questione è diviso in sezioni ordinate alfabeticamente. Cliccando su una sezione — cliccare è uno dei pochi anglicismi che uso, anche perché clic esisteva già in italiano prima dell’informatica — si apre una tabella che riporta i termini corrispondenti. In cima al dizionario ci sono i comandi per aprire o chiudere tutte le sezioni, in fondo la legenda delle categorie usate nel vocabolario.
A questo punto… a voi la parola!
Molte responsabilità di questo inquinamento linguistico sono da attribuire ai giornalisti […] di inglese ne sa ben poco e comunque non sarebbe in grado di sostenere una conversazione in quella lingua con un britannico o un americano.
il problema è generato, in massima parte anche se non soltanto, dalla necessità di pubblicare 20 edizioni straordinarie al giorno, esigenza che ha indotto gran parte dei “giornalisti”, una volta finite le notizie vere, a cercare altri modi per stupire il pubblico. cosa meglio di un titolone con tre paroloni che non capisce nessuno?
poi è ovvio che non lo capisce neppure chi l’ha scritto, o detto.
il che è dimostrato in maniera ridotta dalla pronuncia di parole tutt’altro che straniere tipo “iter” spesso pronunciato “aiter”, “bus” detto “bàs” e vari altri esempi…
per di più la tv, che negli anni immediatamente successivi alla guerra aveva svolto un importante funzione educativa aiutando a far uscire dall’analfabetismo migliaia di persone, ormai è alla portata di chiunque: tutti possono entrare nello scatolotto e dire al mondo quello che pensano, e lo dicono ormai senza congiuntivi, senza riguardo alla paratassi ed alla ipotassi, per non parlare della defunta consecutio…
in generale è un cane che si morde la coda: l’ignoranza abissale in cui il popolino sta precipitando ogni giorno di più lascia lo spazio necessario a certa gente che poco di più ne sa per infilarci parole di apparente effetto al posto delle italiane che esisterebbero eccome, ma sono assolutamente sconosciute.
ultimamente ho visto che sta venendo la moda di chiamare i colloqui di lavoro “recruitment”, nonostante la terribile cacofonia….
personalmente credo che una lingua debba evolvere e sarebbe sciocco scandalizzarsi ogni volta che una cosa nuova impone un termine nuovo, ma la lingua italiana non sta eolvendo, sta svanendo…
Vi segnalo un’altra vastissima lista di termini stranieri usati in italiano con relative traduzioni: https://www.achyra.org/forestierismi/index.shtml
Grazie. Appena possibile aggiorno la presente.
Ma… sono migliaia di entrate! Non fa prima ad inserire un collegamento?
Sì, certo. Magari aggiorno anche quelle che ho già con le voci più importanti. O correggo le mie. Vediamo. In effetti il collegamento c’è già, dato che è nel suo commento…
Ah, be’, certo. Intendevo dire che se vuole dare maggiore visibilità alle traduzioni proposte in quella lista può mettere in bella vista un collegamento, invece che aggiungerle alla propria. 🙂
Io personalmente quello che odio è ormai l'abuso del termine "settings" per "impostazioni"… ormai si sentono comunemente termini come "settaggi" o "settare" nel senso di imostazioni e impostare… sigh
V.