Sto leggendo una nota che Roberto Di Nunzio ha pubblicato su Facebook e che riporta un articolo di Jillian York sull’azione censoria di quella che è una delle più famose piattaforme per reti sociali soprattutto in relazione all’allattamento al seno e alla crisi in Medio Oriente. Ne prendo spunto per parlare di censura. Non intendo esprimere un’opinione sulla censura né tantomeno dare indicazioni su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Vorrei limitarmi a un’analisi obiettiva della questione. Spero di riuscirci.
Non è argomento semplice, infatti, quello della censura. Usiamo un approccio euristico, ovvero il metodo detto «degli estremi». Da un lato abbiamo un sistema che non ammette alcun tipo di censura — lo chiameremo «N», come none, ovvero niente; dall’altro uno che censura qualsiasi cosa che possa offendere qualcun altro — lo chiameremo «A», come all, ovvero tutto.
Consideriamo prima l’estremo N. Se non censurassimo nulla, vuol dire che accetteremmo qualsiasi discussione, qualsiasi immagine, qualsiasi video, e quindi anche propaganda filo-nazista, immagini pedopornografiche, video di stupri dal vero. Mi sembra evidente che, almeno in questa nostra società, questa opzione debba ritenersi inaccettabile.
Consideriamo allora l’estremo A. In questo caso, chiunque si senta offeso da qualcosa avrebbe il diritto di chiederci di rimuovere il contenuto in questione, qualunque esso fosse, e noi puntualmente lo faremmo. Purtroppo nel mondo esistono molti punti di vista, anche in antitesti, alcuni laici, altri religiosi, alcuni tolleranti, altri assolutamente integralisti. Questo farebbe sì che in questo secondo caso, potenzialmente, quasi qualunque contenuto testuale o multimediale potrebbe essere soggetto a censura: una foto di una ragazza al mare in un castigatissimo costume intero, un racconto romantico fra due persone non sposate, persino una poesia d’amore o la cronaca di un omicidio. Anche in questo caso riesce difficile poter seriamente pensare di prendere anche solo in considerazione questo estremo.
Ne consegue che se la censura totale quanto la totale assenza di censura sono entrambe inaccettabili, allora, definito un certo ambito sociale o culturale, deve esistere un certo livello di censura, o più realisticamente un certo intervallo sull’insieme compreso tra quei due estremi, che possa essere considerato accettabile. Ovviamente questo intervallo sarà differente a seconda del Paese, della cultura, della fede di ogni specifica società, ma comunque esisterà.
Bella scoperta, direte voi: «In medio stat virtus!», ovvero, hai scoperto l’acqua calda. D’accordo, ma il punto è un altro: se un certo livello di censura è necessario, dove va posizionato quell’intervallo? Qual è il segmento compreso fra il necessario e il sufficiente? Se fossimo noi i proprietari e responsabili di una piattaforma di social networking globale, dove lo porremo? Tenete presente che proprio quell’essere «globale» rende difficile rispondere. Sarebbe già più semplice se la piattaforma fosse limitata a un certo Paese o a una certa cultura, ma se volessimo davvero essere globali, come potremmo far coesistere tutti i punti di vista senza essere tacciati di aver impropriamente censurato, ovvero di aver discriminato?
È improprio censurare l’immagine di un bacio innocente fra persone dello stesso sesso? O una discussione fra psicologi sulla masturbazione? È giusto rifiutare il diritto di esprimere la propria opinione a persone che in alcuni Paesi sono considerati partigiani mentre in altri semplici terroristi? La storia d’amore tra un uomo di trent’anni e una ragazza di sedici è pedofilia? La foto di un cadavere fatto a pezzi da un machete a ricordare a tutti una delle tante guerre che insanguinano l’Africa è giornalismo o mero uso strumentale di immagini di morte e violenza per vendere più copie di una rivista? Posso dire che Dio non esiste? E se dico che non esiste Babbo Natale, è più accettabile? Dove la piazzo quella benedetta sbarretta? Dove lo metto quel maledetto intervallo?
Volete sapere una cosa? Se dovessi rispondere per me, probabilmente vi saprei dire esattamente cosa io ritenga giusto pubblicare e cosa no, ma se dovessi anche solo per un momento provare a mettermi in un’ottica imparziale, super partes, cercando di trovare una risposta davvero globale, non avrei la più pallida idea di cosa fare. Non so voi, ma io quella sbarretta, quell’intervallo, non saprei proprio dove metterli.
questo e’ appunto il problema del relativismo: senza un punto di vista tutto e nulla coincidono…